È
stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.164 del 15 luglio 2013 il Dpcm 18
aprile 2013 sulle white list, ossia sugli elenchi prefettizi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, introdotti dall'art. 1, comma 52, della legge anticorruzione (legge n. 190/2012).
Le modalità di
istituzione dettate dal decreto diverranno effettivamente operative a partire
dal trentesimo giorno dalla loro pubblicazione in G.U. e, quindi, a far data
dal prossimo 14 agosto, come stabilito dall'art. 10, comma 2, del decreto
presidenziale.
Come si
ricava dallo stesso art. 1, comma 52, della legge 190/2012, l'istituzione di elenchi di imprenditori presso ogni prefettura è prevista
ai fini dell'efficacia dei controlli antimafia, anche se è opportuno evidenziare
sin da subito che, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del Dpcm, l'iscrizione alle
white list ha carattere assolutamente facoltativo.
Le
white list avranno un ambito territoriale di applicazione a carattere
provinciale, poiché gli elenchi dovranno
essere istituiti presso ciascuna Prefettura.
Dal
punto di vista soggettivo, invece, i soggetti legittimati a richiedere
l'iscrizione nelle white list saranno in sostanza rappresentati da tutti i
fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori appartenenti alla
filiera di imprese partecipanti al processo realizzativo dell'opera. In tal
senso, l'elenco sembra dunque destinato a ricomprendere tutti i soggetti che a
qualunque titolo contribuiscono all'esecuzione del lavoro, sia in qualità di appaltatori
che di subappaltatori.
Sennonché,
l'art. 1, comma 53, della legge n. 190/2012 definisce l'ambito di applicazione
oggettivo degli elenchi, individuando le attività imprenditoriali, ritenute a
maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, rispetto alle quali sarà consentita
l'iscrizione nelle white list. La legge anticorruzione si riferisce infatti ai
seguenti settori lavorativi: trasporto di materiali a discarica per conto di
terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di
terzi; estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a
freddo e macchinari; fornitura di ferro e lavorato; noli a caldo; autotrasporti
per conto di terzi e, infine, guardiania di canteri.
Considerato
il carattere tassativo dell'elencazione, ciò implica che solo i soggetti
operanti in questi settori di attività sono titolati a richiedere l'iscrizione
nelle white list anche se, a tal riguardo, è comunque prevista la possibilità
che l'elencazione dei diversi settori imprenditoriali, contenuta nel comma 53,
sia aggiornata entro il 31 dicembre di ogni anno con un apposito decreto del
Ministro dell'interno.
Resta
dunque il fatto che tali attività si identificano in linea generale con
prestazioni tipicamente appartenenti alla categoria dei subcontratti e che, di
conseguenza, l'utilizzo delle white list sia circoscritto ai soli
subaffidamenti effettuati dall'aggiudicatario di un contratto di appalto
pubblico, piuttosto che agli affidamenti posti in essere dalla stazione
appaltante.
Il
procedimento di iscrizione nelle white list è disciplinato dall'art. 3 del
DPCM, il quale stabilisce che gli elenchi sono istituiti presso ogni prefettura
e sono unici, nel senso cioè che ciascuna prefettura possiede un solo elenco,
suddiviso, al suo interno, in sezioni corrispondenti alle diverse attività a
rischio.
La
prefettura competente presso cui presentare l'istanza coincide con quella della
provincia dove l'impresa ha lapropria residenza o sede legale; mentre, per le
imprese costituite all'estero e che hanno una sede stabile in Italia, oppure
per le imprese che non hanno una sede stabile nel nostro territorio, la
prefettura competente è individuata in quella in cui si chiede l'iscrizione.
L'istanza
è presentata dal titolare dell'impresa individuale o dal legale rappresentante
dell'impresa costituita in forma societaria; dopodiché, la prefettura avvia un
procedimento di verifica analogo a quello normalmente seguito per il rilascio
della comunicazione antimafia.
Una
volta ottenuta l'iscrizione, la permanenza nella white list avrà una validità
di dodici mesi, secondo quanto stabilito dall'art. 2, comma 2, del DPCM.
In
ogni caso, l'art. 5, comma 1, del decreto prevede che l'iscrizione possa essere
rinnovata su istanza di parte, nel senso cioè che l'impresa può comunicare alla
prefettura competente, almeno trenta giorni prima della data di scadenza, il
suo interesse a permanere nell'elenco. Ne consegue che, se l'istanza di rinnovo
non viene inoltrata entro il suddetto termine, l'impresa sarà automaticamente
cancellata dall'elenco.
A
seguito dell'istanza di rinnovo, la prefettura effettuerà ovviamente una nuova verifica
sulla permanenza delle condizioni, a suo tempo accertate, che hanno consentito
l'iscrizione dell'impresa nell'elenco.
Gli
effetti legati all'iscrizione in una white list sono già stati anticipati dalla
legge n. 190/2012 la quale, al comma 52 dell'art. 1, ha disposto che
l'iscrizione negli elenchi «soddisfa i requisiti per l'informazione antimafia
per l'esercizio della relativa attività».
Tale
disposizione è stata ora completata dall'art. 7, comma 1, del DPCM, il quale ha
invece precisato che «ai sensi dell'art. 1, comma 54, della legge,
l'informazione antimafia non è richiesta nei confronti delle imprese iscritte
nell'elenco per l'esercizio delle attività per cui è stata disposta
l'iscrizione medesima».
In
altri termini, il combinato disposto delle due norme ha sancito la sostanziale
equiparazione tra l'informazione antimafia e l'iscrizione nella white list. Di
conseguenza, ciò significa che, ai fini dell'autorizzazione di un subcontratto
relativo alle attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa,
le stazioni appaltanti sono esonerate dal disporre di volta in volta le
verifiche antimafia, se l'impresa interessata risulta iscritta in un elenco
prefettizio. Ed, infatti, l'art. 7, comma 2, del DPCM, consente ai committenti
pubblici di verificare l'iscrizione nelle liste attraverso i siti istituzionali
delle prefetture, in alternativa all'acquisizione dell'informazione antimafia.
Con
riferimento agli effetti, è opportuno evidenziare che le disposizioni citate
prevedono l'equiparazione dell'iscrizione nella white list alla sola
informazione antimafia che, come noto, si affianca alla comunicazione antimafia.
La
differenza tra le due tipologie di documenti è rappresentata sia dal diverso
ambito di verifica di non mafiosità dei soggetti interessati, sia dalle diverse
soglie di importo contrattuale cui si riferisce la verifica stessa; da un lato,
infatti, la comunicazione antimafia è diretta ad accertare l'insussistenza
delle cause di decadenza, sospensione o divieto conseguenti all'applicazione di
una misura di prevenzione, relativamente ai contratti di appalto di importo
inferiore alla soglia comunitaria; dall'altro lato, invece, l'informazione
antimafia estende l'accertamento anche alla eventuale esistenza di tentativi di
infiltrazione mafiosa, non solo per i contratti di appalto di importo superiore
alla soglia comunitaria, ma anche per i subcontratti di importo superiore a 150
mila euro.
Stando
alle disposizioni contenute nella legge anticorruzione e nel DPCM applicativo,
l'iscrizione in una white list non è però equiparata anche alla comunicazione
antimafia, ossia proprio a quel livello di verifica "più leggero", che
è assorbito peraltro dall'informazione antimafia. Con l'effetto che, nei
confronti delle imprese iscritte nelle liste prefettizie, deve essere comunque
acquisita la comunicazione antimafia.
All'apparenza,
sembra trattarsi di una conclusione illogica dal momento che, se l'impresa ha
ottenuto l'iscrizione nella white list, è implicito che abbia superato i
controlli anche con riferimento a quelle situazioni rilevanti ai fini del
rilascio della comunicazione antimafia. Sennonché, la ragione di tale scelta
legislativa è con ogni probabilità riconducibile alla circostanza che la white
list è stata in realtà istituita per le sole attività tipicamente
classificabili come subaffidamenti, e cioè per le attività soggette al rilascio
dell'informazione, e non della comunicazione antimafia.
Non
è tuttavia da escludere che l'iscrizione nella white list possa essere equiparata
anche alla comunicazione antimafia, laddove l'impresa presente in elenco
risulti aggiudicataria di un appalto, anziché di un subcontratto. A tal
riguardo, infatti, non vi è alcun motivo di porre la stazione appaltante nella
condizione di dover richiedere la comunicazione antimafia per contratti di
importo inferiore alla soglia comunitaria, considerato che l'iscrizione nella
white list, seppur riferita ad attività diverse, presuppone l'accertamento
della insussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto, derivanti
dall'applicazione di una misura di prevenzione. E, peraltro, non irrilevante
sarebbe l'effetto acceleratorio e semplificatorio delle verifiche antimafia
condotte attraverso le white list relativamente alla stipula dei contratti di
appalto appartenenti a tale fascia di importo.