Consiglio di Stato, sez.
III, Sentenza del 05.02.2016 n. 463
Si
è pronunciato in merito al giudizio di attualità e di concretezza del pericolo
di infiltrazione mafiosa, contenuto nell’informativa interdittiva antimafia
adottata dalla Prefettura con il conseguente provvedimento di revoca dell’aggiudicazione
dell’appalto.
L’interdittiva controversa
è stata assunta sulla (sola) base di indici di pericolo di infiltrazione
mafiosa risalenti nel tempo, errati, equivoci, non concludenti e, soprattutto,
del tutto inidonei ad attestare, con la necessaria capacità probatoria, la
concretezza e l’attualità del tentativo di ingerenza della criminalità
organizzata nell’amministrazione dell’impresa, soprattutto a fronte della
contraria (e più recente, rispetto alle circostanze assunte a fondamento della
contestata interdittiva) documentazione, ritualmente prodotta solo in appello (in quanto acquisita dall’appellante
solo dopo la pubblicazione della decisione impugnata), con la quale la D.I.A.,
unitamente a diversi organi di polizia, ha escluso la sussistenza, a carico
dell’impresa, di risultanze investigative idonee a dimostrare la sua
esposizione al rischio di influenze mafiose.
Se
è vero che la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di
anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale,
l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento
o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez.
III, 15 settembre 2014, n.4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal
solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche
se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata
nell’attività imprenditoriale (Cons. St., sez. III, 1 settembre 2014, n.4441),
è anche vero che l’apprezzamento degli
indici significativi del predetto rischio deve necessariamente fondare una
valutazione di attualità del tentativo di condizionamento della gestione
dell’impresa da parte di associazioni mafiose (Cons. St., sez. III, 7 ottobre
2015, n.4657).
E’
stato, al riguardo, chiarito che l’interdittiva antimafia può legittimamente
fondarsi su fatti e circostanze risalenti nel tempo, oltre che su indici più
recenti, purché, tuttavia, dall’analisi del complesso delle vicende esaminate
emerga un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità
e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione
dell’attività d’impresa (Cons. St., sez. III, 13 marzo 2015, n.1345).
A
fronte, quindi, di risultanze istruttorie (peraltro particolarmente
qualificate) attestanti l’insussistenza di evidenze investigative attestanti il
tentativo o, comunque, il rischio di condizionamento mafioso dell’impresa,
l’Amministrazione, lungi dal tenerne conto (come, invece, avrebbe dovuto) nel
giudizio complessivo ad essa affidato dagli artt. 90 e ss. d.lgs. n. 159 del
2011, ne ha del tutto pretermesso l’esame, ignorandone la stessa esistenza
(nella motivazione dell’atto) e fondando, invece, la sua valutazione
sull’apprezzamento di circostanze (peraltro scarsamente significative, come sopra
rilevato) più risalenti nel tempo e, come tali, del tutto inidonee ad attestare
(soprattutto se contraddette da più recenti e affidabili risultanze contrarie)
l’attualità dell’esposizione dell’impresa al pericolo concreto di ingerenze
mafiose.
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