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mercoledì 25 marzo 2015

LA MERA ISTANZA DI RIESAME NON GENERA UN NUOVO PROCEDIMENTO



Sentenza n. 4401 del 20 marzo 2015 della Sezione II ter del TAR Lazio. Dinanzi ad una mera istanza di riesame, non c'e' l'obbligo per la P.A. di concludere il procedimento e, quindi, non si configura alcun silenzio rifiuto.
Il titolare di un chiosco collocato su suolo pubblico adibito a rivendita di giornali e riviste ha chiesto al Comune l’ampliamento della struttura per poter ivi effettuare l’ulteriore attività di somministrazione di alimenti e bevande. Dopo una serie di vicende amministrative il Comune ha negato l’accoglimento dell’istanza.
L’esercente, in luogo dell’impugnativa del provvedimento negativo, ha riproposto la domanda, chiedendo in sostanza un riesame della propria posizione all’Amministrazione civica. Quest’ultima è rimasta silente sull’istanza di riesame, costringendo così il titolare del chiosco a rivolgersi al TAR Lazio al fine di ottenere l’accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune, in ordine appunto all’istanza presentata ai fini dell’ampliamento dell’oggetto della concessione d’uso del suolo pubblico, nonché il riconoscimento  del diritto al risarcimento dei danni subiti e subendi a causa del comportamento (ritenuto illegittimo) del Comune medesimo.
Il TAR ha respinto il ricorso ritenendolo palesemente infondato. Il principio di diritto affermato dai giudici nella specie è stato quello in forza del quale la domanda con la quale il ricorrente aveva chiesto il rilascio dell’autorizzazione all’ampliamento della concessione di suolo pubblico con riferimento al chiosco – reiterando la medesima istanza sulla quale l’Amministrazione si era già pronunciata con atti rimasti inoppugnati – non era idonea ad avviare un procedimento rispetto al quale la medesima Amministrazione aveva l’obbligo di concludere ai sensi del comma 1 dell’articolo 2 della L. n. 241 del 1990.
In altri termini ritenere ammissibile la domanda di accertamento del silenzio-rifiuto in presenza di una istanza di mero riesame significherebbe consentire la riapertura dei procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili, non sussistendo l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere – e di conseguenza, non configurandosi un’ipotesi di silenzio-rifiuto – allorquando l’interessato, mediante la procedura del silenzio-rifiuto, intenda provocare il riesercizio del potere dell’Amministrazione (stimolando come nella specie l’adozione di provvedimenti di riesame), rispetto al quale è ravvisabile una posizione non di interesse legittimo, ma di mero interesse di fatto; deve, quindi, escludersi che, in tale ipotesi, sussista l’obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi o che comunque lo stesso segua obbligatoriamente all’istanza, secondo quanto richiesto dall’art. 2 della L. n. 241 del 1990, attesa la natura discrezionale, anche nell’an, dell’esercizio del potere di riesame, in ragione anche della specifica valutazione già espressa in precedenza dall’Ente.

sabato 6 ottobre 2012

CANNE FUMARIE E PERMESSO DI COSTRUIRE


La realizzazione di una canna fumaria che comporti una modifica del prospetto del fabbricato è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), del T.U. sull'edilizia.
Il T.A.R. di Napoli, in primo luogo, ha rimarcato che, in linea di principio, l’ordine di demolizione non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario e il cui presupposto è costituto unicamente dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo.
Né deve essere richiesta una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell'art. 3, L. n. 241/1990, atteso che, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).
Pertanto, anche nelle ipotesi in cui intercorre un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità dell’ingiunzione di demolizione, sia in rapporto al preteso affidamento circa la conformità dell'opera, sia in relazione a un presunto ulteriore obbligo per l'amministrazione procedente di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a far demolire il manufatto.
L’intervento è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti.
Quindi la realizzazione della canna fumaria era soggetta al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art.10, comma 1, lettera c), in quanto comportante una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce.
Il costante indirizzo giurisprudenziale, con riferimento alle canne fumarie, ha statuito che: “È necessario il rilascio del permesso di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile” (cfr. T..A.R. Lazio, Roma, Sez. II ter, 18 maggio 2001, n. 4246).