Al fine della
partecipazione ad una procedura selettiva per l'affidamento di un appalto
pubblico, “è necessario il possesso dei requisiti richiesti dal bando che,
oltre che di carattere oggettivo, possono essere di carattere soggettivo, in
quanto attengono alla situazione personale del soggetto, con riguardo alla sua
affidabilità morale e professionale, e non sono passibili di ricorso
all'avvalimento”.
Consiglio di
Stato, Sezione V, sentenza n. 3698/2015 depositata il 28 luglio.
L’avvalimento
di cui all’art. 49 del Codice Appalti (d. lgs. n. 163 del 2006), “è finalizzato
a soddisfare i requisiti strettamente connessi alla prova della capacità economico-finanziaria
e tecnico-professionale, nel senso che l'impresa ausiliata può far fronte alle
proprie carenze, avvalendosi, per l'espletamento dell'appalto, dei requisiti
posseduti dall'impresa ausiliaria.
Fanno
infatti eccezione alla portata generale di tale istituto i requisiti strettamente personali, come quelli di carattere
generale ai sensi dell'art. 38 del citato d. lgs. n. 163 del 2006 (cd. requisiti di idoneità morale), così
come quelli soggettivi di carattere personale, individuati nell'art. 39 del
medesimo d. lgs. (cd. requisiti
professionali). Tali requisiti, infatti, non sono attinenti all'impresa e
ai mezzi di cui essa dispone e non sono intesi a garantire l'obiettiva qualità
dell'adempimento; sono, invece, relativi alla mera e soggettiva idoneità
professionale del concorrente — e quindi non dell'impresa ma dell'imprenditore
— a partecipare alla gara d'appalto e ad essere, quindi, contraente con la p.a.
(Consiglio di Stato, sez. V, 5 novembre 2012, n. 5595)”.
Per
quanto riguarda la certificazione di
qualità aziendale, il Consiglio di Stato osserva che in genere il rilascio
di tale certificazione, “identificabile con la capacità dell’imprenditore di
organizzare i propri processi produttivi e le proprie risorse al fine di
corrispondere, nella maniera più opportuna, alle richieste della stazione
appaltante, costituisce la conclusione di un percorso che vede impegnata
l'intera struttura aziendale; quindi proprio la stretta relazione che sussiste
tra l'ottimale gestione dell'impresa nel suo complesso ed il riconoscimento
della qualità rende tale certificazione un requisito connotato da un'implicita
soggettività (anche se rientra fra i requisiti di ordine speciale e, più
precisamente, tecnico-organizzativo) e come tale non cedibile ad altre imprese
se disgiunta dall'intero complesso aziendale in capo al quale è stato
riconosciuto il sistema di qualità”.
Secondo
il collegio, quindi, la certificazione
di qualità, finalizzata ad assicurare l’esigenza che l'impresa svolga il
servizio secondo un livello minimo di prestazioni accertato da un organismo
qualificato, deve essere ascritta tra i requisiti di ordine soggettivo di
affidabilità che debbono essere posseduti da chi esegue effettivamente la
prestazione.
Il
CdS non condivide dunque l’opposto l’orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale la disciplina dell'art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006 non pone alcuna
limitazione all'avvalimento se non per i requisiti strettamente personali, di
carattere generale, di cui ai precedenti artt. 38 e 39, mentre quello della
certificazione di qualità - in quanto connesso ad una procedura con la quale un
soggetto verificatore esterno all'impresa, terzo e indipendente e a ciò
autorizzato, fornisce attestazione scritta che un'attività è conforme ai
requisiti specificati da norme tecniche, garantendone la perduranza nel tempo
attraverso un'adeguata sorveglianza - dovrebbe essere acquisito come requisito
speciale di carattere (pur sempre) tecnico- organizzativo e come tale suscettibile
di avvalimento.
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