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domenica 19 maggio 2013

SULLA DIFFERENZA TRA IL “CONTRATTO APERTO DI MANUTENZIONE” (EX ART. 154, COMMA 2, DEL D.P.R. N. 554 DEL 1999) E L’ACCORDO QUADRO DISCIPLINATO DAL D.LGS 163 DEL 2006


Mentre il “contratto aperto di manutenzione” (ex art. 154, comma 2, del D.P.R. n. 554 del 1999) è caratterizzato dal fatto che “la prestazione è pattuita con riferimento ad un determinato arco di tempo, per interventi non predeterminati nel numero, ma resi necessari secondo le necessità della stazione appaltante”, l’accordo quadro (ex art. 3, comma 13, del D. Lgs. n. 163 del 2006) “è un accordo concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici e il cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste”. 
Ciò posto, pur potendo ammettersi che in astratto tra le predette fattispecie possano rinvenirsi alcuni tratti comuni (quali, per esempio, il fatto di essere riferiti ad un determinato arco di tempo, ovvero l’indicazione in linea generale delle prestazioni da eseguire), non può tuttavia negarsi che solo il primo contiene già di per sé un impegno ad effettuare determinare prestazioni, laddove il secondo costituisce solo il tessuto giuridico – normativo cui le parti si sono vincolate per la successiva conclusione e stipulazione di un contratto: ciò è sufficiente, ad avviso della Sezione, ad escludere la sussistenza della asserita, ma non provata, incompatibilità del primo con la normativa di cui al D. Lgs. n. 163 del 2006 (fermo restando poi la sua successiva abrogazione ad opera del D.P.R. n. 207 del 2010, a decorrere dalla sua entrata in vigore e cioè dall’8 ottobre 2010). 

CONTRATTO APERTO E ACCORDO QUADRO DI MANUTENZIONE


Parere dell’AVCP AG 8/2011 del 22 giugno 2011
Preliminarmente, appare necessario procedere alla corretta interpretazione dei due istituti del contratto aperto di manutenzione e dell’accordo quadro, rappresentandone differenze, analogie e reciproci rapporti; successivamente, pare opportuno esaminare le ragioni che hanno indotto il legislatore a non riprodurre nel nuovo Regolamento (D.P.R. n. 207/2010) la disposizione che, nel previgente Regolamento (D.P.R. n. 554/1999), prevedeva l’istituto del contratto aperto di manutenzione.
Il contratto aperto, disciplinato dall’articolo 154, comma 2, del D.P.R. 554/1999, può definirsi come il contratto che, in relazione a un determinato arco di tempo, prevede, come oggetto, l’esecuzione di lavorazioni che sono singolarmente definite nel loro contenuto prestazionale ed esecutivo ma non nel loro numero, poiché la quantità delle prestazioni da eseguire dipende dalle necessità che verranno in evidenza nell’arco temporale previsto contrattualmente (cfr. Determinazione 28 luglio 2004, n. 13). Di contro, ai sensi dell’art. 3, comma 13, D.Lgs. n. 163/2006, l’accordo quadro “è un accordo concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici e il cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste”. La disciplina dell’accordo quadro, istituto non contemplato dalla l. n. 109/1994 e previsto per la prima volta per i settori ordinari nel Codice dei contratti pubblici, è dettata dall’art. 59. Da questa disposizione, si ricava – in particolare – che “per i lavori, gli accordi quadro sono ammessi esclusivamente in relazione ai lavori di manutenzione” (art. 59, comma 1, secondo periodo); e si evince, inoltre, che l’accordo quadro (framework agreement) può essere di due tipi: da un lato, l’accordo quadro che involge più di un operatore economico (multilateral framework agreement) e, dall’altro, l’accordo quadro concluso con un solo operatore economico (bilateral framework agreement).
Sotto il profilo civilistico, appare corretto osservare che – nel contratto aperto di manutenzione – gli atti di adempimento dell’obbligazione sono dei comportamenti esecutivi, attivati da una manifestazione di volontà (c.d. ordine di intervento) di una parte nei confronti dell’altra; mentre – nell’accordo quadro – accade che vengano posti in essere, in dipendenza dello stesso, qualificato come contratto normativo , dei contratti applicativi non autonomi, il cui oggetto è solamente determinabile, in applicazione del contenuto prefissato nell’accordo medesimo. Nel primo caso si può individuare, più esattamente, un unico contratto a prestazioni continuative, ancorché discontinue, con oggetto indeterminato, ma determinabile; nel secondo caso, un contratto normativo, dal quale discendono non già obblighi esecutivi e neppure un obbligo a contrarre (pactum de contrahendo), bensì l’unico obbligo, nel caso in cui l’amministrazione si determini a contrarre, di applicare al futuro contratto (o alla serie di futuri contratti) le condizioni contrattuali predefinite nell’accordo quadro (pactum de modo contrahendi). L’Autorità ha precisato che “il contratto quadro rientra nella tipologia dei contratti aperti e, ai fini della relativa stipulazione, è necessario che siano stabiliti i prezzi unitari da porre a base dell’affidamento e la descrizione delle modalità di esecuzione delle prestazioni” (Deliberazione 20 febbraio 2007, n. 40).
Sotto il profilo del rapporto tra le fonti, merita osservare che, mentre il contratto aperto di manutenzione è previsto nel regolamento attuativo della l. n. 109/1994 (D.P.R. n. 554/1999), la cui vigenza è destinata ad esaurirsi a partire dalla data di entrata in vigore del nuovo Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. n. 207/2010), la disciplina dell’accordo quadro è prevista in una fonte di rango legislativo, peraltro successiva alla prima, in quanto contenuta, per la prima volta per i settori ordinari, nel Codice dei contratti pubblici, dunque a partire dal 2006. Inoltre, la disciplina del Codice, nella parte che ha previsto il nuovo istituto dell’accordo quadro, ha subìto un periodo di sospensione, dettato con l. 12 luglio 2006, n. 228 (di conversione del D.l. 173/2006), che ne ha differito l’applicazione fino al 1° febbraio 2007.
Il problema della sovrapposizione normativa dei due istituti si è posto – in un primo tempo – con l’entrata in vigore del Codice. L’Autorità – posta di fronte al quesito della ammissibilità/opportunità della contestuale vigenza di due istituti dalle caratteristiche simili – ha affermato il principio che “la disciplina del contratto aperto è tuttora pienamente in vigore, in quanto compatibile, ex art. 253, comma 3, del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 163/2006 con il Codice stesso, e tenuto conto della sospensione (sino al febbraio 2007) che la legge 12 luglio 2006, n. 228, art. 1-octies, (di conversione del D.l. 173/2006) ha operato nei confronti del nuovo, più ampio e similare istituto dell’accordo quadro introdotto dal menzionato Codice degli appalti” (Deliberazione 14 novembre 2006, n. 86). Siffatta asserzione è stata ribadita dall’Autorità anche a seguito della definitiva, piena, efficacia del Codice (Deliberazione 20 febbraio 2007, n. 40): in tal senso, la disciplina normativa del contratto aperto di manutenzione, poiché ritenuta compatibile con quella del Codice dei contratti pubblici, deve ritenersi applicabile ai lavori pubblici, almeno fino a quando sarà vigente il Regolamento di cui al D.P.R. n. 554/1999, ovvero fino al giorno 8 giugno 2011, ma non oltre, perché non più riprodotta nel nuovo Regolamento.
A tal riguardo, si deve ricordare che la motivazione che ha suggerito di espungere dal nuovo Regolamento la previsione normativa del contratto aperto di manutenzione, determinandone un’abrogazione implicita, è da ravvisarsi, in larga misura, nel parere che il Consiglio di Stato ha reso in sede consultiva sullo schema di Regolamento già predisposto dal Governo (Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Parere 17 settembre 2007, n. 3262). In detto parere, il Consiglio di Stato ha ritenuto opportuno estromettere dallo schema di Regolamento la disposizione che ancora prevedeva il contratto aperto di manutenzione, perché “nel sistema del codice, da un lato non vi è alcuna norma che preveda il contratto aperto di manutenzione e per converso è stato previsto l’accordo quadro per lavori di manutenzione (art. 59 del codice), e dall’altro lato il regolamento non può né delegificare, né andare preter legem, essendo un regolamento di sola esecuzione ed attuazione”. Alla luce di queste considerazioni, l’abrogazione implicita del contratto aperto di manutenzione da parte del nuovo Regolamento risulta, per un verso, opportuna, per la presenza nel Codice dei contratti pubblici dell’analoga previsione dell’accordo quadro, nella parte in cui i due istituti vengono sostanzialmente a coincidere, ossia con riguardo alla sotto-categoria dell’accordo quadro concluso con un unico operatore economico, che vincola ciascuna parte ad applicare ai futuri contratti applicativi le condizioni prefissate nell’accordo medesimo. Per altro verso, detta abrogazione risulta altresì necessitata dal fatto che – trattandosi di un Regolamento di esecuzione ed attuazione e non già di di delegificazione – questo atto non poteva contenere norme che andassero oltre la normativa primaria.
Sulla scorta delle argomentazioni esposte, l’Autorità non può che aderire a quanto è già stato espresso dal massimo organo consultivo del Consiglio di Stato. Peraltro, nello stesso senso, la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha aggiunto che non soltanto il nuovo Regolamento ha abrogato la previgente disciplina del contratto aperto di manutenzione, ma altresì che una previsione di tal genere non possa essere contenuta in una legge regionale, in quanto “spetta al legislatore statale – ferma restando l’autonomia negoziale delle singole amministrazioni aggiudicatrici – individuare, per garantire uniformità di trattamento sull’interno territorio nazionale, il tipo contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di lavori, servizi e forniture” (Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 43)
Resta da chiedersi, dunque, se sia astrattamente possibile ipotizzare che – per il generale principio civilistico dell’autonomia contrattuale – le stazioni appaltanti individuino quale oggetto di un contratto pubblico un contenuto che ricalchi la previsione del contratto aperto di manutenzione di cui all’art. 154 del D.P.R. n. 554/1999. Questa affermazione deve essere valutata alla luce dei principi che regolano il rapporto tra autonomia e tipicità contrattuale, con specifico riferimento al Codice dei contratti pubblici.
In primo luogo, infatti, l’autonomia contrattuale della stazione appaltante incontra il limite della tipizzazione già effettuata dal legislatore statale. In tal senso, poiché il legislatore ha dettato, nel Codice dei contratti pubblici, la disciplina dell’accordo quadro bilaterale (bilateral framework agreement) per lavori di manutenzione, la disciplina da essa divergente, o parzialmente divergente, dovrà ritenersi ammissibile previa valutazione della meritevolezza della causa; e l’attribuzione di un originale nomen juris assumerà rilevanza nella misura in cui la disciplina contrattuale sia indice di uno schema contrattuale sostanzialmente diverso, i.e. laddove la regolamentazione esorbiti dalla normale elasticità dello schema tipico. Invero, ciò non sembra avvenire nel rapporto tra i due istituti in esame. Dalla disciplina dell’accordo quadro con un solo operatore risaltano, infatti, più analogie che differenze con le previgenti norme del contratto aperto di manutenzione. In particolare, la differenza rilevante – evidenziata anche dall’istante – consiste nel fatto che il primo apre ad una serie di contratti autonomi, mentre il secondo prevede, a valle, il susseguirsi di meri comportamenti esecutivi; ciò, tuttavia, non sembra impedire all’autonomia negoziale della stazione appaltante di prefissare nell’accordo quadro, destinato a regolare i futuri contratti applicativi, le clausole che connotano il contratto aperto di manutenzione, quali: predeterminazione del termine finale della prestazione e del suo contenuto tecnico ed esecutivo senza predeterminazione del numero dei singoli interventi manutentivi, ovviamente fermi restando i limiti di compatibilità con la vigente disciplina di settore.
Naturalmente, quale corollario implicito del principio di autonomia contrattuale, occorre tener presente che la libertà di dettare una disciplina non prevista dal Codice dei contratti pubblici si può esercitare soltanto entro il limite della disciplina civilistica, ma non può, in alcun modo, travalicare tali confini per proiettarsi sui criteri di scelta del contraente, i quali – diversamente – rispondono a criteri pubblicistici e integrano norme di carattere imperativo.
Alla luce di queste argomentazioni, si possono trarre alcune conclusioni con riguardo alla applicabilità della risalente elaborazione giurisprudenziale e interpretativa dell’Autorità al nuovo istituto. A tal proposito, è indubitabile che la disciplina normativa del contratto aperto non sopravviva all’abrogazione implicita operata dal nuovo Regolamento, ma sia stata assorbita da quella dell’accordo quadro. Nondimeno, attese le evidenti somiglianze tra i due istituti e la riconosciuta continuità dell’uno nell’altro, limitatamente alla categoria dell’accordo quadro con un solo operatore economico (bilateral framework agreement), l’interprete applicherà i consueti criteri interpretativi, secondo le regole che presiedono alla successione di leggi nel tempo: in questo senso, le categorie ermeneutiche elaborate per il contratto aperto di manutenzione saranno applicabili all’istituto dell’accordo quadro, nei limiti della compatibilità.