Consiglio di Stato, sesta sezione,
sentenza n. 1484/2017 pubblicata il 30 marzo.
Il
concetto di variazione essenziale, che attiene alla modalità di esecuzione
delle opere, va distinto dalle “varianti” che invece riguardano la richiesta di
una variazione del titolo autorizzativo (art. 22, comma 2, del TUE).
Il
CdS ricorda che “la disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni
contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell’abuso: l’ipotesi di
interventi in assenza di permesso o di totale difformità; l’ipotesi intermedia
di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l’ipotesi residuale della
parziale difformità da esso.
In
particolare, l’art. 31 del TUE disciplina gli abusi più gravemente sanzionati.
L’assenza
di permesso consiste nella sua insussistenza oggettiva per l’opera autorizzata.
Accanto
al caso del permesso mai rilasciato, vi sono i casi nei quali il titolo è stato
rilasciato, ma è privo (o è divenuto privo) di effetti giuridici.
L’art.
31, comma 1, del TUE prevede anche una figura di mancanza sostanziale del
permesso, che si verifica quando vi è difformità totale dell’opera rispetto a
quanto previsto nel titolo, pur sussistente. Si ha difformità totale, quando
sia realizzato un organismo edilizio:
-
integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed
edilizie; - integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè
nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi;
-
integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (la destinazione
d’uso derivante dai caratteri fisici dell’organismo edilizio stesso);
-
integralmente diverso perché comportante la costituzione di volumi nuovi ed
autonomi.
Accanto
alle forme di abuso appena ricordate, l’art. 32 del TUE, così come prima l’art.
7, comma 2, della legge n. 47 del 1985, regola la fattispecie dell’esecuzione
di opere in «variazione essenziale» rispetto al progetto approvato. Tale tipo
di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso
di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali. Le
variazioni essenziali sono soggette alla più lieve pena prevista per l’ipotesi
della lett. a) dell’articolo 44.
La
determinazione dei casi di variazione essenziale è affidata alle regioni nel
rispetto di alcuni criteri di massima. In particolare, ai sensi dell’art. 32,
comma 1, del TUE, sussiste variazione essenziale esclusivamente in presenza di
una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento di destinazione d’uso che
implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968; b) aumento
consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in
relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri
urbanistico-edilizi del progetto approvato, ovvero della localizzazione
dell’edificio sull’area di pertinenza; d) il mutamento delle caratteristiche
dell’intervento edilizio assentite; e) la violazione della normativa edilizia
antisismica”.
DISTINZIONE
TRA VARIAZIONE ESSENZIALE E VARIANTI. “Il concetto di variazione essenziale,
che attiene alla modalità di esecuzione delle opere, va distinto dalle
“varianti” che invece riguardano la richiesta di una variazione del titolo
autorizzativo (art. 22, comma 2, del TUE).
Mentre
le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o
quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali
da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato
rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di
permesso in variante, complementare ed accessorio, anche sotto il profilo
temporale della normativa operante, rispetto all'originario permesso a
costruire, le varianti essenziali, ovvero quelle caratterizzate da
incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario
rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del d. P.R. n. 380 del 2001, sono
soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo
rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al
momento di realizzazione della variante (cfr. Cassazione penale, sez. III,
27 febbraio 2014, n. 34099). Nel caso di variante essenziale il problema si
concentra nella necessità o meno di nuovo titolo, che deve quindi considerare
l'eventuale diversa normativa sopravvenuta; la variante invece si riferisce al
titolo originario senza nuova valutazione della normativa vigente”.
DIFFORMITÀ
PARZIALE. “Il caso della difformità parziale dal permesso di costruire per le
nuove costruzioni è invece previsto e regolato dall’art. 34 del TUE
(applicabile anche ai casi di DIA sostitutiva del permesso di costruire ai
sensi dell’art. 22, comma 3, del TUE). Si tratta una categoria residuale, la
cui nozione è stata ulteriormente chiarita dalla giurisprudenza amministrativa.
Il
concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento
costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato
dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da
quelle previste e autorizzate a livello progettuale, come si desume in negativo
dall’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001.
In
base alla norma infatti, mentre si è in presenza di difformità totale del
manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i
lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione
per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, si configura la
difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e
non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e
quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.
Ai
fini sanzionatori, per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di
costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, va senz’altro
disposta la demolizione delle opere abusive; per gli interventi eseguiti in
parziale difformità dal permesso di costruire, la legge prevede la demolizione,
a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in
conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria.
Il
campo di applicazione dell’art. 34 del TUE è stato modificato dall’articolo 5,
comma 2, lettera a), numero 5), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con
modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
In
particolare, proprio l’assenza di una compiuta definizione della categoria dei
lavori ed interventi eseguiti in parziale difformità ha indotto il legislatore
a fissare una soglia di rilevanza minima delle variazioni non costituenti
illecito edilizio. Si tratta di quegli scostamenti dai parametri autorizzati di
misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito
edilizio. Per questo è stata introdotta una soglia minima di rilevanza delle
difformità parziali, che è esclusa «in presenza di violazioni di altezza,
distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità
immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali» (comma 2-ter).
L’ambito
di applicazione della nuova disposizione viene espressamente circoscritto alla
materia edilizia. Non opera, dunque, nel caso di interventi su immobili
“vincolati” eseguiti in difformità dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Ovviamente, inoltre, la disposizione opera
unicamente nei rapporti con l’amministrazione, senza interferire con i rapporti
privatistici di vicinato.