Dalla Corte di giustizia
europea nuove puntualizzazioni in merito all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
Con
la sentenza n. C-178/16 del 20 dicembre 2017, la Corte di giustizia europea ha
precisato che la direttiva 2004/18 e in particolare l’articolo 45, paragrafo 2,
primo comma, lettere c), d) e g), di tale direttiva, nonché i principi di parità
di trattamento e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che
non ostano a una normativa nazionale che consente all’amministrazione
aggiudicatrice:
di
tener conto, secondo le condizioni da essa stabilite, di una condanna penale a
carico dell’amministratore di un’impresa offerente, anche se detta condanna non
è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di
tale impresa, qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le
sue funzioni nell’anno precedente la pubblicazione del bando di gara d’appalto
pubblico, e
di
escludere tale impresa dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di
appalto in questione con la motivazione che, omettendo di dichiarare detta
condanna non ancora definitiva, l’impresa non si è effettivamente e
completamente dissociata dalla condotta del suddetto amministratore.
La
sentenza della Corte di giustizia Ue è stata occasionata da una controversia
avente ad oggetto un provvedimento di esclusione da una gara di appalto di
un’ATI, adottato dalla stazione appaltante, su conforme parere dell’ANAC reso
ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. n), d.lgs. n. 163 del 2006 (vecchio Codice
Appalti), dopo avere accertato, nella fase di ammissione, che a carico del
legale rappresentante della capogruppo era stata pronunciata sentenza di
condanna passata in giudicato per reato incidente sulla moralità professionale;
il provvedimento di esclusione veniva adottato nonostante la capogruppo
mandataria avesse chiarito che la sentenza era passata in giudicato in data
successiva a quella in cui era stata resa la dichiarazione circa il possesso
dei requisiti di partecipazione e che anche la sentenza di primo grado era
stata pubblicata in data successiva, adottando peraltro immediatamente incisive
misure di dissociazione, compresa la rimozione da tutte le cariche sociali e
l’allontanamento dagli organi di gestione.
L’Autorità
anticorruzione, in particolare, rilevava che, sebbene, in mancanza di una
sentenza irrevocabile, le dichiarazioni non potessero essere qualificate come
«falsa dichiarazione», tuttavia la mancata tempestiva comunicazione dello
sviluppo delle vicende penalmente rilevanti riguardanti uno dei soggetti
menzionati all’articolo 38, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n.
163/2006 poteva costituire una violazione del dovere di leale collaborazione
con la stazione appaltante, impedendo così l’effettiva e completa dissociazione
rispetto al soggetto interessato.
L’esclusione
veniva pertanto successivamente motivata dalla stazione appaltante in
considerazione del fatto che i requisiti generali di cui all’articolo 38 del
decreto legislativo n. 163/2006 non potevano ritenersi soddisfatti «in ragione
dell’insufficiente e tardiva dimostrazione della dissociazione dalla condotta
penalmente rilevante posta in essere dal soggetto cessato dalla carica»,
evidenziandosi al contempo che la condanna – e segnatamente la lettura del
dispositivo in camera di consiglio - era intervenuta in un momento antecedente
alla dichiarazione resa in gara e come tale avrebbe potuto essere dichiarata in
sede di partecipazione» (sulla rilevanza, quale indice di non dissociazione, di
tale condotta omissiva cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6284).
LA
SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA. La Corte di giustizia europea non ha condiviso i
dubbi espressi dal giudice rimettente concludendo nel senso della conformità
del diritto nazionale al diritto comunitario per le seguenti ragioni:
a)
in materia di cause facoltative di esclusione, conformemente all’articolo 45,
paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 2004/18, spetta agli Stati membri,
nel rispetto del diritto dell’Unione, precisarne le «condizioni di
applicazione»; gli Stati membri pertanto hanno il potere di attenuare o di
rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione (sentenza del
14 dicembre 2016, C 171/15, Connexxion Taxi Services) godendo al riguardo
di un ampio potere discrezionale;
b)
il diritto dell’Unione muove dalla premessa che le persone giuridiche agiscono
tramite i propri rappresentanti. Il comportamento contrario alla moralità
professionale di questi ultimi può quindi costituire un elemento rilevante ai
fini della valutazione della moralità professionale di un’impresa. È quindi
senz’altro possibile per gli Stati membri, nell’esercizio della loro competenza
a stabilire le condizioni di applicazione delle cause facoltative di
esclusione, prendere in considerazione, tra gli elementi rilevanti ai fini
della valutazione dell’integrità dell’impresa offerente, l’eventuale esistenza
di condotte degli amministratori di tale impresa contrarie alla moralità
professionale. Ciò non configura quindi un’«estensione» dell’ambito di
applicazione di tale causa di esclusione, bensì costituisce un’attuazione del
medesimo che preserva l’effetto utile di detta causa di esclusione;
c)
quanto rilevato al punto che precede vale anche per gli amministratori cessati
dalla carica, con la precisazione che la data a decorrere dalla quale un
siffatto comportamento può giustificare l’esclusione dell’offerente va
stabilita nel rispetto del principio di proporzionalità;
d)
poiché lo Stato membro ha il diritto di modulare le condizioni di applicazione
delle cause facoltative di esclusione, può anche rinunciare ad applicare una
causa di esclusione in caso di dissociazione dell’impresa offerente dalla
condotta che costituisce reato. In tal caso, esso ha altresì il diritto di
determinare le condizioni di tale dissociazione e di richiedere, come avviene
nel diritto italiano, che l’impresa offerente informi l’amministrazione
aggiudicatrice della condanna subìta dal suo amministratore, anche se tale
condanna non è ancora definitiva;
e)
spetta all’amministrazione aggiudicatrice valutare le prove della dissociazione
offerte dalla impresa concorrente;
f)
una condanna penale che incida sulla moralità professionale, anche se non
definitiva, può integrare la causa di esclusione prevista all’articolo 45,
paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18, che consente di
escludere un offerente che, nell’esercizio della propria attività
professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di
prova dall’amministrazione aggiudicatrice. In questo caso la condanna, pur non
ancora definitiva, può, a seconda dell’oggetto di tale decisione, fornire
all’amministrazione aggiudicatrice un mezzo di prova idoneo a dimostrare la
sussistenza di un grave errore professionale, ove tale decisione può comunque
essere sottoposta a controllo giurisdizionale;
g)
il fatto di non informare l’amministrazione aggiudicatrice della condotta
penalmente rilevante dell’ex amministratore può anch’esso costituire un
elemento che consente di escludere un offerente dalla partecipazione a una
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, ai sensi dell’articolo 45,
paragrafo 2, primo comma, lettera g), della direttiva 2004/18, a mente del
quale un offerente può essere escluso se si è reso gravemente colpevole di
false dichiarazioni, ma anche qualora non fornisca le informazioni che possono
essere richieste a norma della sezione 2 del capo VII del titolo II di tale
direttiva, vale a dire quelle riguardanti i «criteri di selezione qualitativa».
La
Corte di giustizia, infine, ha ritenuto che il giudice rimettente abbia omesso
di precisare, in relazione ai principi di diritto dell’Unione evocati, sotto
quale profilo, riguardo ai fatti del caso di specie, essi possano risultare
pertinenti e ostare alla normativa nazionale di cui al procedimento principale.
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