La
regola deontologica secondo cui a garanzia della qualità delle prestazioni il
geologo deve sempre commisurare il compenso al decoro professionale, è
restrittiva della concorrenza e non può essere considerata necessaria al
perseguimento di legittimi obiettivi collegati alla tutela del consumatore.
Lo
ha stabilito la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n.
238/2015 depositata il 22 gennaio, e nata da un ricorso dell'Ordine degli
ingegneri contro le sanzioni irrogate dall'Antitrust per avere l'Ordine
adottato il parametro del decoro per la determinazione delle tariffe
professionali.
Della
questione era stata investita anche la Corte di Giustizia europea, che con la
sentenza 18 luglio 2013, C-136/12 ha affermato che “le regole deontologiche che
indicano come criteri di commisurazione delle parcelle del professionista la
dignità della professione nonché la qualità e l’importanza della prestazione
sono idonee a produrre effetti restrittivi della concorrenza nel mercato
interno”. Tuttavia la Corte Ue ha demandato al giudice del rinvio il compito di
valutare, alla luce del contesto globale nel quale il codice deontologico
dispiega i suoi effetti, compreso l’ordinamento giuridico nazionale nonché la prassi
applicativa di tale predetto codice da parte dell’Ordine nazionale dei geologi,
se vi sia un effetto restrittivo della concorrenza nel mercato interno.
LA
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO. Nella sentenza depositata il 22 gennaio 2015, il
CdS ricorda che, nel corso dell’indagine conoscitiva svolta dall’Antitrust per
valutare lo stato di recepimento dei principi della concorrenza nei codici
deontologici a seguito della c.d. legge Bersani, è emerso che “secondo la
prospettiva ordinistica, un prezzo inferiore alla tariffa minima non
risulterebbe decoroso per la professione” (par. 57). E’ emerso, quindi, che
l’obbligo contenuto nei codici deontologici di rispettare il decoro della professione
nella determinazione del compenso induca di fatto, e per prassi consolidata,
gli iscritti a ritenere vincolanti le tariffe professionali.
In
altri termini, l’obbligo di commisurare
il compenso al decoro professionale si traduce, nella prassi, in una
surrettizia reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così l’abolizione
degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4 luglio 2006, n.
223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del decreto legge 24
gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27), con i
conseguenti effetti restrittivi della concorrenza.
I
geologi, infatti, in virtù della suddetta regola deontologica si troverebbero
obbligati a commisurare i compensi ai minimi tariffari, rischiando, altrimenti,
l’irrogazione di sanzioni disciplinari da parte dell’Ordine di appartenenza.
Secondo
il Consiglio di Stato non si può ritenere che tale regola deontologica (e il
collegato effetto restrittivo della concorrenza che ne deriva) sia necessaria
per garantire l’obiettivo della tutela del consumatore, assicurandogli una
prestazione di qualità.
Infatti,
il fine di tutelare il consumatore viene adeguatamente perseguito
dall’ordinamento nazionale tramite altri strumenti, che trovano il loro
principale ambito di applicazione nella disciplina del singolo rapporto tra
professionista e cliente, e si traducono nella previsione di rimedi
civilistici, la cui piena operatività non richiede l’attribuzione di alcun
potere di vigilanza all’Ordine professionale.
Parimenti, non si può
ritenere che la regola deontologica che impone di praticare compensi
commisurati al decoro della professione possa trovare una copertura normativa
nell’art. 2233, comma 2 del Codice Civile che, occupandosi del contratto d’opera
intellettuale, prevede espressamente che “in ogni caso la misura del compenso
deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
Tale norma si indirizza,
infatti, al singolo professionista, disciplinando i suoi rapporti con il
cliente nell’ambito del singolo rapporto contrattuale, senza attribuire alcun
potere di vigilanza agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri
iscritti.
Sotto
questo profilo, quindi, secondo il Consiglio di Stato va pienamente condivisa
la posizione dell’AGCM, secondo cui la
citata disposizione del codice civile non attribuisce all’Ordine alcun potere,
né tanto meno alcun dovere di vigilare sul comportamento dei propri iscritti
nella determinazione del compenso, non potendo quindi l’Ordine controllare che
il compenso liberamente pattuito sia comunque adeguato al decoro della
professione.
Pertanto,
il CdS ha respinto l’appello proposto dal CNG e ha invece accolto l’appello
proposto dall’AGCM, volto a contestare il parere del Tar secondo il quale
l’Autorità non avrebbe fornito elementi sufficienti a provare la tesi per cui
l’aver fatto riferimento alla dignità della professione come uno degli elementi
da prendere in considerazione nella commisurazione delle parcelle dei geologi
implicasse il carattere obbligatorio della tariffa professionale.
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