Il
virus che ha contagiato la pubblica amministrazione si chiama Opzione Zero. Chi
deve decidere decide di non decidere. Per non rischiare. Per non assumersi
responsabilità. Ignorando il futuro. Se vogliamo che questo paese funzioni e
possa crescere, dobbiamo iniziare a decidere. Bisogna quindi modificare tutte
le sovrastrutture, i bizantinismi, le invenzioni dei moderni azzeccagarbugli,
degli ideologi di turno, che hanno mortificato l’intraprendenza e le competenze
degli enti pubblici. Ma per decidere non si può operare in un clima da caccia
alle streghe, con il pregiudizio della corruzione nella pubblica
amministrazione, con il tarlo delle incriminazioni decise ancora prima di fare
le indagini, con il timore degli arresti gratuiti.
Nessun
dirigente o funzionario della pubblica amministrazione si sottrae alle
verifiche ed ai controlli che si volessero attuare sulle attività svolte nella
realizzazione dell’opera pubblica. Ma si pretende rispetto della dignità delle persone e del ruolo che il funzionario
pubblico ricopre, richiedendo in primis, con gentilezza, la documentazione
necessaria alle verifiche e chiedendo, gentilmente, i chiarimenti ritenuti
opportuni.
Oggi,
invece, ancor prima di acquisire la documentazione e le prove, si attua in
maniera violenta il sequestro dei documenti; il carcere preventivo e le misure
di privazione della libertà personale vengono usate in maniera indiscriminata e
disinvolta, violando il principio sacrosanto che nessuno possa essere
incarcerato prima di un processo in cui venga provata (provata!) la sua
colpevolezza, in un pubblico dibattimento fatto con tutte le garanzie. Questo è
il primo punto da introdurre nel codice di procedura penale a tutela dei
pubblici funzionari.
In
secondo luogo devono essere definiti puntualmente i reati. Nella recente
lettera al Corriere della sera, il Presidente del Consiglio Conte ha
sottolineato l’esigenza che «sui funzionari onesti» non gravi «eccessiva (!)
incertezza giuridica», rendendo necessario, «ad esempio», circoscrivere «più
puntualmente il reato di abuso d’ufficio e la medesima responsabilità
erariale». L’art. 323 c.p., che punisce il funzionario pubblico che procura
intenzionalmente a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale ingiusto, oppure un
danno ingiusto, violando una norma di legge o di regolamento, è quello sotto
accusa. Ma non dimentichiamo nemmeno l’uso disinvolto dell’art.353 c.p.
relativo alla turbativa d’asta.
L’azione
della pubblica amministrazione, si sostanzia nella cura concreta degli
interessi pubblici, selezionati dalla legge ed affidati da questa ad un prefissato
centro di potere pubblico. Il soggetto pubblico preposto al perseguimento di un
certo interesse pubblico, nell’osservanza della relativa causa attributiva del
potere, agisce osservando i contenuti ed i confini stabiliti dalla legge (c. d.
principio di legalità) ed opera nel modo ritenuto come migliore possibile alla
stregua dei criteri di adeguatezza, di convenienza e di opportunità (c. d.
merito amministrativo).
La
discrezionalità tecnica si caratterizza per la conoscenza ed applicazione di
discipline specialistiche dei più diversi settori del sapere umano (a seconda
dei casi) e per l’assenza di scelte (in senso proprio). Mentre la discrezionalità
amministrativa è di tipo intuitivo e particolare e confina con la valutazione
politica, la discrezionalità tecnica è rigorosa e generale ovvero poggia su
assunti teoricamente o sperimentalmente comprovati e generalizzati. D’altra
parte, il potere discrezionale ha la funzione di rendere concreto il dettato
astratto della legge, in modo tale da declinare, con la necessaria duttilità,
l’azione amministrativa alle particolarità del caso singolo, nell’ottica della
tutela dell’interesse pubblico inteso anche come interesse della collettività.
La
discrezionalità tecnica ed amministrativa non si può sindacare. La discrezionalità tecnica è sindacabile solo in presenza di valutazioni
incoerenti o irragionevoli che comportano un vizio della funzione; sono
pertanto da considerare solo quelle palesi aberrazioni in presenza delle quali
il vizio della funzione non può più ritenersi intrinseco alla stessa
valutazione di merito, che evidentemente comporta un grado più o meno alto di
opinabilità, ma trasmoda nell’eccesso di potere o comunque nei limiti del travisamento dei fatti,
palese illogicità o manifesta irragionevolezza.
Dunque,
si deve perseguire penalmente, dopo avere
acquisito le prove e non sulla base di astratti pregiudizi, solo il
soggetto che ha operato con dolo (consiste
nella intenzionalità del comportamento produttivo dell’evento lesivo, vale a
dire della consapevole volontà di arrecare un danno ingiusto
all’Amministrazione), o con colpa grave
(consiste nell’errore professionale inescusabile dipendente da una violazione
di legge, da intendersi in senso ampio (c.d. colpa generica), ovvero fondata su
negligenza, imprudenza e imperizia, dovendo la stessa sempre essere riferibile
ai compiti, mansioni, funzioni e poteri del funzionario, non potendo, invece,
essere dedotta dalla mera posizione di vertice).
Ciò
vale anche per la responsabilità erariale.
Ma
soprattutto, non si possono assumere provvedimenti prima di aver svolto le
necessarie verifiche, assumendo tutte le informazioni e controdeduzioni da
parte dell’interessato. Il funzionario onesto deve sentirsi protetto dal
proprio ente di appartenenza e dallo Stato. Deve essere assistito e supportato
legalmente dal proprio ente, fatta salva la possibilità di rivalersi sullo
stesso qualora si pervenisse ad un giudizio di colpevolezza.
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