In base alla Direttiva 2004/35/CE
sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del
danno ambientale, l’operatore che gestisce un sito deve, in linea di principio,
sopportare i costi delle misure di prevenzione e di riparazione adottate in
risposta al verificarsi di un danno ambientale nel sito.
Tuttavia, tali costi non
sono a suo carico se egli può provare che il danno è stato causato da un terzo.
La direttiva consente comunque agli Stati membri di adottare norme più severe.
Lo
ha chiarito la Corte di Giustizia europea nella sentenza del 4 marzo 2015 con
la quale ha precisato che la normativa italiana, che non impone misure di
prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non responsabili dell’inquinamento
dei loro terreni, è compatibile con il diritto dell’Unione. A loro carico, gli
Stati membri sono liberi di prevedere, allorché tali misure sono adottate dalle
autorità, una responsabilità solo patrimoniale.
Tra
il 2006 e il 2001, le società …. sono divenute proprietarie di diversi terreni,
situati nella provincia di Massa Carrara, in Toscana, che erano gravemente
contaminati da sostanze chimiche in seguito alle attività economiche svolte dai
precedenti proprietari, appartenenti al gruppo industriale Montedison, i quali
producevano in tali siti insetticidi e diserbanti. Ancorché i nuovi proprietari
non fossero autori della contaminazione, le autorità italiane hanno ordinato loro
di realizzare una barriera idraulica di emungimento per la protezione della
nappa freatica.
Il
Consiglio di Stato, adito in appello con ricorsi avverso le corrispondenti
decisioni amministrative, ha constatato che la legislazione italiana non
consente di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione la
realizzazione di misure di prevenzione e di riparazione e limita la sua
responsabilità patrimoniale al valore del suo terreno. Il CdS ha quindi chiesto
alla Corte di giustizia europea se tali norme nazionali siano compatibili con
il principio «chi inquina paga» cui dà attuazione la direttiva 2004/35/CE.
Nella
sentenza del 4 marzo scorso, la Corte Ue risponde che la normativa italiana è
conforme alla suddetta direttiva. Per giungere a tale conclusione la Corte
ricorda la costante giurisprudenza in base alla quale il principio «chi inquina
paga» (articolo 191, paragrafo 2, TFUE) si rivolge all’azione dell’Unione,
cosicché tale disposizione non può essere invocata in quanto tale da privati o
da autorità amministrative.
La
Corte si dedica, quindi, all’analisi dei presupposti della responsabilità ambientale,
quali previsti nella direttiva, soffermandosi, in particolare, sulla nozione di
«operatore» e sulla necessità della sussistenza di un nesso causale tra
l’attività dell’operatore e il danno ambientale. A tal proposito, la Corte
europea precisa che le persone diverse dagli operatori non rientrano
nell’ambito di applicazione della direttiva e che, quando non può essere
accertato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l’attività
dell’operatore, tale situazione non rientra nel diritto dell’Unione, bensì nel
diritto nazionale.
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