In
relazione alle attività di asfaltatura occorre precisare che:
-
con il termine “asfalto” (o conglomerato bituminoso) “si intende una miscela di
bitume (4-7%) e materiali inerti quali pietrisco, graniglia, sabbia, filler,
polveri, utilizzato per la pavimentazione di strade e marciapiedi”;
-
il bitume è invece “un materiale legante di origine naturale o un derivato
della distillazione del petrolio ed è costituito da una miscela complessa di
composti alifatici, composti eterociclici”, idrocarburi aromatici (1%), tracce
di metalli (nichel, ferro e vanadio): quando è scaldato “produce fumi e vapori
in cui si ritrovano piccole quantità (1%) di Idrocarburi Policiclici Aromatici
(IPA)”;
-
il bitume, malgrado l’aspetto simile, è cosa ben diversa dal catrame;
quest’ultimo, non usato in Italia e ottenuto per distillazione distruttiva del
carbon fossile, contiene circa il 90% di IPA;
-
l’Agenzia internazionale per le ricerche sul Cancro (IARC) ha “classificato
alcuni IPA come cancerogeni certi (1), possibili (2A) o probabili (2B) per
l’uomo; sei di questi sono stati posti dall’Unione Europea tra le sostanze ad
attività cancerogena nota (categoria 2) ed etichettati con la frase di rischio
R45 (“può provocare il cancro”)”. Tuttavia secondo l’attuale legislazione
dell’Unione Europea il bitume non è classificato come pericoloso. Nel fact sheet
è inclusa una esauriente tabella con la classificazione di cancerogeneità della
IARC e della UE.
Durante
le opere di asfaltatura, gli addetti alla preparazione e stesura del manto
stradale possono essere esposti ad agenti chimici con un possibile effetto
irritante e genotossico. Gli effetti negativi sulla salute provocati dai fumi
di asfalto sembrano per lo più legati alla “presenza degli IPA ed alle loro
note proprietà mutagene e cancerogene; in particolare, gli analoghi solforati
degli IPA potrebbero essere i composti maggiormente genotossici nei fumi di
asfalto”.
Malgrado
il fatto che normalmente il livello di esposizione dei lavoratori agli IPA sia
basso, “c’è la possibilità di effetti a lungo termine sulla salute dovuti ad
un’esposizione cronica per inalazione o contatto cutaneo”.
Gli
organi più colpiti sono i polmoni, la vescica, la pelle ed il tratto laringofaringeo,
“ma la presenza di IPA è stata evidenziata in tutti gli organi ricchi di
tessuto adiposo, in quanto questo funge da deposito”.
Gli
studi epidemiologici fin qui condotti hanno prodotto risultati spesso
contrastanti.
Se
si può parlare di un’associazione tra aumento di rischio di cancro ed
esposizione professionale a fumi di asfalto, non ci sono tuttavia “ancora prove
sufficienti per stabilire una relazione causale tra esposizione e rischio,
importante per decidere i limiti di esposizione professionale ed ambientale”.
Le
campagne di monitoraggio ambientale e biologico effettuate sugli asfaltatori
hanno mostrano “un’esposizione ad IPA che oscilla tra livelli simili a quelli
riscontrabili nella popolazione di un’area metropolitana e livelli più elevati”.
Riguardo
a eventuali limiti di esposizione a fumi di asfalto non c’è in Europa una
regola comune.
Se
alcuni paesi ne hanno specificati di propri, nel nostro paese, che non ha
specificato alcun limite, “si seguono le raccomandazioni della ACGIH (American
Conference of Governmental Industrial Hygienists)”. Ad oggi “il limite per i
fumi d’asfalto è 0,5 mg/m3 di particolato inalabile solubile in benzene” e
l’esposizione ad IPA è valutata mediante due tipi di monitoraggio:
-
ambientale: “consiste nella valutazione dell’esposizione per via inalatoria
nell’ambiente di lavoro mediante il dosaggio della concentrazione degli IPA
nell’aria” ed è effettuato “con campionatori fissi (campionamento ambientale)
e/o personali posizionati in zona respiratoria (campionamento individuale)”;
-
biologico: “consiste nella valutazione dell’esposizione globale agli IPA
presenti nell’ambiente di lavoro mediante la misura di idonei indicatori
biologici”, ad esempio con un dosaggio degli IPA e dei metaboliti escreti con
le urine.
Circa
le misure di prevenzione e protezione da adotare per l’esposizione a fumi di
asfalto, deve essere effettuata una corretta valutazione del rischio, mediante
monitoraggio dell’esposizione ambientale e personale, ed un’idonea
informazione/formazione degli addetti ai lavori sui rischi legati all’attività,
sulle loro conseguenze e sulle precauzioni da adottare per agire in sicurezza.
Inoltre
è necessario:
-
ridurre l’esposizione a livelli più bassi possibili (evitare il contatto con la
pelle, con gli occhi, ridurre il rischio di inalazioni) dando priorità alle
misure di protezione collettiva;
-
prevedere una ventilazione forzata quando si opera in luoghi confinati (tunnel,
garage);
-
quando “non si possa ridurre il rischio in altro modo” usare dispositivi di
protezione individuale (tute da lavoro, guanti e calzature anticalore, occhiali
con protezione laterale, mascherina);
-
applicare le misure igieniche più elementari (disporre di abiti da lavoro,
lavare spesso le mani, fare una doccia dopo il lavoro);
-
evitare l’esposizione combinata a fumo di tabacco.
-
Fact sheet:
Studio INAIL (2004) – “Analisi dei rischi e degli effetti sulla salute causati da Impianti di produzione di Conglomerati Bituminosi”
Studio ISPESL (2006) – “Stesa dei conglomerati bituminosi: la proposta ISPESL per la prevenzione”
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