L’istituto
delle varianti in corso d’opera è disciplinato dall’art. 132 del Codice dei contratti
pubblici, ai sensi del quale sono disciplinate le condizioni perché siano
ritenute ammissibili modifiche progettuali che si rendano evidenti e necessarie
nel corso dell’esecuzione contrattuale dei lavori pubblici. L’articolo menzionato afferma che, sentito il progettista e il direttore dei
lavori, possono essere ammesse varianti in corso d’opera esclusivamente qualora
ricorrano i motivi di cui al co. 1, lett. a) – e).
In tal senso, sono
considerate ammissibili varianti giustificate da: a) non prevedibili
sopravvenienze derivanti da disposizioni legislative (jus superveniens); b)
cause impreviste e imprevedibili da accertarsi nei modi stabiliti dal
regolamento o sopravvenute acquisizioni tecniche (intervenuta possibilità di
utilizzo di materiali, componenti) e tecnologiche (tecnologie non esistenti al
momento della progettazione) idonee a procurare sensibili miglioramenti
all’opera, senza aumento dei costi e alterazione dell’impostazione progettuale;
c) necessità derivante da peculiarità dei beni su cui si interviene (ipotesi
tipica: rinvenimento geologico che importa impreviste modalità di lavorazione);
d) casi previsti dall’art. 1664, co. 2, codice civile, i.e. sopravvenienza
geologica, idrica o simili; e) manifestarsi di errori o di omissioni del
progetto esecutivo che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione
dell’opera o la sua utilizzazione.
Accanto
alle suddette ipotesi, integranti varianti in corso d’opera, il Codice dei
contratti pubblici precisa e descrive, con espressa disposizione (art. 132,
comma 3), due ulteriori tipologie di modifiche ammesse in fase esecutiva. Tra
queste rientrano, in primo luogo, le modificazioni di dettaglio che, in quanto
tali, sono disposte dal solo direttore dei lavori (art. 132, comma 3, primo
periodo) – c.d. varianti non varianti; e, in secondo luogo, le modifiche, in
aumento o in diminuzione, “finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua
funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano motivate
da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al
momento della stipula del contratto” – c.d. varianti migliorative. In relazione
a tali modifiche, l’importo in aumento “non può superare il 5 per cento
dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma
stanziata per l'esecuzione dell'opera” con l’ulteriore precisazione: “al netto
del 50 per cento dei ribassi d’asta conseguiti”, aggiunta dal recente D.L. 13
maggio 2011, n. 70. Nel secondo
caso, occorre constatare che si tratta di vere e proprie varianti, sotto il
profilo oggettivo, le quali, pertanto, a differenza delle modificazioni di
dettaglio menzionate al primo periodo del medesimo comma 3, devono essere
approvate dall’amministrazione appaltante, sentito il direttore dei lavori ed
il progettista. Tali varianti, inoltre, sono da ritenersi ammissibili in quanto
(e soltanto se) finalizzate all'esclusivo interesse dell’amministrazione e tese
al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità; possono, in ogni caso,
essere giustificate soltanto da circostanze sopravvenute ed imprevedibili al
momento della stipula del contratto e debbono, ove in aumento, comportare un
incremento contrattuale non superiore al già indicato limite di cui all’art.
132, comma 3, ultimo periodo.
In
generale, il carattere sostanziale delle varianti implica che le stesse
determinino la realizzazione di un’opera diversa. In merito può osservarsi che
per aspetti specifici delle costruzioni, quali quelli urbanistici di verifica
delle strutture, le norme (nazionali o regionali) forniscono definizioni
espresse e criteri certi circa il significato di “variante sostanziale”,
puntualmente indicando quelle modifiche progettuali che, ove realizzate,
richiedono una nuova procedura autorizzatoria (art. 32, lett. c), del D.P.R. 6
giugno 2001, n. 380).
Di contro, nella disciplina dei contratti pubblici, si
constata l’assenza di una precisa definizione normativa, che possa identificare
tale requisito in modo univoco e con la Determinazione 11 gennaio 2001, n. 1,
l’Autorità, riferendosi a varianti su interventi di competenza dell’A.N.A.S.,
relativi a modifiche a piani regolatori, ha implicitamente precisato come le
definizioni fornite per varianti sostanziali in altri ambiti (quale quello
urbanistico) non siano estendibili ad aspetti riguardanti le varianti in corso
d’opera nei lavori pubblici.
Pertanto,
fermo restando che la variante deve necessariamente avere carattere accessorio
rispetto all’opera progettata e contrattualmente stabilita, in quanto – in caso
contrario – si è in presenza non già di una modificazione del progetto, ma di
un nuovo contratto (Determinazione 1/2001, cit.), la connotazione di
“sostanzialità” o meno di una variante nel settore dei contratti pubblici deve
essere determinata caso per caso, con riferimento alle modifiche intervenute,
alla natura delle lavorazioni e all'incidenza delle stesse sul progetto
originario, nonché ai costi ed ai tempi della modifica. Parere dell’AVCP del 9 giugno 2011
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