Il
Consiglio di Stato (sentenza 26 febbraio 2021, n. 1678) ha stabilito che, in
caso di domanda di risarcimento da mancata aggiudicazione, le spese sostenute dall'impresa
per la partecipazione alla gara non possono essere risarcite, trattandosi di
costi destinati a rimanere a carico dell'impresa sia in caso di aggiudicazione,
sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi possono assumere rilevanza
ai fini del riconoscimento del danno emergente solo qualora l'impresa subisca
una illegittima esclusione.
La
richiesta di risarcimento danni era stata presentata da una società di
costruzioni che aveva partecipato alla gara per l'affidamento, secondo il
criterio dell'offerta più vantaggiosa, di lavori.
L'ente
locale, dopo aver aggiudicato la gara ad un'impresa, aveva annullato in
autotutela la nomina della commissione giudicatrice e, conseguentemente, tutte
le attività poste in essere, compresa l'aggiudicazione, che era stata
nuovamente disposta in favore della stessa impresa. La ricorrente aveva
impugnato il provvedimento di aggiudicazione e chiesto il risarcimento dei
danni per equivalente, con riferimento alle spese di partecipazione alla gara,
al danno curricolare, al danno curricolare e al profitto ritraibile
dall'esecuzione dell'appalto, da risarcire a titolo di lucro cessante.
In
particolare, i costi di partecipazione alla gara:
1)
non possono essere risarciti perché costituiscono una voce di spesa che resta comunque
a carico dell'impresa «anche nel caso in cui risulti vincitrice della gara ed
esegua il contratto» (cfr. Cons. Stato: Sez. VI, sentenza 17 febbraio 2017, n.
731; Sez. VI, sentenza 28 luglio 2015, n. 3716);
2) devono essere ristorati in forma specifica «mediante rinnovo delle
operazioni di gara e, solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati
per equivalente» (Cons. Stato, Sez. VI: sentenze 16 settembre 2011 e 9 giugno
2008 n. 5168), altrimenti si concederebbe al partecipante alla gara «un
beneficio maggiore di quello che deriverebbe da una partecipazione regolare e
addirittura dalla stessa aggiudicazione» (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 7
settembre 2010, n. 6485).
La
richiesta di risarcimento delle altre "voci" di danno è stata
dichiarata inammissibile perché la ricorrente, diversamente da quanto stabilito
dall'art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm. («il ricorso deve contenere
distintamente i motivi specifici su cui si fonda») si era riservata di
"esplicitare" i danni subiti nella memoria conclusiva ex art. 73 cod.
proc. amm., attribuendo a tale atto una funzione diversa da quella
riconosciuta, vale a dire «[la] mera illustrazione delle censure già
ritualmente proposte in giudizio» (Cons. Stato, Sez. V, sentenza 27 novembre
2017, n. 5543).
Fermo
restando il principio generale secondo il quale è onere dell'impresa allegare i
danni subiti a causa della mancata esecuzione della commessa e provarli nel
loro ammontare dal momento che, diversamente da quanto avviene per l'azione di
annullamento di atti amministrativi, nell'azione di risarcimento dei danni per
equivalente opera l'art. 64, comma 1, cod. proc. amm. («il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non
specificatamente contestati dalle parti costituite» (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
sentenza 12 febbraio 2020, n.1116 che ha rigettato la tesi secondo cui il danno
subito a causa della perdita dell'appalto sarebbe determinabile «sulla base di
criteri presuntivi, derivati a loro volta dalle previsioni concernenti le
analisi da effettuare per la determinazione dei prezzi»).
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