Parere
dell’AVCP AG 8/2011 del 22
giugno 2011
Preliminarmente,
appare necessario procedere alla corretta interpretazione dei due istituti del
contratto aperto di manutenzione e dell’accordo quadro, rappresentandone
differenze, analogie e reciproci rapporti; successivamente, pare opportuno
esaminare le ragioni che hanno indotto il legislatore a non riprodurre nel
nuovo Regolamento (D.P.R. n. 207/2010) la disposizione che, nel previgente
Regolamento (D.P.R. n. 554/1999), prevedeva l’istituto del contratto aperto di
manutenzione.
Il
contratto aperto, disciplinato dall’articolo 154, comma 2, del D.P.R. 554/1999,
può definirsi come il contratto che, in relazione a un determinato arco di
tempo, prevede, come oggetto, l’esecuzione di lavorazioni che sono
singolarmente definite nel loro contenuto prestazionale ed esecutivo ma non nel
loro numero, poiché la quantità delle prestazioni da eseguire dipende dalle
necessità che verranno in evidenza nell’arco temporale previsto
contrattualmente (cfr. Determinazione 28 luglio 2004, n. 13). Di contro, ai
sensi dell’art. 3, comma 13, D.Lgs. n. 163/2006, l’accordo quadro “è un accordo
concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici e il
cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da
aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i
prezzi e, se del caso, le quantità previste”. La disciplina dell’accordo
quadro, istituto non contemplato dalla l. n. 109/1994 e previsto per la prima
volta per i settori ordinari nel Codice dei contratti pubblici, è dettata dall’art.
59. Da questa disposizione, si ricava – in particolare – che “per i lavori, gli
accordi quadro sono ammessi esclusivamente in relazione ai lavori di
manutenzione” (art. 59, comma 1, secondo periodo); e si evince, inoltre, che
l’accordo quadro (framework agreement) può essere di due tipi: da un lato,
l’accordo quadro che involge più di un operatore economico (multilateral
framework agreement) e, dall’altro, l’accordo quadro concluso con un solo
operatore economico (bilateral framework agreement).
Sotto
il profilo civilistico, appare corretto osservare che – nel contratto aperto di
manutenzione – gli atti di adempimento dell’obbligazione sono dei comportamenti
esecutivi, attivati da una manifestazione di volontà (c.d. ordine di
intervento) di una parte nei confronti dell’altra; mentre – nell’accordo quadro
– accade che vengano posti in essere, in dipendenza dello stesso, qualificato
come contratto normativo , dei contratti applicativi non autonomi, il cui
oggetto è solamente determinabile, in applicazione del contenuto prefissato
nell’accordo medesimo. Nel primo caso si può individuare, più esattamente, un
unico contratto a prestazioni continuative, ancorché discontinue, con oggetto
indeterminato, ma determinabile; nel secondo caso, un contratto normativo, dal
quale discendono non già obblighi esecutivi e neppure un obbligo a contrarre
(pactum de contrahendo), bensì l’unico obbligo, nel caso in cui
l’amministrazione si determini a contrarre, di applicare al futuro contratto (o
alla serie di futuri contratti) le condizioni contrattuali predefinite
nell’accordo quadro (pactum de modo contrahendi). L’Autorità ha precisato che
“il contratto quadro rientra nella tipologia dei contratti aperti e, ai fini
della relativa stipulazione, è necessario che siano stabiliti i prezzi unitari
da porre a base dell’affidamento e la descrizione delle modalità di esecuzione
delle prestazioni” (Deliberazione 20 febbraio 2007, n. 40).
Sotto
il profilo del rapporto tra le fonti, merita osservare che, mentre il contratto
aperto di manutenzione è previsto nel regolamento attuativo della l. n.
109/1994 (D.P.R. n. 554/1999), la cui vigenza è destinata ad esaurirsi a
partire dalla data di entrata in vigore del nuovo Regolamento di esecuzione ed
attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. n. 207/2010), la
disciplina dell’accordo quadro è prevista in una fonte di rango legislativo,
peraltro successiva alla prima, in quanto contenuta, per la prima volta per i
settori ordinari, nel Codice dei contratti pubblici, dunque a partire dal 2006.
Inoltre, la disciplina del Codice, nella parte che ha previsto il nuovo
istituto dell’accordo quadro, ha subìto un periodo di sospensione, dettato con
l. 12 luglio 2006, n. 228 (di conversione del D.l. 173/2006), che ne ha
differito l’applicazione fino al 1° febbraio 2007.
Il
problema della sovrapposizione normativa dei due istituti si è posto – in un
primo tempo – con l’entrata in vigore del Codice. L’Autorità – posta di fronte
al quesito della ammissibilità/opportunità della contestuale vigenza di due istituti
dalle caratteristiche simili – ha affermato il principio che “la disciplina del
contratto aperto è tuttora pienamente in vigore, in quanto compatibile, ex art.
253, comma 3, del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 163/2006 con il Codice
stesso, e tenuto conto della sospensione (sino al febbraio 2007) che la legge
12 luglio 2006, n. 228, art. 1-octies, (di conversione del D.l. 173/2006) ha
operato nei confronti del nuovo, più ampio e similare istituto dell’accordo
quadro introdotto dal menzionato Codice degli appalti” (Deliberazione 14
novembre 2006, n. 86). Siffatta asserzione è stata ribadita dall’Autorità anche
a seguito della definitiva, piena, efficacia del Codice (Deliberazione 20
febbraio 2007, n. 40): in tal senso, la disciplina normativa del contratto
aperto di manutenzione, poiché ritenuta compatibile con quella del Codice dei
contratti pubblici, deve ritenersi applicabile ai lavori pubblici, almeno fino
a quando sarà vigente il Regolamento di cui al D.P.R. n. 554/1999, ovvero fino
al giorno 8 giugno 2011, ma non oltre, perché non più riprodotta nel nuovo
Regolamento.
A
tal riguardo, si deve ricordare che la motivazione che ha suggerito di
espungere dal nuovo Regolamento la previsione normativa del contratto aperto di
manutenzione, determinandone un’abrogazione implicita, è da ravvisarsi, in
larga misura, nel parere che il Consiglio di Stato ha reso in sede consultiva
sullo schema di Regolamento già predisposto dal Governo (Consiglio di Stato,
Sezione consultiva per gli atti normativi, Parere 17 settembre 2007, n. 3262).
In detto parere, il Consiglio di Stato ha ritenuto opportuno estromettere dallo
schema di Regolamento la disposizione che ancora prevedeva il contratto aperto
di manutenzione, perché “nel sistema del codice, da un lato non vi è alcuna
norma che preveda il contratto aperto di manutenzione e per converso è stato
previsto l’accordo quadro per lavori di manutenzione (art. 59 del codice), e
dall’altro lato il regolamento non può né delegificare, né andare preter
legem, essendo un regolamento di sola esecuzione ed attuazione”. Alla luce di
queste considerazioni, l’abrogazione implicita del contratto aperto di
manutenzione da parte del nuovo Regolamento risulta, per un verso, opportuna,
per la presenza nel Codice dei contratti pubblici dell’analoga previsione
dell’accordo quadro, nella parte in cui i due istituti vengono sostanzialmente
a coincidere, ossia con riguardo alla sotto-categoria dell’accordo quadro
concluso con un unico operatore economico, che vincola ciascuna parte ad applicare
ai futuri contratti applicativi le condizioni prefissate nell’accordo medesimo.
Per altro verso, detta abrogazione risulta altresì necessitata dal fatto che –
trattandosi di un Regolamento di esecuzione ed attuazione e non già di di
delegificazione – questo atto non poteva contenere norme che andassero oltre la
normativa primaria.
Sulla
scorta delle argomentazioni esposte, l’Autorità non può che aderire a quanto è
già stato espresso dal massimo organo consultivo del Consiglio di Stato.
Peraltro, nello stesso senso, la più recente giurisprudenza della Corte
costituzionale ha aggiunto che non soltanto il nuovo Regolamento ha abrogato la
previgente disciplina del contratto aperto di manutenzione, ma altresì che una
previsione di tal genere non possa essere contenuta in una legge regionale, in
quanto “spetta al legislatore statale – ferma restando l’autonomia negoziale
delle singole amministrazioni aggiudicatrici – individuare, per garantire
uniformità di trattamento sull’interno territorio nazionale, il tipo
contrattuale da utilizzare per la regolamentazione dei rapporti di lavori,
servizi e forniture” (Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 43)
Resta
da chiedersi, dunque, se sia astrattamente possibile ipotizzare che – per il
generale principio civilistico dell’autonomia contrattuale – le stazioni
appaltanti individuino quale oggetto di un contratto pubblico un contenuto che
ricalchi la previsione del contratto aperto di manutenzione di cui all’art. 154
del D.P.R. n. 554/1999. Questa affermazione deve essere valutata alla luce dei
principi che regolano il rapporto tra autonomia e tipicità contrattuale, con
specifico riferimento al Codice dei contratti pubblici.
In
primo luogo, infatti, l’autonomia contrattuale della stazione appaltante
incontra il limite della tipizzazione già effettuata dal legislatore statale.
In tal senso, poiché il legislatore ha dettato, nel Codice dei contratti
pubblici, la disciplina dell’accordo quadro bilaterale (bilateral framework
agreement) per lavori di manutenzione, la disciplina da essa divergente, o
parzialmente divergente, dovrà ritenersi ammissibile previa valutazione della
meritevolezza della causa; e l’attribuzione di un originale nomen juris assumerà
rilevanza nella misura in cui la disciplina contrattuale sia indice di uno
schema contrattuale sostanzialmente diverso, i.e. laddove la regolamentazione
esorbiti dalla normale elasticità dello schema tipico. Invero, ciò non sembra
avvenire nel rapporto tra i due istituti in esame. Dalla disciplina
dell’accordo quadro con un solo operatore risaltano, infatti, più analogie che
differenze con le previgenti norme del contratto aperto di manutenzione. In
particolare, la differenza rilevante – evidenziata anche dall’istante –
consiste nel fatto che il primo apre ad una serie di contratti autonomi, mentre
il secondo prevede, a valle, il susseguirsi di meri comportamenti esecutivi;
ciò, tuttavia, non sembra impedire all’autonomia negoziale della stazione
appaltante di prefissare nell’accordo quadro, destinato a regolare i futuri contratti
applicativi, le clausole che connotano il contratto aperto di manutenzione,
quali: predeterminazione del termine finale della prestazione e del suo
contenuto tecnico ed esecutivo senza predeterminazione del numero dei singoli
interventi manutentivi, ovviamente fermi restando i limiti di compatibilità con
la vigente disciplina di settore.
Naturalmente,
quale corollario implicito del principio di autonomia contrattuale, occorre
tener presente che la libertà di dettare una disciplina non prevista dal Codice
dei contratti pubblici si può esercitare soltanto entro il limite della
disciplina civilistica, ma non può, in alcun modo, travalicare tali confini per
proiettarsi sui criteri di scelta del contraente, i quali – diversamente –
rispondono a criteri pubblicistici e integrano norme di carattere imperativo.
Alla
luce di queste argomentazioni, si possono trarre alcune conclusioni con
riguardo alla applicabilità della risalente elaborazione giurisprudenziale e
interpretativa dell’Autorità al nuovo istituto. A tal proposito, è indubitabile
che la disciplina normativa del contratto aperto non sopravviva all’abrogazione
implicita operata dal nuovo Regolamento, ma sia stata assorbita da quella
dell’accordo quadro. Nondimeno, attese le evidenti somiglianze tra i due
istituti e la riconosciuta continuità dell’uno nell’altro, limitatamente alla
categoria dell’accordo quadro con un solo operatore economico (bilateral
framework agreement), l’interprete applicherà i consueti criteri
interpretativi, secondo le regole che presiedono alla successione di leggi nel
tempo: in questo senso, le categorie ermeneutiche elaborate per il contratto
aperto di manutenzione saranno applicabili all’istituto dell’accordo quadro,
nei limiti della compatibilità.