sabato 22 dicembre 2012

FRANAMENTI SU STRADA


Con la sentenza 23 ottobre 2012, n. 1774 il Tribunale di Reggio Emilia interviene sul tema delle responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati dalle cose in custodia, riepilogando lo stato dell’arte giurisprudenziale sul tema. Nel caso specifico, l’attore aveva citato in giudizio l’ANAS – in qualità di proprietaria e custode della strada – chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2051 cod. civ. o, in subordine, ex art. 2043 cod. civ., per l’incidente occorsogli con la propria auto, uscita di strada a seguito dell’improvvisa completa ostruzione della carreggiata per la presenza di terra, fango, sassi, foglie ed arbusti in genere, per giunta in un tratto curvilineo e non illuminato della strada statale.
L’ANAS resiste in giudizio sul presupposto dell’inapplicabilità dell’art. 2051 cod. civ. e della mancanza di colpa idonea a fondare la responsabilità ex art. 2043 cod. civ., dovendosi al contrario ritenere responsabile del fatto il proprietario del terreno, adiacente alla strada, dal quale si erano verificati i franamenti .
Il giudice affronta il tema partendo dalla trattazione della tematica del tipo e dell’ambito della disciplina applicabile in caso di incidente avvenuto su strada pubblica nonché dalla possibilità di configurare al riguardo una responsabilità, concorrente od esclusiva, dell’ente che della stessa e delle relative pertinenze è proprietario o custode. In giurisprudenza, nel corso degli ultimi anni, si è prodotto un ripensamento dalla posizione tradizionale della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 cod. civ. nel solo caso della teorica insidia-trabocchetto, all’affermazione della responsabilità custodiale ex art. 2051 cod. civ. Infatti, secondo il Giudice, la non ritenuta applicabilità di tale norma alla Pubblica Amministrazione ha rappresentato un ingiustificato privilegio,e di riflesso, un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche. Al contrario, l’applicazione dell’art. 2051 c.c. si presta ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento degli interessi in gioco in conformità ai principi dell’ordinamento giuridico e al sentire sociale.
Il Tribunale ribadisce che la responsabilità ex art. 2051 c.c. integra un’ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode . Non rileva allora – si legge nella sentenza - la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario; funzione della norma è, d’altro canto, tipicamente quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa. In buona sostanza, questa tipologia di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità.
E’ di tutta evidenza che, fondandosi la responsabilità non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa,il profilo del comportamento del custode rimane estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c., mentre il suo fondamento è costituito dal rischio da custodia che grava su colui che ha in custodia una cosa, per i danni dalla cosa stessa causati che non dipendano da caso fortuito. In altre parole, per il Tribunale territoriale, ai fini dell’applicazione della norma, , è sufficiente che il danno sia cagionato alla cosa, non necessariamente dal custode, e che vi sia una relazione di custodia tra il soggetto chiamato a rispondere e la cosa che ha prodotto il danno.
Unica clausola di salvezza per il custode – nella fattispecie per la P.A. – è l’ipotesi in cui vi sia l’oggettiva impossibilità di esercitare il necessario potere di controllare la cosa, in modo da poter modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. Se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non è possibile configurare la custodia, e quindi non vi può essere responsabilità dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 2051 c.c. Nel caso in cui tale attività di controllo non sia oggettivamente possibile, non potrà invocarsi alcuna responsabilità della P.A., proprietaria del bene demaniale, a norma dell’art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della custodia, cioè la controllabilità della cosa, residuando solo, se ne ricorrono gli estremi, la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.
Indici sintomatici dell’impossibilità del controllo del bene demaniale, sono, tra gli altri, la notevole estensione e l’uso generalizzato dello stesso da parte degli utenti, pur non potendo tali elementi attestare in modo automatico l’impossibilità di custodia, ma dovendo formare oggetto di valutazione del giudice di volta in volta. Del pari, risultano elementi sintomatici della possibilità di custodia del bene il posizionamento della strada nel perimetro urbano, o la sua qualificazione di autostrada, caratterizzata dalla possibilità di percorrenza veloce in condizioni di sicurezza.
Il Giudice, infine, ipotizza anche il caso in cui non sia applicabile l’art. 2051 cod. civ., per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale: in questo caso l’ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall’utente, secondo la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c. Pertanto, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale della strada, fatto di per sé idoneo, in linea di principio, a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade invece l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali ad esempio la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia.
Tanto nel caso di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale, che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo, può escludere la responsabilità dell’amministrazione, se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendo integrare altrimenti un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 comma 1 c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato.
Nel caso di specie, il Tribunale ha quindi ritenuto che la parte attrice abbia dato prova dell’esistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato a terzi. Alla luce di ciò, spettava all’ANAS, per disattendere la domanda e resistere ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, provare l’esistenza del caso fortuito. Ciò che non si è verificato, accertandosi al contrario un rilevante grado di colpa in capo alla convenuta la quale, pur se avvertita due ore prima del sinistro da un automobilista della pericolosa ostruzione della carreggiata, non era ancora intervenuta al momento dei fatti di causa ed ha provveduto solo il giorno dopo a liberare la strada per di più del tutto priva di illuminazione e quindi massimamente pericola nell’orario notturno in cui si è verificato il fatto. Da qui la condanna della società al pagamento del risarcimento dei danni, rivalutazione ed interessi legali oltre alle spese di lite.

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