Con
l'ordinanza n.138/2019 depositata il 7 gennaio 2019, la quinta sezione del Consiglio
di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia europea due questioni inerenti
l’affidamento in house ex art. 192, comma 2, del nuovo Codice dei contratti
(decreto legislativo n. 50 del 2016).
Le
due questioni sono:
1)
se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera
amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale
equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di
interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come
quella dell’art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, approvato
con d.lgs. n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un
piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di
appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato
fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque
all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione
interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la
collettività connessi a tale forma di affidamento;
2)
se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’art. 12, paragrafo 3
della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di
controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina
nazionale (come quella dell’art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società
partecipate, approvato con d.lgs. n. 175 del 2016) che impedisce a
un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da
altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a
garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende
comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la
possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo
pluripartecipate.
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