lunedì 24 dicembre 2012

RESPONSABILITA’ DELL’ENTE PROPRIETARIO DELLA STRADA


Con la Sentenza della Corte di cassazione, la n. 24529 del 20.11.2009, è stato affermato che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione.
Tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe. Nel caso di specie un automobilista dopo essere sbandato a causa della strada ghiacciata, era uscito di strada a causa della inadeguatezza del “guard rail”, danneggiato il giorno precedente da altro sinistro e non riparato dall’ente proprietario della strada, convenendo conseguentemente in giudizio quest’ultimo ed invocandone la responsabilità ex art. 2051 cod. civ.
Per la Cassazione, quindi, l’estensione del bene demaniale non costituisce più il criterio prevalente sulla base del quale dichiarare l’applicabilità o meno dell’art. 2051 c.c.
Nello stesso tempo viene meno la prova a carico del danneggiato dell’insidia, essendo sufficiente che egli provi l’evento danno ed il nesso di causalità con la cosa.
Ai fini della dichiarazione di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c., quindi, pare sufficiente che il sinistro sia conseguenza della situazione di pericolo connesso alla struttura della strada, ovvero ad una sua anomalia, ciò indipendentemente dalla prova di un’insidia e a prescindere dalla estensione della strada medesima.
Con la Sentenza n. 1691/2009 la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che i Comuni sono responsabili degli incidenti provocati agli utenti a causa del cattivo stato delle strade e ciò anche se la manutenzione delle stesse è stata appaltata a una ditta esterna. Secondo i giudici "la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi".
"Né può sostenersi - prosegue la Corte - che l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d'inadempimento: infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 del vigente Codice della strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 c.c.".
La Corte ha poi affermato che "il fattore decisivo per l'applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l'impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti" e che "la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progressi tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato".
Con la sentenza n 5669 del 2010 la Cassazione Civile Sez. III indica i limiti della responsabilità del comune per omessa manutenzione delle strade ed il ruolo della c.d. insidia.
Con riferimento alla problematica inerente la responsabilità del comune per i danni arrecati agli utenti della rete stradale con riferimento all'eventuale omessa manutenzione delle strade che abbia determinato un fatto generatore di danno, la giurisprudenza della Suprema Corte ha, di recente, abbandonato la tesi prevalente secondo la quale l'estensione del demanio stradale non consentirebbe un suo controllo capillare ed escluderebbe il rapporto di custodia necessario per predicare una responsabilità dell'ente pubblico ex art. 2051 cc. Secondo tale orientamento, ai fini dell'individuazione di una responsabilità dell'ente pubblico era necessario il ricorso al criterio generale dell'art. 2043 cc e, per la conseguente verifica della responsabilità dell'ente proprietario era necessario che il danneggiato provasse che l'omessa manutenzione della strada aveva determinato l'insorgenza di un'insidia o trabocchetto.
Successivamente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1999, si è andato invece affermando un diverso indirizzo interpretativo nella giurisprudenza di legittimità che, pur non offrendo elementi univoci all'interprete, ha, in ogni caso, abbandonato il precedente indirizzo cristallizzato ed astratto alla ricerca di soluzioni variate a seconda del caso concreto.
Si è così affermato che l'estensione del demanio stradale non è di per sè idonea ad escludere la possibilità di custodia da parte del Comune. In tal senso dovrà aversi riguardo alla tipologia, all'ubicazione ed alle caratteristiche strutturali della strada per verificare se il comune aveva effettivamente una possibilità di custodia sulla stessa. Altro indirizzo ha affermato che occorre avere riguardo, per le verifica della responsabilità ex art. 2051 cc per omessa manutenzione della strada alla tipologia di vizio del bene, se, cioè, esso sia occasionale ed imprevedibile o strutturale e, perciò solo, prevedibile e controllabile dal custode.
Ove poi non sia predicabile, per l'estensione della rete stradale, per le caratteristiche della strada o per la tipologia del vizio insorto, una responsabilità ex art. 2051 cc, potrà, in ogni caso, essere verificato se il Comune possa essere chiamato a rispondere ex art. 2043 cc ma, al riguardo, la sussistenza di insidia o trabocchetto non dovrà più considerarsi un prerequisito necessario per ottenere la tutela risarcitoria in quanto, piuttosto, sarà un elemento sintomatico idoneo ad escludere la corresponsabilità del danneggiato ex art. 1227 cc.
In relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della p.a. ai sensi dell'art. 2051 c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., l’esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della p.a. qualora si tratti di un comportamento idoneo a interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (p.a.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso.
Con sentenza n. 6065 del 2012 la Cassazione si pronuncia sul ricorso presentato da un motociclista che aveva richiesto (ma non ottenuto in sede di merito) il risarcimento dei danni subiti per essere caduto a terra a causa di una buca presente sul manto stradale.
I giudici rigettano il ricorso affermando il principio secondo cui ove si verifichi un sinistro a seguito di non corretta manutenzione della strada da parte dell'ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell'art. 2051 c.c., per l'obbligo di custodia delle strade demaniali, è esclusa ove l'utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso. Diversamente opinando, tale comportamento integrerebbe soltanto un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione dell'incidenza causale, la responsabilità della P.A. ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c.
Infatti le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate alla ordinaria avvedutezza di una persona: allorché il danneggiato abbia la possibilità di percepire agevolmente l'esistenza della situazione di pericolo, nella valutazione del nesso eziologico tra cosa e danno va attribuito rilievo causale al suo comportamento colposo visto che il danneggiato avrebbe verosimilmente dovuto prestare maggiore attenzione alle condizioni della strada che stava percorrendo.
Nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente motivato la sentenza, ritenendo che l'evento de quo non si sarebbe verificato se, in ottemperanza della apposita segnaletica e nel rispetto del limite di velocità imposto dall'ente A.n.a.s.,, il motociclista si fosse attenuto alle comuni regole di prudenza, alle segnalazioni stradali, certamente visibili in pieno giorno, e avesse tenuto una velocità adeguata alla condizione dei luoghi.
Con specifico riferimento al danno da cattiva manutenzione del manto stradale si è affermato che ove si verifichi un sinistro a seguito di non corretta manutenzione della strada da parte dell'ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell'art. 2051 c.c., per l'obbligo di custodia delle strade demaniali, è esclusa ove l'utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, dovendosi altrimenti ritenere, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., che tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione dell'incidenza causale, la responsabilità della P.A. Le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate alla ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali, o comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed evitabili tutte le condotte dell'utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose (Cass., 27.9.1999, n. 10703).
La possibilità per il danneggiato di percepire agevolmente l'esistenza della situazione di pericolo incide sulla concreta configurabilità di un nesso eziologico tra la cosa e il danno, ponendo correlativamente in risalto il rilievo causale attribuibile al comportamento colposo del danneggiato che avrebbe verosimilmente dovuto prestare maggiore attenzione alle condizioni della strada che stava percorrendo.
Dalla fattispecie in esame non emerge alcun elemento dal quale si possa evincere che C.H. non fosse in grado di percepire l'esistenza della buca, qualora avesse mantenuto un'andatura coerente con le caratteristiche del veicolo da lui steso condotto ed avesse prestato una adeguata attenzione alle condizioni del terreno.
Si ha quindi ragione di ritenere che l'evento de quo non si sarebbe verificato se, in ottemperanza della apposita segnaletica e nel rispetto del limite di velocità, C.A. non fosse transitato nella fascia della strada ove era presente la buca.
Nel caso in esame la Corte di merito, con ragionamento immune da vizi logici o giuridici e con adeguata motivazione ha escluso un comportamento colposo dell'ente A.n.a.s., pur in presenza delle buche, in quanto lo stesso ente si era attivato nel segnalarle con apposito cartellone, oltre ad imporre il limite di velocità di km 30/h.
Colposo invece è stato il comportamento del motociclista che non si è attenuto alle comuni regole di prudenza, alle segnalazioni stradali, certamente visibili in pieno giorno, e non ha tenuto una velocità adeguata alla condizione dei luoghi.

In tema di danno da cattiva manutenzione del manto stradale ove si verifichi un sinistro a seguito di non corretta manutenzione della strada da parte dell'ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell'art. 2051 c.c., per l'obbligo di custodia delle strade demaniali, è esclusa ove l'utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, dovendosi altrimenti ritenere, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., che tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione dell'incidenza causale, la responsabilità della P.A.

DANNI CAGIONATI DA CANTIERI STRADALI


La responsabilità per i danni cagionati durante l'esecuzione dei lavori di manutenzione delle strade pubbliche (c.d. cantieri stradali), è inquadrabile nell'alveo normativo di cui all'art. 2050 c.c. che disciplina la responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. Infatti, nei confronti di chi esegue lavori sulla pubblica strada, opera la presunzione di cui all'art. 2050 c.c., in quanto i lavori sono essi stessi fonte di pericolo per gli utenti; sicché, in tale tipo di azione, mentre al danneggiato compete l'esclusivo compito di provare il verificarsi del fatto storico posto alla base della sua pretesa, grava, invece, su chi ha eseguito i lavori, l'onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare danni a terzi o, comunque, di aver rispettato tutte quelle cautele prescritte dalla legge.Tribunale di Palermo, Sezione 3 Civile, Sentenza 8 aprile 2011, n. 1698

SINISTRO STRADALE


Con la sentenza n. 2562/2012, la Corte di Cassazione si esprime in merito all’applicazione estensiva dell’art. 2051 c.c. in tema di responsabilità della pubblica amministrazione per i danni da insidie stradali. Per le loro caratteristiche (estensione, collocazione ed utilizzo generalizzato) risulta problematico il riconoscimento, in capo al gestore, della possibilità di esercitare concretamente quel controllo che rappresenta il presupposto essenziale affinchè si possa individuare un rapporto di custodia e, di conseguenza, possa prevedersi l’applicazione dell’art. 2051 c.c.
La Suprema Corte ha già avuto modo di affrontare la questione (Cass. 21508/2011) e, in tale circostanza ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. anche al gestore delle strade statali nel caso in cui quest’ultimo sia in grado di conoscere la presenza delle insidie e, di conseguenza, possa attuare un potere di controllo su di esse.
La sentenza in esame rappresenta una nuova evoluzione del dibattito finalizzato all’applicazione della disciplina prevista dall’art. 2051 c.c. anche al gestore della strada pubblica, in virtù della volontà di equiparare beni pubblici e beni privati sotto il profilo del risarcimento del danno da cosa in custodia. La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione trae spunto da un sinistro avvenuto nel gennaio 2003 nel quale il conducente dell’auto, a causa delle condizioni del manto stradale, perse il controllo della propria vettura, sfondando il guard-rail e perdendo la vita. La moglie, il figlio e il datore di lavoro della vittima citarono in giudizio l’A.N.A.S. in quanto ente addetto alla gestione e al controllo della strada incriminata, affinchè, ai sensi dell’art. 2051 c.c. o in subordine ai sensi dell’art. 2043 c.c., fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti alla morte dell’automobilista. A seguito di un iter processuale molto altalenante, l’A.N.A.S. ricorse in Cassazione contro la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Torino che, nell’agosto 2009, condannò la stessa al pagamento di € 88.187,20 per ciascuno dei congiunti.
La Suprema Corte ha stabilito che, in generale, qualora si verifichi un evento dannoso l’ente che gestisce la strada deve ritenersi custode in quanto esercita un potere di fatto sulla medesima. Nel caso di specie la causa dell’incidente era da imputare alla presenza di ghiaccio sulla carreggiata e l’A.N.A.S., pur essendosi attivata per eliminare la pericolosità del fondo stradale ghiacciato, non era riuscita a risolvere il problema. Tale intervento del gestore della strada riveste una duplice rilevanza in quanto, da un lato, fonda il motivo dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. al caso di specie e, dall’altro, costituisce il motivo per cui la stessa debba essere ritenuta responsabile. L’A.N.A.S. ha fornito la prova del proprio intervento ma non di avere fatto tutto il possibile per ovviare al problema legato alla pericolosità del fondo stradale, dunque non ha provato che l’evento dannoso fosse riconducibile al caso fortuito. Cass. 2562 del 2012.doc

sabato 22 dicembre 2012

GUARD RAIL PERICOLOSO


La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 21 gennaio 2011,n. 6537 ha accolto il ricorso dei familiari di un automobilista rimasto ucciso in un incidente stradale dopo essere andato a sbattere contro un guard rail, la cui lamiera era penetrata all’interno dell’abitacolo e aveva trapassato l’uomo.
Per principio generale la responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto al quale la si imputi sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche.
Tale è la situazione in cui si trova l'ente proprietario della strada, in caso di strade aperte al traffico, una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa, potendosi liberare da responsabilità per l’evento lesivo arrecato al fruitore della strada solo dimostrando di non avere potuto far nulla per evitare il danno.
Secondo il giudice “l'ente proprietario supera la presunzione di colpa quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada, ma in maniera improvvisa, atteso che solo quest'ultima - al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto - integra il caso fortuito previsto dall'art. 2051 c.c., quale scriminante della responsabilità del custode”.
Secondo l’orientamento tradizionale, sostenuto in passato dalla giurisprudenza, l’art. 2051 c.c. risultava applicabile anche alla Pubblica Amministrazione solo se il bene demaniale, per le sue ridotte dimensioni, permetteva un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte dell’amministrazione medesima, in guisa da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.
L’impostazione più recente, fatta propria anche nella presente sentenza, ha superato l’interpretazione testé accennata, rilevando come la normativa in tema di responsabilità da cose in custodia in capo all’ente pubblico non possa escludersi nell’ipotesi di anomalia della strada o degli strumenti posti a protezione su questa installati.
Nel caso di specie, i giudici territoriali hanno errato ad escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo alla Pubblica Amministrazione, in quanto trattavasi di danno inerente ad una anomalia di un sistema di protezione della strada nei confronti del quale la medesima era in grado di esercitare il proprio potere di sorveglianza e custodia, essendo edotta, fra l’altro, in ordine alle possibili soluzioni per evitare il danno, in quanto a conoscenza della tipologia di protezione installata e delle modalità di installazione della stessa.

AUTOSTRADE, GHIACCIO, RESPONSABILITÀ


Per le autostrade è applicabile la responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c.
Nell'applicazione del principio occorre peraltro distinguere:
- le situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada, dove l'uso generalizzato e l'estensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode;
- da quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa, che pongano a repentaglio l'incolumità degli utenti e l'integrità del loro patrimonio, dove dovrà configurarsi il fortuito tutte le volte che l'evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità come accade quando esso si sia verificato prima che l'ente proprietario o gestore, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un intervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente segnalare la straordinaria situazione di pericolo determinatasi, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere.
1) In materia di mancata custodia di una pubblica via da parte dell’ente locale, si veda Cassazione civile , sez. III, sentenza 18.11.2010 n° 23277.
(2) Relativamente alla custodia e trabocchetto, si veda Cassazione civile , sez. III, sentenza 06.10.2010 n° 20757.
(3) In tema di custodia e tombino, si veda Cassazione civile , sez. III, sentenza 06.07.2010 n° 15884.
(4) Si veda il focus Obbligo di custodia della strada e responsabilità del Comune.

FRANAMENTI SU STRADA


Con la sentenza 23 ottobre 2012, n. 1774 il Tribunale di Reggio Emilia interviene sul tema delle responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati dalle cose in custodia, riepilogando lo stato dell’arte giurisprudenziale sul tema. Nel caso specifico, l’attore aveva citato in giudizio l’ANAS – in qualità di proprietaria e custode della strada – chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2051 cod. civ. o, in subordine, ex art. 2043 cod. civ., per l’incidente occorsogli con la propria auto, uscita di strada a seguito dell’improvvisa completa ostruzione della carreggiata per la presenza di terra, fango, sassi, foglie ed arbusti in genere, per giunta in un tratto curvilineo e non illuminato della strada statale.
L’ANAS resiste in giudizio sul presupposto dell’inapplicabilità dell’art. 2051 cod. civ. e della mancanza di colpa idonea a fondare la responsabilità ex art. 2043 cod. civ., dovendosi al contrario ritenere responsabile del fatto il proprietario del terreno, adiacente alla strada, dal quale si erano verificati i franamenti .
Il giudice affronta il tema partendo dalla trattazione della tematica del tipo e dell’ambito della disciplina applicabile in caso di incidente avvenuto su strada pubblica nonché dalla possibilità di configurare al riguardo una responsabilità, concorrente od esclusiva, dell’ente che della stessa e delle relative pertinenze è proprietario o custode. In giurisprudenza, nel corso degli ultimi anni, si è prodotto un ripensamento dalla posizione tradizionale della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 cod. civ. nel solo caso della teorica insidia-trabocchetto, all’affermazione della responsabilità custodiale ex art. 2051 cod. civ. Infatti, secondo il Giudice, la non ritenuta applicabilità di tale norma alla Pubblica Amministrazione ha rappresentato un ingiustificato privilegio,e di riflesso, un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche. Al contrario, l’applicazione dell’art. 2051 c.c. si presta ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento degli interessi in gioco in conformità ai principi dell’ordinamento giuridico e al sentire sociale.
Il Tribunale ribadisce che la responsabilità ex art. 2051 c.c. integra un’ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode . Non rileva allora – si legge nella sentenza - la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario; funzione della norma è, d’altro canto, tipicamente quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa. In buona sostanza, questa tipologia di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità.
E’ di tutta evidenza che, fondandosi la responsabilità non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa,il profilo del comportamento del custode rimane estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c., mentre il suo fondamento è costituito dal rischio da custodia che grava su colui che ha in custodia una cosa, per i danni dalla cosa stessa causati che non dipendano da caso fortuito. In altre parole, per il Tribunale territoriale, ai fini dell’applicazione della norma, , è sufficiente che il danno sia cagionato alla cosa, non necessariamente dal custode, e che vi sia una relazione di custodia tra il soggetto chiamato a rispondere e la cosa che ha prodotto il danno.
Unica clausola di salvezza per il custode – nella fattispecie per la P.A. – è l’ipotesi in cui vi sia l’oggettiva impossibilità di esercitare il necessario potere di controllare la cosa, in modo da poter modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. Se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non è possibile configurare la custodia, e quindi non vi può essere responsabilità dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 2051 c.c. Nel caso in cui tale attività di controllo non sia oggettivamente possibile, non potrà invocarsi alcuna responsabilità della P.A., proprietaria del bene demaniale, a norma dell’art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della custodia, cioè la controllabilità della cosa, residuando solo, se ne ricorrono gli estremi, la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.
Indici sintomatici dell’impossibilità del controllo del bene demaniale, sono, tra gli altri, la notevole estensione e l’uso generalizzato dello stesso da parte degli utenti, pur non potendo tali elementi attestare in modo automatico l’impossibilità di custodia, ma dovendo formare oggetto di valutazione del giudice di volta in volta. Del pari, risultano elementi sintomatici della possibilità di custodia del bene il posizionamento della strada nel perimetro urbano, o la sua qualificazione di autostrada, caratterizzata dalla possibilità di percorrenza veloce in condizioni di sicurezza.
Il Giudice, infine, ipotizza anche il caso in cui non sia applicabile l’art. 2051 cod. civ., per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale: in questo caso l’ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall’utente, secondo la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c. Pertanto, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale della strada, fatto di per sé idoneo, in linea di principio, a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade invece l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali ad esempio la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia.
Tanto nel caso di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale, che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo, può escludere la responsabilità dell’amministrazione, se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendo integrare altrimenti un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 comma 1 c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato.
Nel caso di specie, il Tribunale ha quindi ritenuto che la parte attrice abbia dato prova dell’esistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato a terzi. Alla luce di ciò, spettava all’ANAS, per disattendere la domanda e resistere ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, provare l’esistenza del caso fortuito. Ciò che non si è verificato, accertandosi al contrario un rilevante grado di colpa in capo alla convenuta la quale, pur se avvertita due ore prima del sinistro da un automobilista della pericolosa ostruzione della carreggiata, non era ancora intervenuta al momento dei fatti di causa ed ha provveduto solo il giorno dopo a liberare la strada per di più del tutto priva di illuminazione e quindi massimamente pericola nell’orario notturno in cui si è verificato il fatto. Da qui la condanna della società al pagamento del risarcimento dei danni, rivalutazione ed interessi legali oltre alle spese di lite.

domenica 16 dicembre 2012

RESPONSABILITA' DEL RESPONSABILE DEI LAVORI


La Corte di Cassazione - Penale Sez. IV – con la Sentenza n. 17634 del 24 aprile 2009 focalizza le responsabilità della figura del responsabile dei lavori così come definita nel Titolo IV Capo I del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 relativo alla sicurezza sul lavoro nei cantieri temporanei o mobili e si inserisce nel discorso della automaticità o meno della nomina di tale figura da parte del committente sulla quale tanto si discute a seguito della lettura del D. Lgs. n. 81/2008 medesimo.
In capo alla suddetta figura si concretizza, secondo la Corte di Cassazione, una posizione di garanzia che gli impone, nella esecuzione di quei lavori dei quali egli è appunto il responsabile dei lavori, di attivarsi per predisporre e fare osservare i presidi di sicurezza previsti dalle disposizioni di legge. Il fatto poi che nel cantiere si riscontra la presenza di un coordinatore in fase di progettazione e di un coordinatore in fase di esecuzione dei lavori non fanno affatto venir meno tale posizione di garanzia trattandosi di posizioni autonome ed indipendenti.
L’infortunio sul lavoro di cui si occupa la sentenza in esame è quello accaduto ad un lavoratore il quale, mentre alle dipendente di una società era intento su di una impalcatura a montare degli infissi in uno stabile, è caduto nel vuoto da un'altezza di due o tre metri decedendo per le lesioni riportate (trauma cranio - encefalico da precipitazione). Il Tribunale dapprima e la Corte di Appello successivamente hanno condannato per omicidio colposo, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, sia il responsabile dei lavori nominato dal committente ai sensi del Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008 che il montatore del ponteggio ed il dirigente nonché responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta alle dipendenze della quale lavorava l’infortunato.
I giudici nel ricostruire la dinamica dell’accaduto avevano accertato che il ponteggio utilizzato dal lavoratore, così come montato non consentiva all’operaio, impegnato a fissare un telaio metallico mediante un avvitatore elettrico, di lavorare frontalmente rispetto al punto nel quale doveva operare per cui lo stesso è stato costretto a portarsi quasi totalmente all’esterno del ponteggio, oltretutto in posizione abbassata, e quindi in precario equilibrio. Essendosi quindi sporto quasi totalmente con il corpo dal ponteggio su cui si trovava e non essendo questo munito di una tavola fermapiedi, che avrebbe ridotto la luce tra il corrente intermedio ed il piano di calpestio, il lavoratore ha perso l'equilibrio ed è precipitato L'operazione avrebbe dovuto compiersi servendosi di una piattaforma autosollevante che avrebbe consentito di svolgere il lavoro in posizione frontale ed è stato accertato, altresì, che l’infortunato non indossava dispositivi di protezione individuale (cintura di sicurezza e casco) perché non gli erano stati mai consegnati.
I tre imputati sopraindicati erano stati riconosciuti responsabili dell’accaduto in quanto il responsabile dei lavori per conto della committente non aveva compiuto alcuna valutazione o verifica delle capacità tecnico - professionali delle ditte che operavano nel cantiere ed aveva accettato il piano di sicurezza e di coordinamento risultato carente in violazione dell’art. 3 comma 2 del D. Lgs. n. 494/1996, il montatore del ponteggio è stato ritenuto responsabile per averlo realizzato in violazione delle disposizioni di legge e privo dei requisiti di sicurezza richiesti ed il dirigente e RSPP della società per aver fornito ai lavoratori una attrezzatura non adeguata oltre a non aver controllato che i dipendenti si trovassero ad operare in cantiere e in condizioni di sicurezza.
Avverso la sentenza del Tribunale, poi confermata integralmente dalla Corte di Appello, i tre imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione adducendo ognuno diverse motivazioni. Il responsabile dei lavori, in particolare, ha sostenuto che, non possedendo i requisiti e le capacità tecniche di cui all’art. 10 del D. Lgs. n. 494/1996, aveva provveduto a designare sia il coordinatore della sicurezza in fase di progettazione che quello in fase di esecuzione nelle persone di due architetti e quindi in persone dotate di capacità tecnica e di idoneità a svolgere i compiti assegnati per cui su di esso non gravava un obbligo giuridico di impedimento dei reati (articolo 40 c.p.). Il responsabile dei lavori ha sostenuto altresì che egli all'epoca dei fatti svolgeva l'attività di agricoltore alle dipendenze del committente e che, non disponendo di alcuna specifica capacità tecnica, si è appunto rivolto a ditte e professionisti che apparivano garantirgli il rispetto della normativa vigente.
La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi fatti dai tre imputati ed in merito alla posizione del responsabile dei lavori, in particolare, ha tenuto a precisare che “essendo egli responsabile dei lavori, in capo a lui si concretizzava una posizione di garanzia che gli imponeva di attivarsi per predisporre e far osservare i presidi di sicurezza richiesti dalla legge, nella esecuzione di quei lavori dei quali egli era, appunto, responsabile”. “La circostanza che vi fossero anche un coordinatore della sicurezza in fase di progettazione” ha proseguito la Sez. IV "e un coadiutore della sicurezza in fase di esecuzione non comportava affatto il venir meno di tale posizione di garanzia: trattasi, invero, di posizioni autonome ed indipendenti, che tra loro concorrono e, quindi, non si escludono”.
In merito, infine alla considerazione che il responsabile dei lavori all'epoca dei fatti svolgeva l'attività di agricoltore e che non disponeva di alcuna specifica capacità tecnica la suprema Corte ha concluso affermando che questa condizione “non lo esime affatto da responsabilità sotto il profilo soggettivo ma semmai rende più apprezzabili i profili di colpa, essendo evidente che la sua addotta mancanza assoluta di competenze al riguardo gli avrebbe dovuto imporre di astenersi da un compito che quelle competenze richiedeva,”.

IL RESPONSABILE DEI LAVORI


Il Titolo IV del Testo unico per la sicurezza sul lavoro definisce il responsabile della sicurezza dei lavori quale “soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto; nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile del procedimento."
È quindi, una figura predominante nel cantiere edile, fondamentale e al sommo vertice, la punta, delle persone giuridiche aventi responsabilità sull’opera, sulla sua sicurezza e sulla sicurezza dei lavoratori. Il decreto citato dalla definizione del Testo unico, quello del 12 aprile 2006 n.163 è in riferimento agli appalti pubblici, ai lavori pubblici. 
Il ruolo del responsabile dei lavori e quello del committente sono sovrapposti equivalenti e coincidenti. Se nominato il responsabile si sostituisce in toto al committente, viceversa se provvede a nomina, il committente viene sgravato da ogni responsabilità.
Il responsabile dei lavori ha come priorità innanzitutto quelle della nomina del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione e del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione. 
Ha poi in prima battuta, secondo l’articolo 90, il dovere di verificare le misure generali di tutela previste dall’articolo 15 del D.lgs 81/08, in due momenti in particolare:
“a) Al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente;
b) all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro”.
A suo carico la presa visione e il controllo del PSC e del fascicolo dell’opera redatti dal coordinatore per la progettazione .
Una volta nominati i coordinatori, deve comunicarne i nominativi alle imprese affidatarie, alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi e vigilare anche affinché questi nominativi siano resi visibili e inseriti nella cartellonistica che illustra e introduce fisicamente al cantiere.
Deve ovviamente verificare egli stesso la regolarità contributiva e previdenziale delle imprese affidatarie, a partire dal DURC fino ad arrivare alle dichiarazioni a INPS e INAIL. In particolare:
“a) Verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all’allegato XVII. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI (Lavori comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori ndr), il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall’allegato XVII (Idoneità tecnico professionale);
b) chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo, distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese del documento unico di regolarità contributiva, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’autocertificazione relativa al contratto collettivo applicato;
c) Trasmette all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all’articolo 99, il documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori autonomi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica della ulteriore documentazione di cui alle lettere a) e b)”.
Il responsabile prima dell’inizio dei lavori deve far pervenire alla ASL locale e alla direzione provinciale del lavoro del territorio un documento essenziale: la notifica preliminare.
Documento che deve contenere indicazioni riguardanti:
“1. Data della comunicazione.
2. Indirizzo del cantiere.
3. Committente (i) (nome (i), cognome (i), codice fiscale e indirizzo (i)).
4. Natura dell’opera.
5. Responsabile (i) dei lavori (nome (i), cognome (i), codice fiscale e indirizzo (i)).
6. Coordinatore (i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la progettazione dell’opera
(nome (i), cognome (i), codice fiscale e indirizzo (i)).
7. Coordinatore (i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la realizzazione dell’opera
(nome (i), cognome (i), codice fiscale e indirizzo (i)).
8. Data presunta d’inizio dei lavori in cantiere.
9. Durata presunta dei lavori in cantiere.
10. Numero massimo presunto dei lavoratori sul cantiere.
11. Numero previsto di imprese e di lavoratori autonomi sul cantiere.
12. Identificazione, codice fiscale o partita IVA, delle imprese già selezionate.
13. Ammontare complessivo presunto dei lavori”.
Notifica che deve integrare con comunicazioni riguardanti cantieri in cui si trovino contemporaneamente più imprese e della quale copia deve essere affissa in cantiere e sempre consultabile.
Infine, il responsabile dei lavoro ha l’obbligo di essere riferimento dei datori di lavoro presenti in cantiere e a essi trasmette tutti la documentazione necessaria compresi i piani elaborati dai coordinatori.
Importante: la nomina dei coordinatori non esime il responsabile dei lavori da alcuna responsabilità. È lui e sempre lui il primo responsabile della sicurezza, dell’efficienza e della regolarità del cantiere.

IL RUP HA L'OBBLIGO DI INGERENZA IN TUTTE LE FASI DEGLI INTERVENTI


Il complesso normativo degli artt. 272 e 273 del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti (Parte IV - Contratti relativi a forniture e altri servizi nei settori ordinari) testimonia della volontà del legislatore di affidare al R.U.P. non solo una competenza diretta circa la osservanza delle procedure tecnico-amministrative, ma una ingerenza in tutte le fasi degli interventi predisposti dalle Amministrazioni, prevedendo laddove non vi sia una competenza operativa e diretta del RUP, compiti di segnalazione, sollecitazione, razionalizzazione, organizzazione, i cui relativi adempimenti ricadono anche in settori di competenza di servizi diversi dell’Amministrazione.
Va ricordato che l’art. 272 del Regolamento n. 207/2010, di attuazione del d.lgs. n. 163/2006 – codice dei contratti, prevede che il RUP “provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento possa essere condotto in modo unitario in relazione a tempi e costi preventivati oltre che agli ulteriori profili rilevanti individuati in sede di verifica della fattibilità del singolo intervento”. 
Il successivo art. 273 (comma 1, lett. f) dispone poi che il R.U.P. “effettua le attività dirette a monitorare i tempi di svolgimento delle varie fasi procedurali dell'intervento, al fine di realizzare le condizioni per il corretto e razionale svolgimento della procedura, segnalando agli organi competenti dell'amministrazione aggiudicatrice eventuali disfunzioni, impedimenti, ritardi”; ed alla lettera g) che “svolge, in coordinamento con il direttore dell'esecuzione ove nominato, le attività di controllo e vigilanza nella fase di esecuzione, fornendo all'organo competente dell'amministrazione aggiudicatrice dati, informazioni ed elementi utili anche ai fini dell'applicazione delle penali, della risoluzione contrattuale e del ricorso agli strumenti di risoluzione delle controversie, secondo quanto stabilito dal codice, nonché ai fini dello svolgimento delle attività di verifica della conformità delle prestazioni eseguite con riferimento alle prescrizioni contrattuali”. (sentenza numero 38 del 24 gennaio 2012 pronunciata dalla Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale)

LIMITE SPECIALE SUBAPPALTO LAVORI RELATIVI ALLA CATEGORIA PREVALENTE NELLA MISURA DEL 20%


Ai sensi dell'art. 122, co.7, Dlgs. 163/2006 "I lavori affidati ai sensi del presente comma, relativi alla categoria prevalente, sono affidabili a terzi mediante subappalto o subcontratto nel limite del 20 per cento dell'importo della medesima categoria; per le categorie specialistiche di cui all'articolo 37, comma 11, restano ferme le disposizioni ivi previste."
A fronte di tale perspicua e cogente disciplina normativa, in grado quindi di integrare la disciplina di gara anche con effetto pregiudizievole della partecipazione alla stessa, va esclusa la ditta che ha dichiarato di voler subappaltare i lavori inerenti alla categoria OG1 per una quota del 30 %, quindi superiore a quella indicata dalla norma testé riprodotta, ancorché tale lavorazione sia qualificata "prevalente" dalla disciplina di gara.
In conclusione, il quadro normativo di riferimento, nel quale va collocata la selezione in esame, contempla un limite quantitativo al subappalto, pari al 20 % dei lavori della categoria prevalente, quindi percentualmente inferiore a quella del 30 % prevista dalla norma generale di cui all'art. 118 del d.lgs. n. 163/2006.
Qualora la lex specialis commini espressamente l'esclusione dalla gara in conseguenza di determinate prescrizioni, l'Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a dette prescrizioni, restando preclusa all'interprete ogni valutazione circa la rilevanza dell'inadempimento, la sua incidenza sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando (cfr. AVCP pareri n. 215 del 17.09.2008 e n. 262 del 17.12.2008). Parere AVCP n.2 dell’ 8/2/2012.

sabato 15 dicembre 2012

MODIFICA DEL CODICE ANTIMAFIA


Pubblicato sulla G.U. n. 299 del 13 dicembre 2012 il decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218: Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136

L’articolo 2 del provvedimento modifica l’articolo 85 del Codice Antimafia , che elenca gli operatori economici da sottoporre alla verifica antimafia.
La novità è rappresentata dal fatto che si va ad ampliare le categorie di soggetti nei cui confronti devono essere espletate le prescritte verifiche ai fini del rilascio della documentazione antimafia.
In particolare, il decreto correttivo estende le verifiche antimafia:
a) ai gruppi europei di interesse economico (G.E.I.E.), che vengono equiparati nei controlli ai consorzi di cui all’art. 2602 c.c. (comma 2, lett. d); su questo aspetto va ricordato che il decreto legislativo n. 240 del 1991 (Norme per l'applicazione del regolamento n. 85/2137/CEE relativo all'istituzione di un Gruppo europeo di interesse economico GEIE, ai sensi dell'art. 17 della legge 29 dicembre 1990, n. 428) dispone all’art. 10 che si applichino ai GEIE “le disposizioni in materia di concessioni ed appalti per opere o lavori pubblici o di pubblica utilità o per forniture pubbliche stabilite per i raggruppamenti temporanei di imprese e per i consorzi” ; la stessa disposizione prevede l’applicazione ai GEIE anche della legislazione antimafia (in particolare delle leggi nn. 575 del 1965, 646 del 1982 e 55 del 1990);
b) ai membri dei collegi sindacali di associazioni e società nonché ai componenti dell'organo di vigilanza previsto dalla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato (comma 2-bis); su questo aspetto va ricordato che l’art. 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 esclude la responsabilità della persona giuridica se la stessa ha affidato ad un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli organizzativi e di curare il loro aggiornamento;
c) alle imprese prive di sede principale o secondaria in Italia. In particolare la documentazione antimafia dovrà riguardare coloro che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione dell’impresa;
d) alle società concessionarie di giochi pubblici .
Nell’ambito di tali società, la documentazione antimafia dovrà riferirsi:
- ai soci con capitale o patrimonio superiore al 2%;
- ai direttori generali;
- ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle organizzazioni in Italia di soggetti non residenti;
- al legale rappresentante, ai componenti dell’organo di amministrazione di società di capitali che detengano quote della concessionaria di giochi pubblici;
- alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano le società di capitali che detengono quote della concessionaria di giochi pubblici, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Per tutte questi soggetti la documentazione antimafia deve riferirsi anche al coniuge non separato.

L’articolo 3 interviene sull’articolo 86 del Codice Antimafia, che dispone in ordine alla validità della documentazione antimafia.
La documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall'informazione antimafia; la prima, rilasciata dal prefetto, consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'art. 67.
Fuori dai casi in cui è richiesta l'informativa antimafia e nei casi urgenti, i contratti e i subcontratti sono stipulati previa acquisizione di apposita autocertificazione.
L'informazione antimafia, rilasciata dal Prefetto e richiesta prima di stipulare, approvare, autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia superiore a determinate soglie , consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate dalla verifica.
E’ stabilito che la comunicazione antimafia ha una validità di sei mesi dalla data di acquisizione, mentre l’informazione antimafia ha , di regola, una validità di dodici mesi dalla data di certificazione. In materia di procedimento di rilascio delle informazioni antimafia le modifiche consistono nel fatto che se il soggetto cui l’informazione antimafia si riferisce è censito dalla banca dati nazionale:
• il prefetto deve rilasciare l’informazione liberatoria immediatamente , se la consultazione della banca dati dà esito positivo;
• il prefetto deve rilasciare l’informazione antimafia (liberatoria o interdittiva) solo dopo aver effettuato le necessarie verifiche se la consultazione della banca dati rileva l’esistenza di cause ostative. In questo caso il prefetto ha a disposizione 45 giorni che, in caso di verifica complessa, possono essere prorogati di ulteriori 30 giorni .
Per quanto riguarda, invece, il soggetto non censito dalla banca dati nazionale, il decreto correttivo:
- esclude che il prefetto possa rilasciare immediatamente la comunicazione liberatoria;
- impone al prefetto di effettuare le stesse verifiche previste per l’ipotesi in cui dalla consultazione della banca dati emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto o di un tentativo di infiltrazione mafiosa .
Conseguentemente, il prefetto anche in questo caso dovrà rilasciare la comunicazione (liberatoria o interdittiva) entro 45 giorni dalla richiesta, prorogabili al massimo di ulteriori 30.

VIDIMA DELLE PARCELLE DA PARTE DEGLI ORDINI


Con la circolare del 5/12/2012 n. 145 il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) ha fornito indicazioni sulla liquidazione dei compensi professionali tra professionista e committente, ed in particolare sulla funzione di vidima delle parcelle da parte degli Ordini alla luce dell’abrogazione, prevista dal D.L. 24/01/2012 n. 1, delle tariffe professionali.
Tale abrogazione, secondo il CNAPPC, ha infatti determinato perplessità sul ruolo delle “commissioni parcelle” incaricate di emettere dei pareri sulla liquidazione degli onorari, ma a tal proposito si ribadisce che rimane immutata la funzione di vidima da parte del Consiglio dell’Ordine.
A proposito dei criteri sulla base dei quali effettuare tale vidima, il CNAPPC precisa quanto segue:
-       nei lavori privati occorrerà attenersi a quanto indicato dal D.M. 140/2012, a cui peraltro farà riferimento anche il giudice eventualmente chiamato in causa. A tal proposito la giurisprudenza della Corte di Cassazione con le sentenze del 21/11/2012 n. 20421 e del 12/10/2012 n. 17406 ha ritenuto si debba applicare quanto stabilito dal D.M. 140/2012 anche ai casi in cui le attività professionali siano iniziate prima dell'abrogazione del sistema tariffario, e cioè prima del 24/01/2012 (data di entrata in vigore del D.L. 1/2012);
-       per la determinazione dei compensi nei lavori pubblici, sia i Consigli dell’Ordine (nella loro funzione di opinamento) sia le stazioni appaltanti potranno continuare a fare riferimento ai parametri indicati dal D.M. 4/4/2001 fino a quanto non verrà emanato il nuovo Decreto congiunto dai ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture.
Il CNAPPC ricorda infine come per scongiurare contenziosi, il professionista ha l’obbligo di pattuire, per iscritto, un vero e proprio contratto da presentare al cliente relativo alla prestazione da svolgere, ai tempi, ai compensi (specificando spese, oneri e contributi) ed evidenziando anche il grado di complessità dell’incarico e gli estremi della polizza assicurativa (con indicazione dei massimali). Il contratto dovrà quindi essere definito nei particolari sin dal conferimento dell’incarico.

LIQUIDAZIONE COMPENSI PROFESSIONALI DA PARTE DI UN ORGANO GIURISDIZIONALE


I parametri di liquidazione del compenso, stabiliti con il D.M. 20 luglio 2012 n. 140 recante indicazioni in merito alla determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, hanno carattere retroattivo. Ne consegue che i nuovi parametri saranno applicabili anche nel caso in cui la prestazione professionale sia iniziata prima dell'entrata in vigore del decreto ministeriale e quindi si sia svolta, almeno in parte, sotto il regime delle vecchie tariffe ormai abrogate. Sent. Corte Cost. 12/10/2012, n. 17406

Fonti richiamate:
Circ. CNA 05/12/2012, n. 145
Liquidazione dei compensi professionali.
D. Min. Giustizia 20/07/2012, n. 140
Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con...
D.L. 24/01/2012, n. 1
Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività.

Si veda la circolare n.147 del 20/11/2012 del Consiglio Nazionale Ingegneri relativa all'applicazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

SE NEL CANTIERE CI SONO OPERE DA COMPLETARE, IL LAVORATORE EDILE NON PUÒ ESSERE LICENZIATO PER FINE LAVORI


Con la sentenza 20033 del 15 novembre 2012, la Cassazione ha affermato che se nel cantiere sono presenti ancora opere da completare, il lavoratore edile non può essere licenziato per fine lavori. Per la Suprema corte, per procedere ai licenziamenti è necessario ricorrere alla procedura collettiva prevista dalla legge n. 223 del 1991
Nel caso di specie la Corte di merito aveva accolto il ricorso del lavoratore rilevando che la disciplina sui licenziamenti collettivi non trovava applicazione nel solo caso in cui la fase lavorativa fosse del tutto ultimata e non quando fosse in via di completamento.
L'impresa si è rivolta ai giudici di legittimità sostenendo di avere rispettato i criteri di scelta indicati dalla legge n. 223 del 1991 avendo proceduto al licenziamento del muratore in base a esigenze tecnico-produttive, all'anzianità e con l'avallo delle organizzazioni sindacali. 
Ma la Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che «in caso di lavori edili non ancora del tutto ultimati, non si può fare ricorso alla disciplina "agevolata" ma deve essere applicata la procedura prevista dagli articoli 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 caratterizzata da un complesso iter che inizia con formali comunicazioni ai sindacati e prosegue secondo fasi normativamente predeterminate il cui mancato rispetto comporta l'invalidità del licenziamento. Non è quindi sufficiente ai fini della validità del recesso il mero rispetto dei criteri di scelta previsti dalla legge ma è necessario osservare tutta la procedura». 

venerdì 14 dicembre 2012

PRESENZA DI GIOVANI PROFESSIONISTI NEI RAGGRUPPAMENTI


PARERE DELL’AVCP N. 158 DEL 27/9/2012
L’art. 90, comma 7, del Codice degli appalti demanda al regolamento di definire “le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione, concorsi di idee”; a norma del quinto comma dell’articolo 253 del D.P.R. 207 del 2010, pertanto: “ai sensi dell’articolo 90, comma 7, del codice, i raggruppamenti temporanei previsti dallo stesso articolo 90, comma 1, lettera g), del codice devono prevedere quale progettista la presenza di almeno un professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all’esercizio della professione secondo le norme dello Stato membro dell’Unione europea di residenza”.
Nella fattispecie all’esame – concernente l’affidamento di servizi di Direzione Lavori, misura e contabilità e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione per i lavori citati in oggetto – si ritiene, quindi, che non sussistano i presupposti di fatto e di diritto per l’applicazione della disposizione normativa sopra citata, non trattandosi dell’affidamento di un incarico di progettazione e che, pertanto, non necessiti nemmeno l’osservanza della norma che impone la presenza di un progettista giovane professionista (laureato abilitato da meno di cinque anni rispetto alla data del bando) all’interno del raggruppamento.
Le disposizioni citate, e la norma primaria con nitida chiarezza, riferiscono, infatti, la necessaria presenza del c.d. “giovane professionista” alle sole gare aventi ad oggetto la progettazione delle opere; quindi, alle procedure per l’affidamento di incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e concorsi di idee e non già all’affidamento dei servizi in oggetto.
Giova, peraltro, evidenziare che, ai sensi dell’evocata disposizione asseritamente violata – in quanto il “giovane professionista” non avrebbe avuto una precisa attribuzione né in relazione al legame giuridico con gli altri soggetti partecipanti né in relazione alla attività allo stesso affidata – anche una semplice collaborazione soddisferebbe l’obbligo di legge (ex multis: Cons. Giust. Amm., 2 marzo 2009, n. 95; T.AR. Veneto, Sez. I, 28 febbraio 2008, n. 492).
Inoltre, a ben vedere, per poter partecipare all’affidamento di incarichi di progettazione in qualità di raggruppamento temporaneo non è necessario avere come associato un professionista abilitato da almeno cinque anni all’esercizio della professione, atteso che la norma parla soltanto di “presenza” di un giovane professionista, con evidenti finalità di carattere promozionale, non potendo essere intesa come prescrizione di un vero e proprio obbligo di associarlo al raggruppamento; pertanto, ai fini della valida partecipazione di un r.t.i. alle stesse procedure indette per l’aggiudicazione di servizi di progettazione – diverse da quella in esame – è sufficiente che nella compagine del raggruppamento sia prevista la presenza, con rapporto di collaborazione professionale o di dipendenza, di un professionista abilitato iscritto all’albo da almeno cinque anni, ma senza la necessità che questi assuma anche responsabilità contrattuali.
La giurisprudenza amministrativa, d’altronde, ha da tempo chiarito come la prescrizione di cui trattasi, relativa alla necessaria presenza nella compagine del raggruppamento di un “giovane professionista”, risponda ad evidenti finalità di carattere “promozionale”, onde garantire allo stesso la possibilità di svolgere un utile apprendistato e arricchire il proprio bagaglio curricolare, ma non comporti l’obbligo di associare il giovane professionista al raggruppamento (Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2006, n. 6347). Oltretutto, il requisito che richiede nelle gare per servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria che i raggruppamenti temporanei garantiscano la presenza di un professionista abilitato da meno di cinque anni, non viene interpretata letteralmente come un obbligo posto a pena di esclusione. 

E' POSSIBILE RITIRARE UN'OFFERTA?


La questione oggetto del presente esame attiene alla possibilita', per un concorrente, di ritirare la propria offerta dopo la scadenza del termine di presentazione previsto nel bando di gara o nella lettera di invito.
Si deve, al riguardo, evidenziare che l'articolo 11, comma 6, del Codice dei contratti pubblici dispone che l'offerta e' vincolante per il periodo indicato nel bando o nella lettera di invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione. Il successivo comma 7, stabilisce che l'offerta dell'aggiudicatario e' irrevocabile fino al termine per la stipulazione del contratto.
L'articolo 2, comma 4, del Codice dei contratti pubblici stabilisce poi che, per quanto non espressamente previsto nel Codice, l'attivita' contrattuale delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal Codice Civile. In una prospettiva civilistica, il bando di gara e' da considerarsi come invito a offrire, mentre l'offerta del concorrente e' una proposta.
Dal combinato disposto dell'art. 1328, comma 1, Codice civile (''La proposta puo' essere revocata finche' il contratto non sia concluso'') e del citato comma 6, secondo periodo, dell'art. 11 del Codice dei contratti pubblici (''L'offerta e' vincolante per il periodo indicato dal bando o nella lettera di invito e, in caso di mancata indicazione, per 180 giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione'') si ricava che la proposta del concorrente al pubblico appalto diviene irrevocabile non appena sia scaduto il termine per la sua presentazione.
Ed infatti, scaduto il predetto termine, la proposta diviene irrevocabile anche ai sensi di quanto prevede l'art. 1329, c. 1, del Codice civile (''Se il proponente si e' obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca e' senz'effetto'').
Peraltro, la previsione di un termine di efficacia dell'offerta presentata di durata certa, stabilita preventivamente, e non piu' manovrabile per effetto di eventuali accordi tra partecipanti, come tali ormai individuati, ovvero ad opera della stessa commissione aggiudicatrice, risponde anche ad un'evidente esigenza di trasparenza delle pubbliche gare, idonea, a seconda dei casi, a non alterare il calcolo delle medie ovvero, come nella specie, della soglia di anomalia. E questa esigenza e' tanto piu' sentita in ipotesi, come quella di cui si tratta, nella quale e' prevista l'esclusione automatica delle offerte anomale ( cfr. Consiglio di Stato, sez V, 28 novembre 2006).
Come peraltro recentemente affermato dall’Autorita' nella determinazione n. 7 del 2011, sull'offerta economicamente piu' vantaggiosa nel settore dei servizi e forniture, anche nel caso di utilizzo di tale criterio di aggiudicazione occorre evitare che la graduatoria possa essere modificata artatamente da un concorrente a favore di un altro in fase di procedura di gara.
Cio', ad esempio, potrebbe verificarsi, nel caso si utilizzi il metodo aggregativo compensatore, ritirando un'offerta che, comportando la modifica del valore massimo o del valore medio dei ribassi offerti, comporti una variazione della graduatoria per cui la gara viene aggiudicata ad un concorrente diverso (con un'offerta peggiore sul piano qualita'/prezzo per l'amministrazione) rispetto a quello (con un'offerta migliore sul piano qualita'/prezzo per l'amministrazione) che sarebbe risultato vincitore, in presenza di tutte le offerte. Al fine di scongiurare tali rischi, l'Autorita' ha ritenuto che, in base alle norme prima illustrate, i punteggi conseguiti per l'offerta tecnica e per l'offerta economica non si modificano dopo l'apertura delle buste economiche anche se un concorrente ritira la propria offerta con tutte le conseguenze previste dalla legislazione di settore ed in particolare dagli articoli, 38, 48 e 75 del Codice dei contratti pubblici.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni, si puo' quindi concludere che non e' ammissibile la richiesta di ritiro dell'offerta da parte di un concorrente dopo la scadenza del termine per la presentazione della stessa, in quanto dopo tale data l'impresa e' vincolata alla propria istanza di partecipazione alla gara ed alla propria offerta, con tutte le conseguenze previste dalla legislazione di settore ed in particolare dagli articoli, 38, 48 e 75 del d.lgs. n. 163/2006.
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che non si possa accogliere la richiesta di ritiro dell'offerta avanzata dal concorrente in quanto essa e' avvenuta dopo la scadenza del termine previsto per la sua presentazione.

RITIRO DELLE OFFERTE


Sussiste fino all'inizio delle operazioni di gara la possibilità di ritirare le offerte, anche se il bando preveda un periodo minimo in cui le stesse devono essere tenute ferme.

E' questo il principio con cui il TAR Lecce ha respinto, con sentenza 2 maggio 2007 n. 1790, il ricorso proposto da un ATI partecipante ad una gara d'appalto, statuendo che "In aderenza sia alle regole civilistiche di cui agli artt. 1326 e seguenti Cod. civ., sia alla regola speciale di cui all'art. 75, comma 7, del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, deve ritenersi che un'impresa partecipante ad una gara d'appalto possa ritirare la propria offerta fino a quando le operazioni di gara non siano iniziate e ciò anche nel caso in cui il bando preveda un periodo minimo in cui le offerte debbono essere tenute ferme".
Ha poi aggiunto il TAR che "In materia di gare pubbliche, la stazione appaltante, decorso - per causa ad essa imputabile - il termine indicato nel bando durante il quale le offerte debbono essere tenute ferme, deve correttamente interpellare i concorrenti ammessi alla procedura, per verificare la sussistenza del loro interesse all'eventuale aggiudicazione, e ciò soprattutto nei casi in cui, nelle more del procedimento, ci siano state significative variazioni dei costi dei fattori della produzione relativi all'appalto; l'omesso interpello delle imprese concorrenti, tuttavia, non determina ex se l'invalidità sopravvenuta delle offerte per scadenza del termine, in quanto (fermo restando che le offerte conformi al bando non possono essere considerate ad tempus) la persistenza dell'interesse all'aggiudicazione si può desumere anche per facta concludentia (ad esempio dalla circostanza che il concorrente aggiudicatario accetti di rendere le giustificazioni dell'offerta anomala o si presenti per la stipula del contratto, senza formulare riserve o eccezioni)".
Tuttavia si deve segnalare, l'orientamento opposto del massimo organo della Giustizia amministrativa nella materia (cfr. da ult. Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2007 n. 1786).
Nello stesso senso, invece, T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. II, 18 febbraio 2006, n. 950; sentenza questa recentemente riformata dal Consiglio di Stato in aderenza al richiamato orientamento.

Il Tribunale ha formulato qualche considerazione a proposito del corretto modus operandi che le stazioni appaltanti dovrebbero osservare per quanto riguarda la problematica in questione.
Innanzitutto, non risponde al vero che le offerte, nelle more della celebrazione della gara, non sono revocabili, e ciò anche nel caso in cui il bando preveda un periodo minimo in cui le offerte debbono essere tenute ferme; a questo proposito, si richiama la sentenza della Sezione 18.2.2006, n. 950 (relativa ad una vicenda analoga, in cui, nonostante il bando di gara prevedesse che le offerte dovevano essere tenute ferme per 180 giorni, un'impresa, poco prima dell'apertura della seduta del seggio di gara, aveva comunicato di voler rinunciare alla partecipazione), nella quale il Tribunale ha statuito che:
1 - non c'è dubbio circa il fatto che un'impresa partecipante ad una gara d'appalto possa ritirare la propria offerta, e ciò sia in aderenza alle regole civilistiche di cui agli artt. 1326 e seguenti c.c., sia della regola speciale di cui all'art. 75, comma 7, del R.D. 23.5.1924, n. 827 (il quale dispone che "Le offerte mandate o presentate non possono essere più ritirate dopo aperta l'asta, ma lo stesso offerente può presentarne altre prima che sia cominciata la apertura dei pieghi", con ciò ammettendo che, fino a quando le operazioni di gara non siano iniziate, le offerte possono essere ritirate). In effetti, il Codice Civile prevede espressamente la revoca dell'accettazione (a cui, mutatis mutandis, va equiparata l'offerta presentata in una gara d'appalto), e ciò in ragione del principio generale secondo cui nessuno può essere costretto a concludere un contratto per il quale non ha più interesse, il che ovviamente non esclude l'eventuale responsabilità precontrattuale a carico del revocante, laddove il destinatario dell'accettazione avesse maturato il fondato convincimento circa la conclusione del contratto (ma ciò non si verifica in generale nelle gare ad evidenza pubblica, in quanto, fino al momento dell'individuazione del miglior offerente, la stazione appaltante non può aver maturato un legittimo affidamento sulla conclusione del contratto con il concorrente rinunciatario);
2 - il periodo di tempo previsto dal bando per il quale l'offerta deve essere tenuta ferma (pari, anche nel caso deciso dal TAR con la citata sentenza n. 950/2006, a 180 giorni dalla data di presentazione delle offerte) obbedisce ad esigenze diverse (ossia, quelle di evitare che il tempo occorrente per la conclusione del procedimento comporti un incremento del corrispettivo dell'appalto e, nel contempo, permettere alla stazione appaltante di interpellare altri concorrenti nel caso l'aggiudicatario venga dichiarato decaduto o non risulti in possesso dei requisiti richiesti per contrarre con la P.A.) e pertanto non è ostativo alla possibilità di rinunciare alla partecipazione;
3 - l'offerta della ditta rinunciataria non va tenuta in considerazione ai fini della determinazione delle medie e della soglia di anomalia;
4 - l'eventuale turbativa d'asta che potrebbe derivare da una rinuncia "mirata", si può verificare solo quando essa coinvolga un numero significativo di concorrenti (tale per cui la media delle offerte può essere alterata in modo considerevole), e non anche quando a rinunciare alla partecipazione sia una sola impresa. In ogni caso, considerato che la legge tace al riguardo, la decisione relativa alla possibilità di annullare l'intera procedura per possibile turbativa spetta alla stazione appaltante, la quale deve valutare se la contestuale rinuncia da parte di più concorrenti costituisca un indizio in tal senso.
Ciò detto, la stazione appaltante, decorso - per causa ad essa imputabile - il termine indicato nel bando durante il quale le offerte debbono essere tenute ferme, dovrebbe correttamente interpellare i concorrenti ammessi alla procedura, per verificare la sussistenza del loro interesse all'eventuale aggiudicazione, e ciò soprattutto nei casi in cui, nelle more del procedimento, ci siano state significative variazioni dei costi dei fattori della produzione relativi all'appalto. Peraltro, l'omesso interpello delle imprese accorrenti non determina ex se l'invalidità sopravvenuta delle offerte per scadenza del termine, in quanto (fermo restando che le offerte conformi al bando non possono, per quanto detto supra, essere considerate ad tempus) la persistenza dell'interesse all'aggiudicazione si può desumere anche per facta concludentia, ad esempio dalla circostanza che il concorrente aggiudicatario accetti di rendere le giustificazioni dell'offerta anomala (come è accaduto nel caso di specie) o si presenti per la stipula del contratto, senza formulare riserve o eccezioni. Infine, per prevenire possibili future contestazioni in sede di esecuzione del contratto, la stazione appaltante può comunque sottoporre a verifica di congruità - in applicazione dell'art. 86, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 - l'offerta risultata aggiudicataria, per verificare se essa è, nonostante il tempo trascorso dalla sua redazione, ancora remunerativa per l'impresa; analoga verifica possono pretendere ovviamente, o con reclamo alla stazione appaltante o con ricorso giurisdizionale, le altre imprese rimaste in gara.