giovedì 5 dicembre 2013

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 OTTOBRE 2013


-     l'articolo 109, comma 2, del D.P.R. 207/2010 (in relazione all’Allegato A, e, in particolare, alla «Tabella sintetica delle categoria»);
-       l'articolo 107, comma 2, del D.P.R. 207/2010;
-       l’articolo 85, comma 1, lettera b), numeri 2) e 3) del medesimo D.P.R. 207/2010.
Nel ricorso l’AGI ha contestato le disposizioni del Regolamento che impediscono all’impresa appaltatrice, in possesso di qualificazione in una categoria di lavorazione generale (OG), di poter eseguire direttamente anche tutte le lavorazioni delle categorie specialistiche nonché «super specialistiche» previste nel bando come scorporabili (artt. 107, comma 2, e 109, comma 2 e Allegato A).
Inoltre, è stato contestato anche l’articolo 85, comma 1, lettera b), numeri 2 e 3 del Regolamento, nella parte in cui prevede un limite all’utilizzabilità, ai fini della qualificazione nella categoria scorporabile, dei lavori affidati in subappalto, se questo ha superato il 30% dell’importo della categoria scorporabile a qualificazione non obbligatoria, ovvero il 40% nel caso di categoria a qualificazione obbligatoria.
Con l'emanazione del D.P.R. 30/10/2013 si hanno, dunque, i seguenti effetti:
a)    nella redazione dei bandi di gara occorre considerare come categorie a qualificazione obbligatoria quelle categorie scorporabili non ricomprese nella definizione della categoria di opere generali; questa individuazione va eseguita, per ora, sul dato testuale della descrizione delle varie categorie di opere generali fornita dall’Allegato A del dPR 207/2010;
b)    per le categorie specialistiche a qualificazione non obbligatoria perché rientranti nella descrizione delle categorie di opere generali, non sussiste l’obbligo di ricorrere al subappalto e potranno essere eseguite direttamente dall’impresa appaltatrice in possesso di qualificazione nella categoria generale prevalente;
c)    per l’esecuzione di opere impiantistiche ricomprese nella descrizione della categoria di opere generali potrebbe risultare necessario richiedere le abilitazioni richieste dalla normativa per l’esecuzione degli impianti la cui produzione non è necessaria ai fini dell’ottenimento dell’attestazione SOA (es. categoria OG1);
d)  per le categorie specialistiche a qualificazione obbligatoria, non esistendo più le categorie superspecialistiche (sios), qualora l’importo delle stesse da appaltare superi il 15% dell’importo totale dell’appalto, deve comunque applicarsi il limite del ricorso al subappalto del 30%; ciò in quanto la norma dell’art.37 comma 11 del D.Lgs. 163/2006 è norma legislativa e quindi di rango superiore;
e)    l’art.92 comma 2 del dPR 207/2010 non può essere interpretato nel senso di imporre una percentuale minima di partecipazione all’ATI. Ne deriva che i requisiti di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi devono essere posseduti per il 40% dalla mandataria o da una consorziata e la restante percentuale deve essere posseduta dalle altre imprese ciascuna nella misura minima del 10%. La mandataria ha i requisiti in misura superiore a ciascuna delle mandanti. I lavori sono eseguiti nella percentuale corrispondente alle quote di partecipazione all’ATI ma i requisiti devono essere sufficienti a coprire tale quota. Una mandataria, pur in possesso di una qualificazione superiore al 40% dell’importo dei lavori, può decidere di partecipare all’ATI per una quota inferiore e una mandante, pur in possesso dei requisiti per il 10%, può decidere di partecipare per una quota inferiore.
f)    con l'annullamento dell'art. 85, comma 1, lettera b), numeri 2 e 3, l’appaltatore potrà utilizzare la quota dei lavori subappaltati, decurtata della parte eccedente il 30% o il 40%, ripartendola tra categoria prevalente e scorporabile, senza particolari limitazioni per quanto concerne la riferibilità alla categoria scorporabile.

martedì 5 novembre 2013

VADEMECUM PER INDIVIDUARE LE IRREGOLARITÀ E LE ANOMALIE NEGLI APPALTI CHE PORTANO A VIOLAZIONI DELLA CONCORRENZA

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha elaborato un vademecum, rivolto alle Stazioni Appaltanti.
Questi, in sintesi, i segnali che rivelano un comportamento anomalo.

Boicottaggio della gara
Gli obiettivi del boicottaggio sono prolungare il contratto con il fornitore abituale o di ripartire il lavoro tra tutte le imprese interessate. I segnali da cui si può evincere consistono in nessuna offerta presentata, presentazione di un'unica offerta o di un numero di offerte insufficiente per procedere all’assegnazione dell’appalto, presentazione di offerte dello stesso importo.

Offerte di comodo
Questo tipo di offerte vuole dare l’idea di regolarità concorrenziale presentando una serie di offerte troppo alte in modo che ad aggiudicarsi la gara sia un’impresa determinata, che presenta l’offerta ad un prezzo più basso, ritenuto adeguato. Gli indicatori sono offerte presentate dalle imprese che non si aggiudicano l’appalto caratterizzate da importi palesemente troppo elevati o comunque superiori a quanto le stesse imprese hanno offerto in analoghe procedure, offerte contenenti condizioni particolari e notoriamente inaccettabili e presentazione di offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino.

Subappalti o Associazione Temporanea d’Imprese
L’obiettivo dei subappalti e delle Ati è ampliare la platea dei soggetti che possono partecipare a meccanismi di gara, dando spazio anche alle imprese più piccole. A volte, però, possono essere utilizzati dai partecipanti alla gara per spartirsi il mercato. Questa opzione emerge quando delle imprese, che singolarmente sarebbero in grado di partecipare a una gara, si astengono in vista di un successivo subappalto o optano per la costituzione di un’ATI, quando la costituzione di ATI o il subappalto sono perfezionati da imprese accomunate dalla stessa attività prevalente, se un’impresa che decide inizialmente di partecipare a una gara ritira l’offerta e risulta poi beneficiaria di un subappalto relativo alla medesima gara, o, infine, quando, nei casi di aggiudicazione basata sull’offerta economicamente più vantaggiosa, l’ATI può essere il frutto di una strategia escludente, tesa ad impedire a imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo.

Rotazione delle offerte e ripartizione del mercato
Secondo l’Antitrust, la presenza di un cartello può emergere dall’analisi della sequenza delle aggiudicazioni. Il committente potrà scoprire eventuali irregolarità dalla successione temporale con cui le imprese si aggiudicano le gare o dalla ripartizione in lotti delle vincite.

Altre modalità sospette
Altri casi che possono far emergere irregolarità sono comuni errori di battitura, stessa grafia, riferimento a domande di altri partecipanti alla medesima gara, analoghe stime o errori di calcolo, consegna contemporanea di più offerte per conto di differenti partecipanti alla medesima procedura di gara.

Ulteriori utili indicazioni per l’individuazione di casi sospetti in violazione del diritto antitrust possono essere tratte dal documento a cura dellOECD “Linee guida per la lotta contro le turbative d’asta negli appalti pubblici

mercoledì 16 ottobre 2013

IMMODIFICABILITÀ SOGGETTIVA DELL'A.T.I.

Con la sentenza 14 dicembre 2012 n. 6446 il Consiglio di Stato ribadisce (vd. da ultimo  Ad. Plen. n. 22 del 2012) il principio di immodificabilità soggettiva dell'A.T.I. per tutta la procedura di gara ai sensi dell'art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006.

1. L’istituto del raggruppamento temporaneo di imprese rappresenta uno strumento volto ad agevolare la partecipazione alle gare di appalto disposte dalle pubbliche amministrazioni e dagli organismi pubblici in genere, al duplice scopo di consentire l’ampliamento delle imprese partecipanti, e dunque le occasioni di lavoro per le medesime, e di offrire al contempo alla stazione appaltante una più ampia possibilità di scelta con conseguente migliore definizione dell’offerta.
2. L' immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche è preordinata a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara. E’ per tali ragioni, che l'art. 37, co. 9, del D.Lgs n. 163/2006 stabilisce il divieto di modificare la composizione dei raggruppamenti temporanei e le eccezioni previste ai commi 18 e 19 (fallimento del mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore individuale, morte, interdizione o inabilitazione, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia) sono ammissibili in quanto, riguardano motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e trovano giustificazione nell'interesse della stazione appaltante alla continuazione della stessa.
3. Nel caso in cui una impresa, sia essa la mandataria o una delle mandanti del raggruppamento, dichiara di non voler più partecipare al raggruppamento (ad esempio, non partecipando alla sua successiva costituzione), ovvero dichiara alla amministrazione aggiudicatrice di non avere più intenzione di eseguire le prestazioni cui era obbligata ai sensi dell’offerta, ovvero ancora nel caso in cui dichiara di “rinunciare” - anche solo in proprio - agli effetti dell’aggiudicazione o del contratto, in ciascuno di detti casi si realizza una differente composizione (per sottrazione/riduzione) del raggruppamento per come esso si è presentato, quale concorrente, in sede di gara, di modo che deve procedersi ai sensi dell’art. 37, comma 10, all’annullamento dell’aggiudicazione o alla declaratoria di nullità del contratto, fermo ogni ulteriore profilo di (eventuale) responsabilità dell’impresa nei confronti della amministrazione appaltante. Tale modica soggettiva dell’A.T.I, priva difatti l’amministrazione del suo contraente (presente o futuro), così come determinato in sede di gara.

Estratto della Sentenza
“…………………………………………………………..omissis…………………….
In sostanza, la presente controversia consiste nello stabilire quali siano le conseguenze della rinuncia agli effetti dell’aggiudicazione effettuata dall’impresa mandataria di un R.T.I..
Il primo giudice, argomentando sull’art. 37 Codice dei contratti, ha ritenuto:
- per un verso che la rinuncia sarebbe possibile, purché ne sia attribuito esplicitamente il relativo potere alla mandataria, da parte delle imprese mandanti. Ciò si evince laddove in sentenza si afferma che il potere di rinuncia alla aggiudicazione “non rientra tra i poteri conferiti alla mandataria nella procura, in assenza di una esplicita previsione nella stessa”; ed inoltre laddove si afferma che “la rinuncia alla stipula del contratto risolvendosi in una sorta di rinuncia all’aggiudicazione, sulla base del principio della forma del contrarius actus deve provenire da tutti i soggetti del R.T.I., i quali, peraltro, a tal fine possono esplicitamente attribuire il suddetto potere alla mandataria”;
- per altro verso che, in difetto di attribuzione esplicita del potere di rinuncia alla aggiudicazione, questo “non rientra tra i poteri conferiti alla mandataria nella procura”, poiché “la costituzione della R.T.I., una volta intervenuta l’aggiudicazione, è finalizzata alla stipula del contratto”, di modo che “i poteri concessi alla capogruppo si estendono per legge a tutte quelle attività conseguenti e successive a tale ultimo provvedimento e finalizzate unicamente a consentire la stipula del contratto”;
- per altro verso ancora, ha concluso affermando che la rinuncia, se effettuata dalla mandataria in assenza di una esplicita previsione nella procura, “non può impegnare le altre imprese componenti dell’A.T.I., con l’ulteriore conseguenza che la stazione appaltante è tenuta formalmente ad accertare se sussistono ancora gli estremi per procedere alla stipula del contratto, al fine di adottare i consequenziali provvedimenti nei confronti delle imprese dell’A.T.I. aggiudicatrice che con il loro operato ne hanno impedito la stipula”.
Questo Consiglio di Stato non ritiene di poter condividere tali considerazioni, alla luce delle argomentazioni di seguito esposte.
4. I raggruppamenti temporanei sono definiti dall’art. 2, comma 20, d. lgs. n. 163/2006, come “un insieme di imprenditori, o fornitori, o prestatori di servizi, costituito, anche mediante scrittura privata, allo scopo di partecipare alla procedura di affidamento di uno specifico contratto pubblico, mediante presentazione di un’unica offerta”
Più in particolare, l’art. 37 d. lgs. n. 163/2006 prevede, per quel che interessa nella presente sede:
“1. Nel caso di lavori, per raggruppamento temporaneo di tipo verticale si intende una riunione di concorrenti nell'ambito della quale uno di essi realizza i lavori della categoria prevalente; per lavori scorporabili si intendono lavori non appartenenti alla categoria prevalente e così definiti nel bando di gara, assumibili da uno dei mandanti; per raggruppamento di tipo orizzontale si intende una riunione di concorrenti finalizzata a realizzare i lavori della stessa categoria.
2. Nel caso di forniture o servizi, per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di concorrenti in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o di forniture indicati come principali anche in termini economici, i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione; le stazioni appaltanti indicano nel bando di gara la prestazione principale e quelle secondarie.
3. Nel caso di lavori, i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento ovvero gli imprenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel regolamento.
4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati.
5. L'offerta dei concorrenti raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Per gli assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, per gli assuntori di prestazioni secondarie, la responsabilità è limitata all'esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale del mandatario.
6. Nel caso di lavori, per i raggruppamenti temporanei di tipo verticale i requisiti di cui all’articolo 40, sempre che siano frazionabili, devono essere posseduti dal mandatario per i lavori della categoria prevalente e per il relativo importo; per i lavori scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti per l'importo della categoria dei lavori che intende assumere e nella misura indicata per il concorrente singolo. I lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale.
7. È fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti. . . .
8. È consentita la presentazione di offerte da parte dei soggetti di cui all'articolo 34, comma 1, lettere d) ed e), anche se non ancora costituiti. In tal caso l'offerta deve essere sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti e contenere l'impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, gli stessi operatori conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, da indicare in sede di offerta e qualificata come mandatario, il quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e dei mandanti.
9. È vietata l'associazione in partecipazione. Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta.
10. L'inosservanza dei divieti di cui al precedente comma comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l'esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto (. . . ) .
14. Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, detto mandatario.
15. Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata. La relativa procura è conferita al legale rappresentante dell’operatore economico mandatario. Il mandato è gratuito e irrevocabile e la sua revoca per giusta causa non ha effetto nei confronti della stazione appaltante.
16. Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.
17. Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali.
18. In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall'appalto.
19. In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.
L’associazione (raggruppamento) temporanea di imprese venne introdotta nell’ordinamento italiano dalla legge 8 agosto 1977 n. 584, con la quale furono recepite le direttive comunitarie nn. 304 e 305 del 1971, e di seguito ulteriormente disciplinata dal d. lgs. 19 dicembre 1991 n. 406, dalla l. 11 febbraio 1994 n. 109 e dal DPR 21 dicembre 1999 n. 584.
Lo scopo del raggruppamento (o associazione) temporanea è quello di consentire la più ampia partecipazione a gare di appalto, in relazione alle quali le singole imprese non posseggono singolarmente tutte le competenze tecnico-operative, le categorie, caratteristiche e classifiche richieste dal bando (scopo che risulta accentuato dalle facilitazioni offerte dalla legge 18 novembre 1998 n. 415, che ha escluso la necessità di costituzione preventiva dell’associazione ai fini della partecipazione alla gara).
Proprio perché la finalità è costituita dalla agevolazione partecipativa alle gare attraverso temporanee aggregazioni “di scopo”, il raggruppamento temporaneo di imprese - come è stato chiarito anche dalla giurisprudenza risalente (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 1987 n. 246) fino alla più recente (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 giugno 2012 n. 22) – non dà luogo alla costituzione di un soggetto autonomo e distinto dalle imprese che lo compongono (mancando qualunque organizzazione comune), né ad un rigido collegamento strutturale.
In definitiva, può affermarsi che l’istituto del raggruppamento temporaneo di imprese rappresenta uno strumento volto ad agevolare la partecipazione alle gare di appalto disposte dalle pubbliche amministrazioni e dagli organismi pubblici in genere, al duplice scopo di consentire l’ampliamento delle imprese partecipanti, e dunque le occasioni di lavoro per le medesime, e di offrire al contempo alla stazione appaltante una più ampia possibilità di scelta con conseguente migliore definizione dell’offerta.
Orbene, alla luce di quanto esposto (ed in particolare, dalla complessiva lettura dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006), si evince:
- per un verso, che l’aggiudicazione, ove intervenuta in favore di un costituendo (o costituito) raggruppamento temporaneo, si intende disposta in favore della composizione di questo come “risultante dall'impegno presentato in sede di offerta” (comma 9);
- per altro verso, che una mutazione della composizione (fatte salve le ipotesi di cui ai commi 18 e 19 del medesimo art. 37), comporta “l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l'esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto” (comma 10);
- per altro verso ancora (ed ad ulteriore conferma delle ragioni fondanti l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto) che, sia nel raggruppamento verticale sia in quello orizzontale, ciascuno dei concorrenti deve effettuare, nel caso di lavori, quelli ad essi spettanti, di modo come non può essere ammessa una novazione soggettiva di uno o più dei partecipanti al raggruppamento, poiché ciò implica una mutazione di quanto dichiarato (e valutato) in sede di gara.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di osservare (sez. V, 20 aprile 2012 n. 2328), con considerazioni che si condividono, l'mmodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare pubbliche è preordinata a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara. E’ per tali ragioni, che l'art. 37, co. 9, del D.Lgs n. 163/2006 stabilisce il divieto di modificare la composizione dei raggruppamenti temporanei e le eccezioni previste ai commi 18 e 19 (fallimento del mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore individuale, morte, interdizione o inabilitazione, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia) sono ammissibili in quanto, riguardano motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e trovano giustificazione nell'interesse della stazione appaltante alla continuazione della stessa. Pertanto, al di fuori delle ipotesi normativamente previste, non è ammissibile alcuna modifica della composizione del raggruppamento affidatario (in senso conforme, Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2006 n. 1903 e 30 agosto 2006 n. 5081).
Questo Collegio non ignora che altra giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010 n. 842 e 13 maggio 2009 n. 2964; sez. V, 10 settembre 2010 n. 6546; sez. IV, 6 luglio 2010 n. 4332), ha ritenuto che il divieto di mutamento della composizione va letto come inteso ad impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all’A.T.I. e non anche a precludere il recesso di una o più imprese dall’associazione, a condizione che quelle che restano risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione, e sempre che il recesso e/o la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.T.I., e non per eludere la disciplina di gara, o, più in particolare, non sia finalizzato ad evitare la sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti a carico del componente.
A tal fine, si è sostenuto che tale interpretazione non penalizza la stazione appaltante, non creando incertezze, né le imprese “le cui dinamiche non di rado impongono modificazioni soggettive di consorzi e raggruppamenti, per ragioni che prescindono dalla singola gara, e che non possono precluderne la partecipazione se nessun nocumento ne deriva per la stazione appaltante”, né risulta violata la par condicio “perché non si tratta di introdurre nuovi soggetti in corsa, ma solo di consentire a taluno degli associati o consorziati il recesso, mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti” (in tal senso, Cons. St., sez. VI, n. 841/2010, cit.).
Il Collegio non ritiene di condividere tale ultima interpretazione, alla luce del chiaro disposto dell’art. 37, co. 9, il quale letteralmente prevede che “salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta.”.
Per un verso, quindi, il divieto imposto dal legislatore, riguarda “qualsiasi modificazione”, con ciò impedendosi all’interprete di escludere alcune delle modificazioni dal “totale” di esse, complessivamente vietato dal legislatore E ciò risulta a maggior ragione confermato dal fatto che il medesimo legislatore ha provveduto espressamente ad indicare le eccezioni al regime di divieto, con ciò ancora una volta (e a maggior ragione) precludendo interpretazioni volte ad escludere ipotesi di modificazione (quale quella in senso riduttivo dei componenti) dal complesso delle modifiche vietate.
In definitiva, l’interpretazione “meno rigida” sopra riportata non può ritenersi consentita poiché essa, in presenza di un chiaro (e complessivo) divieto imposto dalla legge, con l’escludere un caso da tale divieto, compie una operazione non già di interpretazione normativa, bensì di (non consentita) integrazione della norma, di per sé compiutamente disciplinante il caso considerato.
Tale operazione non già di interpretazione ma di (non consentita) integrazione normativa, risulta vieppiù non condivisibile, laddove si rileva che la stessa non si limita ad escludere contra legem le modificazioni per riduzione dei partecipanti dal divieto, ma distingue i casi di riduzione per esigenze organizzative, da ritenersi ammessi, dai casi di riduzione dei partecipanti per così dire “elusivi” di cause di esclusione, da ritenere vietati, in tal modo affidando – in modo estemporaneo ed in assenza di previsione normativa, anzi in presenza di esplicito divieto – all’amministrazione, e successivamente al giudice, una analisi delle ragioni del recesso dell’impresa dal raggruppamento.
Per altro verso, il divieto di modificazione, come si è già affermato, è volto a garantire l'amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara. Ma tale divieto è volto anche a presidiare la complessiva serietà delle imprese che partecipano alla gara, onde garantire la migliore affidabilità del futuro contraente dell’amministrazione.
Ed infatti, se è vero che il R.T.I. costituisce strumento volto ad agevolare la partecipazione del maggior numero di imprese alle gare, allo stesso tempo esso richiede anche una preventiva verifica di seria ed effettiva volontà di ciascuna impresa in ordine alla suddetta partecipazione in forma temporaneamente associata con altre.
Né è possibile sostenere che imprese possano dapprima decidere di partecipare ad una gara in forma associata, per poi – per le circostanze più varie – mutare tale forma composita di partecipazione, senza che ciò assuma – in presenza dei requisiti di partecipazione alle altre imprese del raggruppamento – alcuna rilevanza per l’amministrazione.
Da quanto sin qui esposto, consegue che, una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese abbia partecipato ad una gara e ne abbia ottenuto l’aggiudicazione, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara (l’ “impegno presentato in sede di offerta”, di cui parla il comma 9 dell’art. 37).
5. A maggior ragione, nel caso in cui una impresa, sia essa la mandataria o una delle mandanti del raggruppamento, dichiara di non voler più partecipare al raggruppamento (ad esempio, non partecipando alla sua successiva costituzione), ovvero dichiara alla amministrazione aggiudicatrice di non avere più intenzione di eseguire le prestazioni cui era obbligata ai sensi dell’offerta, ovvero ancora nel caso in cui dichiara di “rinunciare” - anche solo in proprio - agli effetti dell’aggiudicazione o del contratto, in ciascuno di detti casi si realizza una differente composizione (per sottrazione/riduzione) del raggruppamento per come esso si è presentato, quale concorrente, in sede di gara, di modo che deve procedersi ai sensi dell’art. 37, comma 10, all’annullamento dell’aggiudicazione o alla declaratoria di nullità del contratto, fermo ogni ulteriore profilo di (eventuale) responsabilità dell’impresa nei confronti della amministrazione appaltante.
In altre parole, l’effetto concreto che si produce, quale conseguenza delle situazioni sopra rappresentate, è quello di una modificazione della composizione del raggruppamento, che priva l’amministrazione del suo contraente (presente o futuro), così come determinato in sede di gara.
Né a diverse conclusioni si perviene qualora la dichiarazione di rinuncia agli effetti dell’aggiudicazione provenga dalla mandataria. Anche in questo caso, non ha alcun rilievo (per la Pubblica Amministrazione appaltante), se detta rinuncia rientri (o meno) tra i poteri conferiti alla mandataria, né assumono rilievo le disposizioni del codice civile, e segnatamente l’art. 1711 c.c., in base al quale “il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario”.
Come già affermato, nel caso di specie si realizza una modificazione soggettiva del raggruppamento, dovuta al venir meno di una delle imprese concorrenti e partecipanti al medesimo, di modo che ogni questione attinente ai poteri e relativi limiti dell’impresa mandataria non può che retrocedere a fronte del mero dato costituito dalla diversa realtà di fatto.
Occorre ricordare che le norme del Codice dei contratti, quali norme di natura pubblicistica, regolano le posizioni in sede di procedure di affidamento ed i rapporti in sede di esecuzione delle imprese private nei confronti (e con) una Pubblica Amministrazione, organismo pubblico o altro soggetto equiparato, non già (salvo specifiche ed espresse eccezioni) i rapporti tra soggetti privati e, in particolare, tra imprese operanti nell’ambito del medesimo raggruppamento.
Ciò comporta che le norme medesime devono essere interpretate nell’ambito di tale contesto, ed a chiarificazione dei rapporti tra soggetti privati e Pubblica Amministrazione, senza che eventuali disposizioni di fonte diversa, atte a regolare i rapporti interprivati, possano costituire – se non nei limiti strettamente necessari, e laddove la fattispecie delineata dalla norma di diritto pubblico non sia completa – integrazione di una diversa fattispecie e di una normativa di per sé autosufficiente.
Si intende, dunque, affermare che, nel caso in cui una impresa mandataria rinunci all’aggiudicazione, tale manifestazione di volontà sicuramente produce, nei confronti della Pubblica Amministrazione, una oggettiva modificazione della composizione del raggruppamento, le cui conseguenze, sul piano pubblicistico, sono disciplinate dall’art. 37, co. 10, d. lgs. n. 163/2006, mentre ogni questione relativa ai contenuti e limiti del rapporto di mandato - allorchè fuoriescono dalla disciplina pubblicistica -, od anche gli effetti di atti o comportamenti tenuti dall’impresa mandataria nei confronti dell’amministrazione sulla sfera giuridica delle mandanti, possono rilevare tra gli stessi mandante e mandatario, ma risultano indifferenti alla Pubblica Amministrazione, ed in ogni caso esulano dalla cognizione (e giurisdizione) del giudice amministrativo.

6. ……………………………………………..omissis………………………..
Fermo quanto sin qui affermato, il Collegio ritiene inoltre che rientri tra i poteri dell’impresa mandataria, anche di R.T.I. non ancora costituito (ed a maggior ragione nel caso di raggruppamento costituito), quello di rinunciare agli effetti dell’aggiudicazione.
Questo Consiglio di Stato si è già pronunciato sul punto, con ordinanze 27 luglio 2011 nn. 3272 e 3278 e 18 gennaio 2012 n. 191, affermando che “ai sensi dell’art. 37, co. 16, d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163, ben rientra nei poteri della mandataria di associazione temporanea di impresa la rinuncia all’aggiudicazione, tenuto conto che, in virtù della connessa procura rilasciata a detta mandataria, quest’ultima agisce anche in nome e per conto della mandante nell’ambito del rapporto di mandato avente chiara natura collettiva (ex art. 1726 c.c,) speciale ed irrevocabile, rilasciato anche nell’interesse della mandataria e della stazione appaltante e non soltanto della mandante”.
Il Collegio ritiene – con le precisazioni di seguito esposte - di non doversi discostare dalle conclusioni già espresse da questa Sezione, nella medesima controversia in sede cautelare.
Come si è detto, le imprese concorrenti che intendono costituire (o hanno già costituito) raggruppamento temporaneo devono conferire (art. 37, co. 14) “mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, detto mandatario”.
Ai sensi del co. 16 del citato art. 37, al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto”, ferma restando la possibilità che la stazione appaltante faccia valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.
Con la individuazione dell’impresa mandataria il legislatore, a fronte dell’agevolazione partecipativa alla gara concessa ad una pluralità di imprese (che altrimenti non avrebbero potuto parteciparvi), per il tramite del R.T.I., ha inteso rendere chiari ed immediati i rapporti con l’amministrazione appaltante, costituendo un unico soggetto di riferimento, tale da poter interloquire con la predetta amministrazione, a nome e per conto di tutte le imprese del raggruppamento, con ampiezza di poteri e definitività di manifestazione della volontà.
Ciò si evince chiaramente:
- sia dal conferimento al mandatario dei poteri del rappresentante (co. 14), con conseguente applicazione degli artt. 1387 ss. cod. civ.;
- sia, dalla individuazione del contenuto della rappresentanza, riferito nei confronti della stazione appaltante, a “tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall'appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto” (co. 16);
- sia dalla previsione di irrevocabilità del mandato e di ininfluenza, nei confronti dell’amministrazione appaltante, della eventuale revoca per giusta causa (co. 15).
A fronte di ciò, non vi sono ragioni per escludere che tra i poteri del mandatario rientri anche quello di rinunciare agli effetti dell’aggiudicazione, poiché:
- per un verso, tale limitazione non si evince dalle norme (che, anzi, prevedono la rappresentanza del mandatario per “tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto”);
- per altro verso, non è comunque consentito ai soggetti privati limitare contra legem il contenuto dei poteri del mandatario con rappresentanza nei confronti della stazione appaltante, così come definiti dalla legge, di modo che non è possibile sostenere (come invece affermato dalla sentenza appellata) che il detto potere di rinuncia potrebbe ammettersi solo laddove espressamente conferito dalle imprese mandanti.
Tale impostazione non esclude che il contratto di mandato limiti i poteri della impresa mandataria, ad esempio escludendo il potere di rinunciare all’aggiudicazione. Ma tale previsione, lungi dal dispiegare effetti, per le ragioni già esposte, nei confronti dell’amministrazione, assume rilievo esclusivamente sui rapporti intercorrenti tra le imprese (mandanti e mandataria) aderenti al costituendo o costituito raggruppamento temporaneo, onde definirne eventuali responsabilità.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto anche in riferimento al motivo (sub b) dell’esposizione in fatto), con il quale si censura la sentenza impugnata, per la parte in cui essa esclude il potere di rinunciare agli effetti dell’aggiudicazione in capo alla mandataria.

SOSTITUZIONE DELL’IMPRESA MANDATARIA

PARERE DELL’AVCP AG 2/2011 27 gennaio  2011
Oggetto:  ATI Orizzontale - sostituzione dell’impresa mandataria a seguito di liquidazione volontaria  con una delle imprese mandanti    
Il Consiglio dell’Autorità nell’adunanza  del 26-27 gennaio 2011 ha  approvato le seguenti considerazioni. 
In base all’art. 37, co.  9 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163 “È vietata l'associazione in partecipazione. Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in  sede di offerta.” Il comma 18 del medesimo articolo dispone, però, che: “In  caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore  individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del  medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione  appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico  che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché  abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture  ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può  recedere dall'appalto.” In base a quanto espressamente disposto dal Codice dei  contratti, pertanto, sarebbe consentita la sostituzione delle mandataria  solamente nel caso, trattandosi di società, di fallimento e, nel caso di  imprenditore persona fisica, anche a seguito di morte, interdizione e  inabilitazione. 
La volontà del  legislatore è evidentemente quella di garantire il rispetto del principio  sancito dall’art. 116 del codice, secondo cui “I soggetti affidatari dei  contratti di cui al presente codice sono tenuti ad eseguire in proprio le opere  o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto.” (cfr. deliberazione  dell’Autorità del 25 febbraio 2002, n. 183), nonché del principio di  corrispondenza sostanziale tra la quota di qualificazione, la quota di  partecipazione all'associazione e quella di esecuzione dei lavori (cfr. Parere  di Precontenzioso dell’Autorità del 25 marzo 2010, n. 65). 
Si deve dare atto, però,  di un orientamento ormai prevalente nella giurisprudenza del supremo consesso  amministrativo, secondo il quale “la norma non ha l’obiettivo di precludere  sempre e comunque il recesso dal raggruppamento in costanza di procedura di  gara e anzi il rigore della disposizione è da temperare in ragione dello scopo  che essa persegue. Pertanto, secondo la pronuncia indicata, dalla quale non c’è  ragione di discostarsi, la ratio della disposizione è quella di consentire alla  p.a. appaltante, in primo luogo, di verificare il possesso dei requisiti da  parte dei soggetti che partecipano alla gara e, correlativamente, di precludere  modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di  impedire le suddette verifiche preliminari. 
Orbene, se è questa la funzione  della disposizione di cui si discute, appare evidente come le uniche modifiche  soggettive elusive del dettato legislativo siano unicamente quelle che portano  all’aggiunta o alla sostituzione delle imprese partecipanti e non anche quelle  che conducono al recesso di una delle imprese del raggruppamento. In questo  secondo caso le predette esigenze non risultano affatto frustrate poiché  l’amministrazione, al momento del mutamento soggettivo, ha già provveduto a  verificare i requisiti di capacità e di moralità dell’impresa o delle imprese  che restano, sicché i rischi che il divieto in questione mira ad impedire non  possono verificarsi” (Consiglio di Stato sez. VI,  13 maggio, 2009 n. 2964; conformi: Consiglio  di Stato sez. IV, sentenza 23 luglio 2007, n. 4101, Consiglio di Stato, Sez.  VI, 16 febbraio 2010, n. 842. Si veda anche il Parere sulla normativa  dell’Autorità del 3 dicembre 2009, AG 40/09). 
Osserva, peraltro, la  giurisprudenza citata che: “Tale orientamento da un lato, non penalizza la  stazione appaltante, non creando incertezze, e dall’altro lato non penalizza le  imprese, le cui dinamiche non di rado impongono modificazioni soggettive di  consorzi e raggruppamenti, per ragioni che prescindono dalla singola gara, e  che non possono precluderne la partecipazione se nessun nocumento ne deriva per  la stazione appaltante. Né si verifica una violazione della par condicio dei concorrenti, perché  non si tratta di introdurre nuovi soggetti in corsa, ma solo di consentire a  taluno degli associati o consorziati il recesso, mediante utilizzo dei  requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti.” (Consiglio di Stato,  sent. 842/2010, cit.).
Appurata,  pertanto, la possibilità di procedere alla sostituzione della mandataria anche  in casi diversi da quello tipizzato dall’art. 38, co. 17 del d. lgs. 163/2006,  è opportuno interrogarsi sulle modalità di scelta del nuovo mandatario e, per  quanto di interesse in questa sede, sulla possibilità che una delle imprese  mandanti possa, attraverso un cambiamento di qualità all’interno della medesima  associazione, divenire mandataria. È appena il caso di ricordare, infatti, che  la disposizione appena citata prevede espressamente che “la stazione appaltante  può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico”. La  generica formulazione della disposizione (operatore economico) permette di  comprendere anche una delle imprese mandanti tra i soggetti designabili come  mandatari. Del resto i componenti sono stati già sottoposti al processo di  qualificazione e di verifica dei requisiti, senza considerare che, avendo preso  parte all’esecuzione del contratto (tanto più nel caso di ATI orizzontale),  sono probabilmente i soggetti più idonei a sostituire la mandataria. 
Resta  fermo, ovviamente, il possesso dei necessari requisiti di capacità tecnico -  professionale ed economico – finanziaria in capo all’operatore economico  sostituto, chiunque esso sia. 

Tale interpretazione, infine, è conformata da  autorevole parere del Consiglio di Stato, che afferma: “Non va condivisa la  tesi secondo cui il nuovo mandatario potrebbe essere solo un soggetto estraneo  all’originario raggruppamento, soluzione che non ha appiglio nel dato letterale  e che non ha, in sé, alcuna giustificazione razionale.” (Cons. Stato, parere  delle Commissione speciale del 22 gennaio 2008, n. prot. 4575/2007).

RISARCIMENTO PER ATTUAZIONE TARDIVA DEL GIUDICATO

T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sentenza 22 novembre 2012 n. 695

1. In materia di appalti, e più in generale negli ambiti in cui si esplica un’attività economica soggetta alle regole del mercato, il “fattore tempo” è un elemento di estremo rilievo, in quanto il suo eccessivo protrarsi può determinare il mutamento delle condizioni economiche in base alle quali è stata presentata una determinata offerta in sede di gara ed avere dunque una pesante incidenza sulla convenienza economica dell’attività da svolgere. 
2. Nel caso di specie, l’offerta è stata formulata nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica che ha avuto luogo nei primi mesi del 2004; lo stesso giudicato si è formato nel 2005, l'aggiudicazione provvisoria e l'offerta della P.A. di stipulare il contratto risale al 2009, ed il ricorso per risarcimento dei danni da ritardata esecuzione del giudicato al 2009 stesso.
3.  Dopo un giudicato da cui deriva l’obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare e stipulare con la parte vittoriosa in giudizio, la responsabilità per mancata stipulazione non può essere qualificata come responsabilità precontrattuale, ma come responsabilità per inosservanza degli obblighi derivanti dal giudicato. Infatti un conto è la conduzione di una trattativa contrattuale, da cui non deriva mai un obbligo di stipulare un contratto, ma solo l’obbligo del rispetto dei principi di buona fede (con conseguente responsabilità precontrattuale in caso di inosservanza), un conto è essere obbligati, in virtù di un giudicato, a procedere ad aggiudicazione e stipulazione (cfr. Cons. Stato VI 11 gennaio 2010 n. 20).
4. Ciò precisato, sussistono nel caso in esame i presupposti per ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c.
E’ ravvisabile innanzi tutto l’ingiustizia del danno, sotto il duplice profilo del danno arrecato non iure e contra ius. Che le imprese ricorrenti avessero diritto all’aggiudicazione della gara è circostanza incontestabile, stabilita dalla sentenza n. 865/2004. L’inerzia serbata dall’Amministrazione per un lungo periodo di tempo non trova giustificazione alcuna. Peraltro la difesa del Comune non adduce alcuna argomentazione in ordine al ritardo nel compimento degli atti necessari all’esecuzione della sentenza sopra citata.
Sussiste dunque anche il carattere gravemente colposo del comportamento serbato dall’amministrazione, avendo la stessa ritardato, per un lungo lasso di tempo, di rideterminarsi in ordine alla riaggiudicazione dell’appalto in palese violazione del giudicato di questo Tribunale. In ogni caso, deve ricordarsi, la Corte di Giustizia CE, Sez. III - 30 settembre 2010 (C-314/09) ha a chiare lettere affermato che la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, finanche se la normativa preveda una presunzione di colpevolezza vincibile solo attraverso la dimostrazione della scusabilità dell’errore. Nel caso di specie peraltro, come già rilevato, nessuna deduzione è stata spiegata per prospettare l’eventuale scusabilità dell’errore.
5. Sussiste altresì il nesso di causalità tra il comportamento serbato dall’Amministrazione e il mancato ottenimento dell’appalto, considerato che il rifiuto alla stipulazione da parte delle ricorrenti non può quindi essere considerato come comportamento rinunziatario, sintomo di disinteresse delle imprese, ma come legittimo esercizio di una facoltà prevista dalla legge, a fronte di un comportamento ingiustificatamente dilatorio ed omissivo della stazione appaltante.

Dunque, sussistono tutti i presupposti per l’imputazione del danno all’amministrazione.

RISARCIMENTO IN MATERIA D'APPALTI

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 3 settembre 2013 n. 4376
1.  La comune ascrizione dell'illecito commesso dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe alla ricorrente l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio patrimoniale e alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del provvedimento illegittimo) la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela non semplice.
A fronte, infatti, della mancata aggiudicazione di un appalto risulta estremamente arduo definire l'esatto ammontare della perdita economica patita dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante.
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
2.  Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici non facilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
Perché sia ritualmente assolto l'onere della prova, è necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.
2.1 Il criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.
2.2 Quanto alla perdita di “chance” dipendente dal mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ed al  danno curricolare, la giurisprudenza insegna che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé, e ai relativi ricavi diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al suo radicamento nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo si siano rese aggiudicatarie.
2.3 Per tali ragioni è reputato quindi risarcibile esso danno curriculare, che costituisce una specificazione del danno per perdita di “chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale,
2.4 Quanto alla richiesta di interessi e rivalutazione la Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

Estratto della Sentenza per esteso
“…………………
La comune ascrizione dell'illecito commesso dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe ad essa ricorrente l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio patrimoniale e alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del provvedimento illegittimo) la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela non semplice.
A fronte, infatti, della mancata aggiudicazione di un appalto risulta estremamente arduo definire l'esatto ammontare della perdita economica patita dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un'occasione di guadagno o, comunque, di un'utilità economica connessa all'adozione o all'esecuzione del provvedimento illegittimo.
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici non facilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
Si tratta di presunzioni semplici che indicano, secondo la comune esperienza, parametri valutativi sufficientemente puntuali dell'entità della perdita economica patita dal privato per effetto dell'adozione dell'atto illegittimo ovvero della colpevole inerzia dell'amministrazione.
Perché sia ritualmente assolto l'onere della prova, è, quindi, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.
4.- Tanto premesso, quanto alla richiesta di ristoro del danno emergente per le spese generali della azienda, quantificato dalla parte ricorrente in € 30.840,89, e per spese di partecipazione alla gara, quantificato da essa parte in € 42.761,00, la Sezione osserva quanto segue.
4.1.- Non sono risarcibili le spese generali ed i costi di immobilizzo della struttura aziendale. Nel caso di azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione, il danno relativo alle spese sostenute dal danneggiato non può che avere ad oggetto le voci strettamente afferenti alla partecipazione alla gara di appalto, con esclusione quindi di ulteriori e diversi elementi quali, ad esempio, il mantenimento della struttura aziendale.
Le spese sostenute per la retribuzione del personale dipendente all'interno della società e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale non debbono invero essere risarcite perché tali spese sarebbero state ugualmente sostenute, anche a prescindere dalla partecipazione alla gara di cui trattasi; né è stata fornita piena prova del danno che sia derivato alla ricorrente per l’attività svolta dal personale al riguardo per essere stato distolto da altre attività di spettanza.
4.2.- Quanto alla domanda di condanna al risarcimento del danno emergente relativo alle spese per la partecipazione alla gara, va osservato che il risarcimento per equivalente dell'interesse positivo e del relativo lucro che l'impresa avrebbe tratto dall'aggiudicazione della gara a suo favore resta in radice incompatibile con la risarcibilità dell'interesse negativo a non essere coinvolto in inutili e dispendiose attività partecipative.
Infatti, la partecipazione alla gara implica oneri che restano comunque a carico del soggetto che abbia inteso prendere parte a una procedura di selezione, con la conseguenza che, nel caso in cui il ricorrente opponga in giudizio proprio la sua fruttuosa partecipazione, per reclamare le utilità economiche che la stazione appaltante gli avrebbe ingiustamente negato mediante illegittima posposizione in graduatoria, è precluso poi allo stesso ricorrente di invocare il rimborso di quelle spese partecipative che costituiscono il presupposto fondante della sua stessa richiesta risarcitoria, basata per l'appunto sulle utilità economiche da mancata aggiudicazione.
Tali costi di partecipazione, nell'ipotesi in cui l'impresa benefici del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione), non possono essere risarciti per equivalente, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima.
In conclusione le spese sostenute per la partecipazione alla gara dall'impresa non risultata aggiudicataria non sono risarcibili, trattandosi di voci di costo che sarebbero comunque state sostenute dall'instante anche in caso di aggiudicazione o di mancata aggiudicazione (Cons. Stato: Sez. III, 7 marzo 2013, n.1381; Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681) del servizio; per cui le stesse devono ritenersi incorporate nella differenza tra ricavi e costi, all'esito del quale si ottiene l'utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio di Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2258).
5.- Quanto alla richiesta di lucro cessante, ex art. 1223 del c.c., per mancato incasso dell’utile derivante dalla esecuzione della commessa, quantificato dalla attuale ricorrente in € 198.616,68 (pari al 10% della offerta formulata), la Sezione osserva quanto segue.
5.1.- Occorre, innanzi tutto, distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza dell'appalto all'impresa danneggiata risulta nel caso di specie configurabile perché la ricorrente era risultata aggiudicataria provvisoria dell’appalto e la somma commisurata all'utile d'impresa non deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
Non può tuttavia convenirsi con le richieste di cui al ricorso, quanto all’applicazione automatica del criterio equitativo del 10%, desunto in via analogica dall’art. 345 della l. n.2248/1865, all. F, con riferimento ad un'ipotesi (quella del recesso “ad nutum” della stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto), sia considerato che il criterio di liquidazione del danno in via forfettaria ed automatica, previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a fattispecie diverse da quella rispetto alla quale è espressamente contemplato e sia considerato che in questo modo si introdurrebbe una forma di indennizzo predeterminato che contrasta con i principi probatori al riguardo (Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
Il richiamato criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.
Appare anche utile richiamare al riguardo la conclusione giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno e nelle gare di appalto l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative; per cui non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d'impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.).
In conclusione, considerate le circostanze e tenuto conto sia del fatto che non è stata data dimostrazione da parte del danneggiato dell’impossibilità di utilizzare diversamente gli strumenti d’impresa e sia del fatto che quella che viene in considerazione è, comunque, una semplice “chance” contrattuale (sia pure significativa, essendo la ricorrente, a suo tempo, risultata aggiudicataria provvisoria) e non un contratto alternativo definito e dunque definitivamente "certo", appare equo e ragionevole decurtare del 50% la somma pari al 10 % dell’offerta della ricorrente (il cui ammontare, sommate le spese per la sicurezza di € 77.597,99, sarebbe stato di € 1.986.176,70), che risulta, quindi, essere quella di € 99.308,83 il cui pagamento viene liquidato a favore della attuale ricorrente e posto a carico del Comune di Faicchio.
6.- Quanto al danno curriculare richiesto per depauperamento delle capacità tecniche ed economiche della impresa e quantificato dalla attuale parte ricorrente in € 139.963,31, va osservato quanto segue.
6.1.- E’ necessario ristorare detta ricorrente, come da domanda, non solo per la perdita di “chance” dipendente dal mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ma anche a titolo di danno curricolare.
Sotto questo profilo la giurisprudenza insegna, difatti, che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé, e ai relativi ricavi diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al suo radicamento nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo si siano rese aggiudicatarie.
Per tali ragioni è reputato quindi risarcibile esso danno curriculare, che costituisce una specificazione del danno per perdita di “chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale, per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell'Amministrazione, laddove l'aggiornamento curriculare perduto avrebbe fatto conseguire all'impresa un vantaggio economicamente valutabile, poiché ne avrebbe accresciuto la capacità di competere sul mercato e, quindi, la possibilità di aggiudicarsi ulteriori commesse.
L'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto può pertanto rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum” professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare (Cons. St., VI, 9 giugno 2008, n. 2751 e 18 marzo 2011, n. 1681).
In conclusione, va a tale titolo corrisposto alla attuale ricorrente, a fini risarcitori per il titolo che interessa, un importo complessivo che si determina, equitativamente ed onnicomprensivamente, nella misura del 2,50% dell'importo del contratto che avrebbe dovuto essere sottoscritto (pari ad € 1.986.176,70) che risulta quindi essere quella di € 49.654,41.
7.- Quanto alla richiesta di interessi e rivalutazione la Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
Pertanto, occorre operare la rivalutazione del credito secondo valori monetari correnti e computare gli interessi calcolati dalla data del fatto, non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 n. 1833).

8.- Il ricorso deve essere conclusivamente accolto in parte nei termini e nei limiti di cui in motivazione.”