4 – il ricorso al
subappalto inficia la lotta alla criminalità organizzata? No, non la inficia.
La
criminalità organizzata, se vuole, come sempre è avvenuto e non solo nel tempo
attuale ma da sempre, si insinua e può condizionare qualunque attività, sia nel
settore pubblico che nel settore privato. Ma la lotta alla criminalità
organizzata è compito degli organi di polizia e della magistratura e non
certamente degli ingegneri o dei RUP o dei Dirigenti delle stazioni appaltanti,
ai quali spetta unicamente l’applicazione della normativa vigente in materia.
Esiste
una normativa specifica, il D. Lgs. 159 del 6/9/2011 contenente il “Codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni
in materia di documentazione antimafia” e il D.Lgs. n.136 del 13/8/2010.
Chi
opera nel settore dei lavori pubblici sa che deve attenersi semplicemente a
quanto riportato dalla comunicazione antimafia e dalla informazione antimafia o
accertarsi che l’impresa sia iscritta nella White List della Prefettura
competente. Non c’è alcuna facoltà discrezionale da parte della pubblica
amministrazione.
Negli
Enti pubblici va anche applicato quanto stabilito dalla legge n. 190 del 6/11/2012
su “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e
dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
Il
governo italiano, come ricordato nella sentenza sopracitata, ha fatto presente
che i controlli di verifica che l’amministrazione aggiudicatrice deve
effettuare in forza del diritto nazionale sarebbero inefficaci. Una motivazione
davvero debole per non dire puerile: quasi una confessione di incapacità ad
organizzare gli strumenti di verifica da parte dello Stato. Del resto, nella
sentenza, si evidenzia che “anche supponendo che una restrizione quantitativa
al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno,
una restrizione come quella [prevista nella normativa italiana] eccede quanto
necessario al raggiungimento di tale obiettivo”.
Sarebbe
come se, poiché i batteri possono contaminare le sale operatorie degli
ospedali, decidessimo di ridurre il numero degli interventi chirurgici e quindi
lasciare morire le persone.
La
Commissione UE ha sottolineato che misure meno restrittive sarebbero idonee a
raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano, come quelle
previste dall’art.71 della direttiva 2014/24, richiamate al punto 29 della
sentenza e già previste nella normativa italiana. Inoltre, sottolinea la
sentenza sulla base di quanto evidenziato dal TAR per la Lombardia, “il diritto
italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate
ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di
condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle
principali organizzazioni criminali operanti nel paese”.
Alessandro
Barbano, nel suo ultimo saggio “Le dieci bugie” (ed.Mondadori - da pag. 162 a
pag. 168), ha ben descritto come persista un paradosso tutto italiano:
“L’Antimafia in Italia è un’emergenza permanente che si è fatta istituzione. E
l’emergenza istituzionalizzata giustifica l’istituzione emergenziale”.
Tutti
si rendono conto che le restrizioni al subappalto non sono sostenibili con tali
giustificazioni, come peraltro evidenziato anche dagli organi UE. Forse nessun
politico ha il coraggio di prenderne atto e proporre la modifica della
normativa vigente perché quando si tocca questo argomento si rischia l’accusa,
da parte “dell’apparato politico-giudiziario-investigativo-legislativo-burocratico-sociale
e mediatico”, di favoreggiamento della mafia?
Nessun commento:
Posta un commento