Con
la sentenza n. 98/2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge della Regione Toscana 16
aprile 2019, n. 18, recante “Disposizioni per la qualità del lavoro e per la
valorizzazione della buona impresa negli appalti di lavori, forniture e
servizi. Disposizioni organizzative in materia di procedure di affidamento di
lavori. Modifiche alla l.r. 38/2007”.
La
norma censurata è inserita nel capo II della legge regionale, che disciplina
(come risulta dal suo art. 8) le «procedure negoziate per l’affidamento di
lavori di cui all’articolo 36 del d.lgs. 50/2016» (cioè, dei contratti di
valore inferiore alla soglia comunitaria), e stabilisce che, «[i]n
considerazione dell’interesse meramente locale degli interventi, le stazioni
appaltanti possono prevedere di riservare la partecipazione alle micro, piccole
e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale per una
quota non superiore al 50 per cento e in tal caso la procedura informatizzata
assicura la presenza delle suddette imprese fra gli operatori economici da
consultare».
La
Consulta ricorda che, in base alla sua giurisprudenza, «le disposizioni del
codice dei contratti pubblici […] regolanti le procedure di gara sono
riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e […] le Regioni,
anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse
difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del
2011, n. 411 e n. 322 del 2008)» (sentenza n. 39 del 2020). Ciò vale «anche per
le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016,
n. 184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), […] senza che
rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008)»
(sentenza n. 39 del 2020).
Occorre
ricordare inoltre che, in tale contesto, la Consulta ha più volte dichiarato
costituzionalmente illegittime norme regionali di protezione delle imprese
locali, sia nel settore degli appalti pubblici (sentenze n. 28 del 2013 e n.
440 del 2006) sia in altri ambiti (ad esempio, sentenze n. 221 e n. 83 del 2018
e n. 190 del 2014).
La
norma impugnata disciplina in generale una fase della procedura negoziata di
affidamento dei lavori pubblici sotto soglia ed è dunque riconducibile
all’ambito materiale delle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici,
che, in quanto attinenti alla «tutela della concorrenza», sono riservate alla
competenza esclusiva del legislatore statale (sentenza n. 28 del 2013).
Considerata
nel suo contenuto, poi, la norma censurata prevede la possibilità di riservare
un trattamento di favore per le micro, piccole e medie imprese radicate nel
territorio toscano e, dunque, anche sotto questo profilo è di ostacolo alla
concorrenza, in quanto, consentendo una riserva di partecipazione, altera la
par condicio fra gli operatori economici interessati all’appalto.
La
norma impugnata, in effetti, contrasta con entrambi i parametri interposti
invocati dal ricorrente: con l’art. 30, comma 1, cod. contratti pubblici perché
viola i principi di libera concorrenza e non discriminazione in esso sanciti, e
con l’art. 36, comma 2, dello stesso codice perché introduce una possibile
riserva di partecipazione (a favore delle micro, piccole e medie imprese
locali) non consentita dalla legge statale.
In
conclusione, secondo la Corte costituzionale la disposizione impugnata è
costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione.
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