Con la sentenza n.
279/2018 pubblicata il 17 gennaio, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha
affermato che, nell'ambito delle gare d'appalto, l’inserimento di requisiti di
esperienza tra i criteri di valutazione dell’offerta è ammissibile nel solo
caso di appalti di servizi.
Inoltre, deve essere data
una lettura garantista alla causa di esclusione dell’illecito professionale,
che può operare solo a fronte di un precedente che abbia assunto carattere di
definitività.
Infine, i chiarimenti
forniti dalla Stazione appaltante su una procedura di gara devono ritenersi
ammessi nei limiti in cui non modifichino la disciplina dettata per lo
svolgimento della stessa.
I
CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE OFFERTE NELLE GARE CON OEPV. Ad avviso del
Collegio, sono censurabili i criteri di valutazione dell’offerta che includono,
ai fini dell’attribuzione del punteggio, elementi attinenti alla capacità
tecnica dell’impresa (certificazione di qualità e pregressa esperienza presso
soggetti pubblici e privati), anziché alla qualità dell’offerta. In
particolare, “è necessario tenere separati i requisiti richiesti per la
partecipazione alla gara da quelli pertinenti all’offerta ed all’aggiudicazione,
non potendo rientrare tra questi ultimi i requisiti soggettivi in sé
considerati, avulsi dalla valutazione dell’incidenza dell’organizzazione
sull’espletamento dello specifico servizio da aggiudicare”(cfr. C.d.S. nn.
4191/2013 e 5181/2015).
Tale
orientamento, secondo il CdS, rispecchia un principio di matrice comunitaria,
che si pone anche a tutela delle capacità competitive delle piccole e medie
imprese che presentano un profilo esperienziale meno marcato.
Ne
consegue che, secondo il Collegio, la commistione tra requisiti di
partecipazione e criteri di valutazione dell’offerta, da applicare sempre “cum
grano salis”, può essere prevista ai sensi del Codice dei contratti nel caso in
cui “l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale
effettivamente utilizzato nell’appalto … possa[no] avere un’influenza
significativa sul livello di esecuzione dell’appalto” (art. 95, co. 6, lett. e)
del D.lgs. 50/2016).
Peraltro,
viene affermato che la valutazione nell’offerta tecnica di elementi di tipo
soggettivo può riguardare solo gli appalti di servizi (e non quindi gli appalti
di lavori), e ciò solo al ricorrere a precise condizioni:
-
l’attività dell’impresa premiata deve effettivamente “illuminare la qualità
dell’offerta”
-
lo specifico punteggio assegnato per l’attività svolta, con oggetto analogo a
quella dell’appalto da affidarsi, non deve incidere in maniera rilevante sulla
determinazione del punteggio complessivo.
Si
tratta di una posizione ampiamente condivisa e anticipata, in più occasioni,
dall’ANCE che ha sempre ritenuto non coerente con la natura degli appalti di
lavori e con il sistema SOA, l’individuazione di un particolare requisito
soggettivo (nel caso specifico l’esperienza pregressa) come criterio di
attribuzione del punteggio.
Infatti,
il concorrente ad un appalto di lavori di importo superiore a 150.000 euro ha
già comunque obbligatoriamente dimostrato alla SOA i requisiti di capacità
tecnica e professionale previsti dall’art. 83 e cioè di essere in possesso,
oltre che dei requisiti di ordine generale, dell’idonea esperienza richiesta in
relazione allo specifico appalto.
Gli
stessi requisiti non potrebbero quindi assurgere a criterio soggettivo di
attribuzione del punteggio.
L’ILLECITO
PROFESSIONALE. Il Collegio approfondisce anche la causa di esclusione
dell’illecito professionale, di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del D.lgs.
50 del 2016, Codice dei contratti pubblici, confermando l’orientamento più
“garantista” già espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale, con la sentenza 28 dicembre 2017, n.
575.
Secondo
l’orientamento espresso, l’eventuale inadempimento contrattuale del concorrente
(penali, risarcimento, incameramento della garanzia) non rappresenta una “significativa
carenza” e, quindi, non può comportare l’esclusione dalla procedura di gara,
nel caso in cui non si siano ancora prodotti effetti giuridici “definitivi”,
perché non contestati ovvero confermati in giudizio.
A
tale proposito, il giudice amministrativo ha altresì chiarito, in una diversa
occasione, che non dovrebbe sussistere l’illecito professionale laddove le
parti si siano accordate e l’inadempimento sia stato sanato col pagamento di
una penale, proprio perché questa è frutto di un accordo con il committente,
non di un risarcimento stabilito dal giudice al termine di un contenzioso (Tar
Campania, sez. IV, sentenza n. 99/2018).
Pertanto,
se nel primo caso l’impresa può essere esclusa per illecito professionale, nel
secondo non sussistono tali presupposti.
Tornando
al caso in esame, il Consiglio di Stato ha escluso che la morosità nel
pagamento di canoni concessori possa rappresentare una condotta che integra un
grave illecito professionale, laddove non si tratti di un inadempimento
definitivamente accertato, ossia non contestato in giudizio ovvero confermato
all’esito di un giudizio.
Rispetto
al predetto orientamento, il Collegio evidenzia altresì che, nell’illecito
professionale, il riscontro della gravità dell’evento verificatosi o della
negligenza ed dell’errore professionale dell’operatore economico può spettare
esclusivamente all’Amministrazione, non ad un terzo ricorrente.
Infatti,
l’impresa ricorrente non può sostituirsi all’Amministrazione
nell’”individuazione, avente carattere discrezionale, del punto di rottura
dell’affidabilità della controparte contrattuale, tale da precludere la
stipulazione di futuri rapporti negoziali, desumibile anche da vicende
pregresse”.
La
posizione più garantista espressa dalla suddetta giurisprudenza è ampiamente condivisa
dall’ANCE, che in più occasioni ha ravvisato l’esigenza di consentire
l’operatività di un quadro regolatorio efficace, senza privare gli operatori
del settore delle necessarie garanzie in termini di certezza del diritto.
Sotto
questo profilo, sarebbe opportuno pervenire ad una modifica della norma
vigente, che riconduca chiaramente le fattispecie rilevanti quale illecito
professionale a fatti accertati definitivamente, riferibili solo all’impresa e
riscontrabili attraverso i dati inseriti nel Casellario dell’ANAC.
I
CHIARIMENTI FORNITI DALLA STAZIONE APPALTANTE. Il Consiglio di Stato conferma
l’orientamento secondo cui i chiarimenti forniti dalla Stazione appaltante
“sono ammissibili purché non modifichino la disciplina dettata per lo
svolgimento della gara, cristallizzata nella lex specialis, avendo i medesimi
una mera funzione di illustrazione delle regole già formate e predisposte dalla
disciplina di gara, senza alcuna incidenza in termini di modificazione o
integrazione delle condizioni di gara” (cfr., ex multis, C.d.S. nn. 978/2017,
735/2017 e 74/2016).
L’ammissibilità
dei chiarimenti va invece esclusa allorquando, mediante l’attività
interpretativa, si giunga ad attribuire ad una disposizione del bando un
significato ed una portata diversa o maggiore rispetto a quella che risulta dal
testo.
Infatti,
se nelle gare d’appalto le uniche fonti ad assumere carattere vincolante per la
Commissione giudicatrice sono bando di gara, capitolato e disciplinare
(unitamente agli eventuali allegati), i successivi chiarimenti
(auto-interpretativi) della stazione appaltante non possono né modificarle, né
integrarle (C.d.S. n. 4441/2015).
In
altri termini, i chiarimenti della Stazione appaltante possono costituire
interpretazione autentica soltanto nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile un
conflitto tra le delucidazioni fornite dall’Amministrazione ed il tenore delle
clausole chiarite (C.d.S. n. 1889/2015). E se del caso, laddove vi sia
contrasto, deve darsi prevalenza alle clausole della lex specialis e al significato
desumibile dal tenore delle stesse, per quello che oggettivamente prescrivono.
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