Le
varianti disposte dalla stazione appaltante nell'ambito del c.d. quinto
d'obbligo devono derivare da circostanze imprevedibili e sopravvenute, emerse
nel corso dell'esecuzione del contratto. Ne consegue che non può considerarsi
legittimo ricorrere a questo istituto per rimediare a errori originari compiuti
dall'ente appaltante in sede di determinazione dei propri fabbisogni o al fine
di eludere gli obblighi di evidenza pubblica per l'affidamento delle
prestazioni. Si è espresso in questi termini il Tar Campania, Sez. V, 27
novembre 2020, n. 5595, con una pronuncia che offre spunti interessanti
anche per meglio inquadrare la complessa disciplina sulle varianti in corso
d'opera contenuta nell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016.
Dal
punto di vista sostanziale la controversia riguarda l'affidamento di
prestazioni ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in presunta
violazione delle regole sull'evidenza pubblica.
Non
è stata accolta l’eccezione secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo attiene
allo jus variandi, e quindi sarebbe tipico della fase esecutiva, cioè della
fase successiva alla stipulazione del contratto, di conseguenza, in base al
tradizionale riparto di giurisdizione secondo cui il giudice amministrativo è
competente per tutte le controversie che attengono alla procedura di gara e
trova un limite alla sua competenza nell'avvenuta stipulazione del contratto.
Tale
istituto, da sempre conosciuto nell'ordinamento dei contratti pubblici, trova
oggi regolamentazione nel comma 12 dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016. Questa
disposizione consente all'ente appaltante di imporre all'appaltatore un aumento
o una diminuzione delle prestazioni nel limite del quinto dell'importo del
contratto originario (appunto il quinto d'obbligo) in relazione a necessità
sorte nel corso dell'esecuzione del contratto. Tali prestazioni aggiuntive
devono essere eseguite dall'appaltatore alle stesse condizioni previste nel contratto
originario.
Si
tratta di una particolare forma di jus variandi, che consente all'ente
appaltante di aumentare o diminuire le prestazioni nel limite del 20%
dell'importo del contratto originario, e che ha la peculiare caratteristica che
l'appaltatore, entro il suddetto limite, non può apporre alcun rifiuto, essendo
tenuto a eseguire le prestazioni aggiuntive (o a subire una diminuzione delle
stesse) alle medesime condizioni previste nel contratto originario.
Il
TAR ricorda preliminarmente che lo ius variandi relativo al quinto d'obbligo
riconosciuto all'ente appaltante nei termini indicati assume natura derogatoria
in primo luogo rispetto alla disposizione di carattere generale di cui
all'articolo 1372 codice civile, secondo cui il contratto ha forza di legge tra
le parti. In questo caso, infatti, si riconosce a uno dei due contraenti –
l'ente appaltante – la facoltà di modificare unilateralmente uno degli elementi
essenziali del contratto, e cioè la quantità delle prestazioni da rendere.
La
previsione sul quinto d'obbligo si pone anche come eccezione alla regola
generale secondo cui i committenti pubblici devono affidare le prestazioni da
acquisire tramite procedura a evidenza pubblica. Le prestazioni aggiuntive, nei
limiti del quinto dell'importo del contratto originario, vengono infatti
affidate all'appaltatore al di fuori di ogni procedura concorrenziale.
La
natura derogatoria della previsione in esame, porta a ritenere che quest'ultima
debba considerarsi di stretta interpretazione, nel senso che non può trovare
applicazione oltre i limiti tassativi individuati dalla stessa, e si afferma
pertanto il principio secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo può essere
legittimamente utilizzato solo a fronte di circostanze imprevedibili e
sopravvenute sorte nel corso dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Al
contrario, è da ritenersi assolutamente precluso il ricorso a questo istituto
per rimedire ad errori originari compiuti dall'ente appaltante in sede di
valutazione dei propri fabbisogni quantitativi ovvero – in termini ancora più
critici – per eludere le norme che impongono il ricorso a procedure a evidenza
pubblica per l'affidamento delle prestazioni.
In
merito alla disciplina generale delle varianti, di cui all'articolo 106 del
D.lgs. 50, occorre considerare che i commi 1 e 2 di tale articolo individuano
le ipotesi in cui è consentito introdurre varianti ai contratti in corso di
esecuzione, definendo nel dettaglio le specifiche condizioni, in relazione a
ognuna delle ipotesi elencate, che devono ricorrere affinché l'introduzione sia
legittima.
Nel
contempo, il comma 12 consente all'ente appaltante di esercitare lo ius
variandi nei limiti del quinto d'obbligo. Si deve ritenere che quest'ultima
previsione abbia una valenza autonoma, nel senso che il ricorso alle varianti
nell'ambito del quinto d'obbligo prescinde dal ricorso delle condizioni
indicate dai commi 1 e 2.
In
altri termini, l'ente appaltante potrà disporre le varianti nei limiti del
quinto dell'importo del contratto originario a prescindere dall'esistenza delle
condizioni cui le disposizioni dell'articolo 106 subordinano, in termini
generali, la possibilità di introdurre varianti. Resta tuttavia fermo il
principio generale secondo cui anche le varianti disposte nell'ambito del
quinto d'obbligo devono trovare giustificazione in eventi sopravvenuti e
imprevedibili emersi come tali nella fase di esecuzione del contratto e che non
erano conosciuti o conoscibili in fase di predisposizione della documentazione
di gara.
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