Il
concetto di regola d’arte è abbondantemente ripreso, più o meno direttamente,
in numerosi articoli del Codice Civile.
Ad
esempio l'art. 1176 del C.C. prescrive che “nell'adempimento delle obbligazioni
inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi
con riguardo alla natura dell'attività esercitata”, per l'art. 2224 il
prestatore d'opera è tenuto a procedere all'esecuzione dell'opera “secondo le
condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte2. Quindi il Legislatore (e
di conseguenza il Magistrato che applica le leggi) utilizza tranquillamente il
concetto di regola d’arte, ma la legge stessa non ne fissa una esauriente
definizione (salvo voler fare riferimento a norme di settore come ad esempio la
regola tecnica degli impianti antincendio contenuta nel recentissimo D.M.
20.12.2012), lasciando così il campo aperto a qualsiasi valutazione:
La
regola d’arte deve forse essere intesa come stato dell’arte, cioè il livello
massimo delle prestazioni oggi ottenibili? Deve intendersi come il top della
tecnica odierna, essere qualcosa di simile alla B.A.T. (best available
technology) di derivazione anglosassone?
Oppure
dev’essere al contrario considerabile alla stregua di uno standard minimo,
sotto al quale non si può scendere al fine di garantire buoni risultati e
corretto godimento del bene? Come sintetizzato dall’acronimo inglese ALARA che
significa As Low As Reasonably Achievable (il più basso ragionevolmente
raggiungibile). E tutto questo può essere messo in relazione con il prezzo
(alto, basso) che il Committente paga per la prestazione?
O
ancora è forse sufficiente rifarsi al mero rispetto delle regole sancite dalla
legislazione tecnica e dalle varie normative di settore ? O c’è di più?
Certo
oggi viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui si viveva anche solo
pochi decenni orsono. Una delle caratteristiche del mondo odierno è proprio
quella di tendere a normare moltissime attività, molto più di quanto accadesse
in passato. Si pensi agli esempi più conosciuti e comuni (le norme UNI, le
norme CEI, le norme di sicurezza, le norme per la prevenzione degli incendi, le
norme tecniche per le costruzioni, le norme sull’igiene e la sicurezza, e gli
esempi potrebbero continuare a lungo). Questo complesso normativo, per la gran
parte di derivazione comunitaria, tende ormai a raggiungere moltissime
attività, anche di tipo tecnico oltre che di tipo industriale e manifatturiero.
Quindi forse grazie a questo corpo normativo sempre più imponente e pervasivo
di un po’ tutte le attività umane diventa più facile il compito di definire
quale sia la famosa regola d’arte. Ma è sufficiente questo?
Si
aggiunga che non sempre si tratta di questioni riconducibili al solo Codice
Civile. La responsabilità penale connessa alla regola d’arte interessa principalmente
due aspetti molto diversi tra loro:
le
certificazioni/asseverazioni/collaudi di determinati status;
fenomeni
colposi (lesioni ed omicidio colposo) dovuti a conseguenze individuali o
collettive verificatesi a seguito di eventi fisici, con conseguente necessità
di stabilire se, laddove l'opera fosse stata realizzata a regola d’arte
l’evento si sarebbe ugualmente verificato e con quale percentuale di
probabilità.
Guardando
anche alla legislazione estera, a questo secondo aspetto si riferisce ad
esempio una norma del Codice Penale elvetico, il cui articolo 229 (Violazione
delle Regole dell’arte in edilizia) recita: “Chiunque, dirigendo od eseguendo
una costruzione o una demolizione, trascura intenzionalmente le regole
riconosciute dell’arte e mette con ciò in pericolo la vita o l’integrità delle
persone, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena
pecuniaria. Se il colpevole ha trascurato per negligenza le regole riconosciute
dell’arte, la pena è una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria”.
Ancora
una volta la domanda: di quali regole dell’arte sta parlando il Legislatore?
Queste sono quindi le questioni da cui siamo partiti nelle nostre riflessioni,
ed a cui abbiamo cercato di dare una risposta.
DEFINIZIONE DI REGOLA
D'ARTE. Anzitutto
una doverosa premessa: nonostante il concetto di regola d’arte sia ovviamente
universale ed applicabile a qualsiasi attività, nel considerare l’esecuzione di
lavori e le prestazioni tecniche connesse con tali lavori si tende in genere a
pensare soprattutto ai più frequenti casi di contenzioso riferiti ai lavori
connessi con l’ingegneria civile e impiantistica.
Chiaro
che anche un software gestionale, un contratto di compravendita, o un paio di
scarpe o di occhiali può essere fatto più o meno a regola d’arte, ma meno
frequentemente sentiremo usare questa espressione per quel genere di attività.
Quindi per cercare di delimitare il campo (altrimenti infinito) è giusto dare
atto che oggetto delle nostre riflessioni è stato essenzialmente il campo già
comunque vasto dell’ingegneria civile e dell’impiantistica ad esso
connessa.
Chiarito
questo, le riflessioni che ne sono seguite ci hanno portato ad identificare la
regola d’arte come il complesso delle regole tecniche cui attenersi al fine di
assicurare uno standard minimo di accettabilità del prodotto, in termini di
utilizzabilità, durata, affidabilità e sicurezza. Laddove per prodotto si
intende non necessariamente solo un manufatto, ma anche il risultato di una
attività intellettuale, quale ad esempio un progetto.
RAPPORTI CON IL CONTRATTO. È chiaro che, a partire da quanto
appena stabilito, le casistiche contrattuali possono essere infinite. Un
contratto (di qualsiasi genere) può stabilire che a fronte del prezzo pagato,
il risultato preteso sia ben superiore allo standard minimo offerto dalla
regola d’arte. E quindi in questi casi il contratto potrebbe essere considerato
largamente disatteso nonostante il rispetto della regola d’arte.
Quindi
un contratto che tende all’eccellenza amplifica il distacco fra il prodotto a
regola d’arte ed il prodotto contrattualmente atteso, che può legittimamente
essere di qualità ben superiore in funzione del prezzo pagato. Non si tratta
però a quel punto di un problema di mancata esecuzione a regola d’arte, ma di
un problema di mancato rispetto del contratto. È importante avere chiara questa
distinzione. Con espressione sintetica, si può dire che fra regola d’arte e
contratto vi è usualmente un rapporto di continenza, nel senso che le norme
contrattuali comprendono (a volte dandole per scontate) le norme della regola
d’arte, e spesso ne aggiungono di ulteriori e più elevate nei confronti del
prodotto atteso.
RAPPORTI CON LA NORMATIVA
TECNICA. Come
anticipato in premessa, la normativa tecnica oggi disponibile è talmente ampia
e diversificata da comprendere ormai pressoché ogni prodotto e attività. Chiaro
tuttavia che non tutte le norme tecniche hanno pari importanza e pari dignità.
Possono essere distinti almeno tre livelli:
ci
sono norme tecniche inserite in dispositivi di legge ed anche leggi e decreti
che regolamentano questioni tecniche, il cui rispetto è obbligatorio e deve
quindi essere dato per scontato (si pensi ad esempio alla normativa antincendio
o alle norme tecniche per le costruzioni). Sono in genere le norme legate alla
sicurezza delle persone o alla fruibilità e durata del bene;
ci
sono altre normative tecniche assai diffuse e conosciute, usualmente richiamate
nel Capitolati e nei contratti (frequente il caso delle norme UNI), al cui
rispetto l’esecutore è quindi tenuto per norma contrattuale;
ci
sono infine norme di tipo settoriale, elaborate ad esempio da associazioni di
categoria, o rintracciabili nella letteratura tecnica specializzata, il cui
rispetto è essenzialmente di tipo volontaristico, a meno che siano state
inserite in contratto.
Tutti
questi livelli concorrono alla formazione della regola d’arte, cioè definiscono
il complesso delle regole tecniche cui attenersi al fine
di assicurare uno standard minimo di accettabilità del prodotto, in termini di
utilizzabilità, durata, affidabilità e sicurezza in un determinato momento
storico.
Da
questo punto di vista, quindi, la nostra ormai famosa regola d’arte può anche
essere identificata come l’inviluppo delle norme
tecniche, generali e di settore, comunemente conosciute ed applicate in un
determinato periodo storico relativamente ad una data attività.
Definizione
non necessariamente esaustiva, perché laddove la norma comunque manchi o non
sia del tutto pertinente con il caso in esame, non potrà mai mancare in ultima analisi la valutazione della prassi con
l’esperienza tecnica ed il buon senso di chi è chiamato a formulare il
giudizio.
Tratto da Il Giornale
dell'Ingegnere
Nessun commento:
Posta un commento