L’art.
53 comma 4 del codice dei contratti chiarisce che “Per le prestazioni a corpo,
il prezzo convenuto non può essere modificato sulla base della verifica della
quantità o della qualità della prestazione”, invece “per le prestazioni a
misura, il prezzo convenuto può variare, in aumento o in diminuzione, secondo
la quantità effettiva della prestazione. Per l'esecuzione di prestazioni a
misura, il capitolato fissa i prezzi invariabili per unità di misura e per ogni
tipologia di prestazione” (1).
La
differenza fra i due tipi di contratto viene sottolineata nel lodo arbitrale di
Napoli del 22 giugno 2000, secondo il quale “nel contratto d’appalto stipulato
a corpo, il prezzo viene determinato con la definizione di una somma fissa ed
invariabile per la realizzazione di un’ opera tecnicamente rappresentata negli
elaborati progettuali, per cui l’opera deve essere descritta in modo
estremamente preciso, per mezzo di un progetto molto dettagliato; viceversa nel
caso di prezzo a misura, questo può essere determinato nella sua effettiva
entità soltanto al termine dei lavori, sommando le componenti dell’’opera
finita e applicando loro il prezzo unitario prefissato”.
Entrambe
le categorie contrattuali, però presentano alcuni elementi di criticità più
volte segnalati dalla giurisprudenza.
Come
sostenuto dal collegio arbitrale di Roma del 23 ottobre 1997 “Il criterio di
determinazione del prezzo dell’appalto a corpo non costituisce, e non può
costituire, strumento per trasformare l’appalto in una scommessa o in un
contratto aleatorio, né tantomeno in un espediente per ottenere a spese
dell’appaltatore l’esecuzione di opere pubbliche a costi inferiori a quelli
effettivi, ma è consentito ed ammissibile, in via di principio, soltanto se ed
in quanto sia possibile procedere preventivamente alla precisa determinazione
dell’opera, quando cioè la possibilità di calcolare e misurare, precisamente
tutte le categorie di lavoro richieste, consente di forfettizzare il
corrispettivo globale e di lasciare quindi a carico oppure a vantaggio dell’appaltatore
il rischio o l’utile delle maggiori o minori quantità che risultassero
necessarie” (Lodo arbitrale Roma 23 ottobre 1997 n. 89). Ed ancora "In
caso di contratto a forfait (…) il rischio che grava sull'appaltatore in tale
tipo di contratto deve essere inteso nel senso che sull'impresa non possono
gravare oneri correlati a difficoltà che siano insorte nel corso del rapporto e
che siano al di fuori di ogni previsione originaria" (Lodo Roma 27 Maggio
2002).
Diversamente,
invece, come sostenuto dal collegio arbitrale di Roma del 6 aprile 2000 “Nell’appalto
a misura l’importo presunto dell’appalto costituisce un tetto economico,
concordato tra le parti, indicativo dei limiti di spesa dell’appalto, nonché,
secondo certe regole, dell’obbligo e del diritto dell’appaltatore di eseguire
le opere indicate nel contratto”. Inoltre “negli appalti a misura l’ampiezza
degli oneri espressamente contemplati nella descrizione di uno o più prezzi
unitari altro non comporta se non che l’impresa, nel formulare la propria
offerta, deve prefigurarsene l’entità in relazione a tutti i dati progettuali a
disposizione” (Lodo arbitrale Roma 22 marzo 2002).
(1)
Disposizione in parte analoga era prevista nella vecchia legislazione sulle
opere pubbliche Legge 20 marzo 1865, n. 2248 (allegato F), che ai sensi
dell’art. 326 prevedeva “Per le opere o provviste a corpo, il prezzo convenuto
è fisso e invariabile, senza che possa essere invocata dalle parti contraenti
alcuna verificazione sulla misura o sul valore attribuito alla qualità di dette
opere o provviste. Per le opere appaltate a misura, la somma prevista nel
contratto può variare, tanto in più quanto in meno, secondo la quantità
effettiva delle opere eseguite. Per l’esecuzione loro sono fissati nel
capitolato d’appalto prezzi variabili per unità di misura e per ogni specie di
lavoro”. Tale norma è stata abrogata dall’art. 256 del Codice dei contratti.