Con
la sentenza 23 ottobre 2012, n. 1774 il Tribunale di Reggio Emilia interviene
sul tema delle responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per i danni
cagionati dalle cose in custodia, riepilogando lo stato dell’arte
giurisprudenziale sul tema. Nel caso specifico, l’attore aveva citato in
giudizio l’ANAS – in qualità di proprietaria e custode della strada –
chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2051 cod. civ.
o, in subordine, ex art.
2043 cod. civ., per l’incidente occorsogli con la propria auto, uscita di
strada a seguito dell’improvvisa completa ostruzione della carreggiata per la
presenza di terra, fango, sassi, foglie ed arbusti in genere, per giunta in un
tratto curvilineo e non illuminato della strada statale.
L’ANAS
resiste in giudizio sul presupposto dell’inapplicabilità dell’art. 2051 cod. civ.
e della mancanza di colpa idonea a fondare la responsabilità ex art. 2043 cod. civ.,
dovendosi al contrario ritenere responsabile del fatto il proprietario del
terreno, adiacente alla strada, dal quale si erano verificati i franamenti .
Il
giudice affronta il tema partendo dalla trattazione della tematica del tipo e
dell’ambito della disciplina applicabile in caso di incidente avvenuto su
strada pubblica nonché dalla possibilità di configurare al riguardo una
responsabilità, concorrente od esclusiva, dell’ente che della stessa e delle
relative pertinenze è proprietario o custode. In giurisprudenza, nel corso
degli ultimi anni, si è prodotto un ripensamento dalla posizione tradizionale
della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 cod. civ. nel
solo caso della teorica insidia-trabocchetto, all’affermazione della
responsabilità custodiale ex art. 2051 cod. civ.
Infatti, secondo il Giudice, la non ritenuta applicabilità di tale norma alla
Pubblica Amministrazione ha rappresentato un ingiustificato privilegio,e di
riflesso, un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati a
seguito dell’utilizzo di strade pubbliche. Al contrario, l’applicazione dell’art. 2051 c.c.
si presta ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento degli
interessi in gioco in conformità ai principi dell’ordinamento giuridico e al
sentire sociale.
Il
Tribunale ribadisce che la responsabilità ex art. 2051 c.c.
integra un’ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva, che trova piena
giustificazione in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa
attribuisce al custode . Non rileva allora – si legge nella sentenza - la
condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in
quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo
di custodire analogo a quello previsto per il depositario; funzione della norma
è, d’altro canto, tipicamente quella di imputare la responsabilità a chi si
trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa. In buona
sostanza, questa tipologia di responsabilità è esclusa solamente dal caso
fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile,
bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è
fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri
dell’imprevedibilità.
E’
di tutta evidenza che, fondandosi la responsabilità non su un comportamento o
un’attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra
questi e la cosa dannosa,il profilo del comportamento del custode rimane
estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c.,
mentre il suo fondamento è costituito dal rischio da custodia che grava su
colui che ha in custodia una cosa, per i danni dalla cosa stessa causati che
non dipendano da caso fortuito. In altre parole, per il Tribunale territoriale,
ai fini dell’applicazione della norma, , è sufficiente che il danno sia
cagionato alla cosa, non necessariamente dal custode, e che vi sia una
relazione di custodia tra il soggetto chiamato a rispondere e la cosa che ha
prodotto il danno.
Unica
clausola di salvezza per il custode – nella fattispecie per la P.A. – è
l’ipotesi in cui vi sia l’oggettiva impossibilità di esercitare il necessario
potere di controllare la cosa, in modo da poter modificare la situazione di
pericolo creatasi, nonché di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla
cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. Se il potere di controllo è
oggettivamente impossibile, non è possibile configurare la custodia, e quindi
non vi può essere responsabilità dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Nel caso in cui tale attività di controllo non sia oggettivamente possibile,
non potrà invocarsi alcuna responsabilità della P.A., proprietaria del bene
demaniale, a norma dell’art. 2051 c.c.,
per mancanza di un elemento costitutivo della custodia, cioè la controllabilità
della cosa, residuando solo, se ne ricorrono gli estremi, la responsabilità di
cui all’art. 2043 c.c.
Indici
sintomatici dell’impossibilità del controllo del bene demaniale, sono, tra gli
altri, la notevole estensione e l’uso generalizzato dello stesso da parte degli
utenti, pur non potendo tali elementi attestare in modo automatico
l’impossibilità di custodia, ma dovendo formare oggetto di valutazione del
giudice di volta in volta. Del pari, risultano elementi sintomatici della
possibilità di custodia del bene il posizionamento della strada nel perimetro
urbano, o la sua qualificazione di autostrada, caratterizzata dalla possibilità
di percorrenza veloce in condizioni di sicurezza.
Il
Giudice, infine, ipotizza anche il caso in cui non sia applicabile l’art. 2051 cod. civ.,
per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale: in
questo caso l’ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti
dall’utente, secondo la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c.
Pertanto, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene
demaniale della strada, fatto di per sé idoneo, in linea di principio, a
configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade invece
l’onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità, quali ad
esempio la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere
con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia.
Tanto
nel caso di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c.,
quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., il
comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale, che
sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale
diligenza o con affidamento soggettivo anomalo, può escludere la responsabilità
dell’amministrazione, se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso
eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendo integrare
altrimenti un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 comma 1
c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in
proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato.
Nel
caso di specie, il Tribunale ha quindi ritenuto che la parte attrice abbia dato
prova dell’esistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno
arrecato a terzi. Alla luce di ciò, spettava all’ANAS, per disattendere la
domanda e resistere ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, provare
l’esistenza del caso fortuito. Ciò che non si è verificato, accertandosi al
contrario un rilevante grado di colpa in capo alla convenuta la quale, pur se
avvertita due ore prima del sinistro da un automobilista della pericolosa
ostruzione della carreggiata, non era ancora intervenuta al momento dei fatti
di causa ed ha provveduto solo il giorno dopo a liberare la strada per di più
del tutto priva di illuminazione e quindi massimamente pericola nell’orario
notturno in cui si è verificato il fatto. Da qui la condanna della società al
pagamento del risarcimento dei danni, rivalutazione ed interessi legali oltre
alle spese di lite.
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