giovedì 17 luglio 2014

PROTOCOLLO D’INTESA TRA MINISTERO DELL’INTERNO E ANAC

E’ stato firmato il 15 luglio 2014, il protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Interno e l’Autorità Nazionale Anticorruzione relativo alle “Prime Linee Guida per l’avvio di un circuito stabile e collaborativo tra ANAC- Prefetture- UTG e Enti Locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa”.
Tra le innovazioni previste in queste Prime Linee guida «quella di applicare la risoluzione dei contratti anche in presenza di fatti corruttivi e concussivi e non più solo di accertate azioni estorsive.
Più in particolare, «in linea con la disciplina pattizia già vigente circa l’obbligo di denuncia dei tentativi di estorsione, appare opportuno che i protocolli di “nuova generazione” contengano clausole volte a riconoscere alla Stazione appaltante la potestà di azionare la clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456c.c., ogni qualvolta l’impresa non dia comunicazione del tentativo di concussione subito, risultante da una misura cautelare o dal disposto rinvio a giudizio nei confronti dell’amministratore pubblico responsabile dell’aggiudicazione».
Inoltre, si legge ancora nelle prime Linee guida, «appare indispensabile che i medesimi protocolli prevedano, altresì, la possibilità per la Stazione appaltante di attivare lo strumento risolutorio in tutti i casi in cui, da evidenze giudiziarie consolidate in una misura cautelare o in un provvedimento di rinvio a giudizio, si palesino accordi corruttivi tra il soggetto aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria. Nell’unire in Allegato C uno schema-tipo delle predette clausole, si evidenzia che l’attivazione di tali strumenti risolutori dovrà essere coordinata con i poteri attribuiti all’ANAC dal decreto legge 90/2014.

A tal fine, appare opportuno che l’esercizio della potestà di risoluzione contrattuale da parte del soggetto aggiudicatore venga previamente sottoposta alla valutazione dell’ANAC, per consentire a quest’ultima di verificare se - in ragione dello stato di avanzamento dei lavori, o del rischio di compromissione della realizzazione dell’opera, tenuto anche conto della rilevanza della stessa – sia preferibile proseguire nel rapporto contrattuale, previo il rinnovo o la sostituzione degli organi dell’impresa aggiudicataria interessata dalle vicende corruttive, secondo le modalità stabilite dal ripetuto decreto legge».

mercoledì 16 luglio 2014

DISTINZIONE FRA CONSORZI STABILI, CONSORZI ORDINARI ED ATI

Tar Umbria, sezione I, 11 luglio 2012, n. 274
La pronuncia ribadisce la netta ed inequivocabile linea di demarcazione tra i soggetti costituiti dalle ATI e dai consorzi ordinari da una parte, ed i consorzi stabili dall’altra.
Relativamente alle prime due figure, nel momento in cui le imprese si associano in forma orizzontale, è stabilito che la mandataria (nelle ATI) o una delle imprese consorziate (per quanto riguarda i consorzi ordinari) deve poter contare sui requisiti richiesti dalla stazione appaltante nella misura minima del 40% dell’importo a base d’asta, mentre la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dalle mandanti (nelle ATI) o dalle altre imprese consorziate (nei consorzi ordinari), ciascuna nella misura minima del 10% dell’importo che è stato posto a base d’asta.
Nella fattispecie oggetto della sentenza era stato sostenuto da parte della ricorrente che tali percentuali di qualificazione si dovessero riferire anche ai consorzi stabili in quanto ritenuti assimilabili alle ATI ed ai consorzi ordinari. La sentenza in argomento, in modo assai netto, esclude la possibilità di tale assimilazione, considerando la figura del consorzio stabile totalmente eterogenea rispetto a quella delle ATI e dei consorzi ordinari e perciò non assoggettabile a quella che è la loro specifica disciplina.
In particolare, in sede di motivazione, la sentenza si preoccupa di sottolineare la peculiarità ed autonomia della figura giuridica del consorzio stabile, dal momento che, essendo il consorzio stabile caratterizzato da una comune struttura d’impresa, ne consegue l’autonoma capacità giuridica di assumere direttamente (in quanto consorzio stabile, e perciò in proprio) l’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto. In altri termini, i requisiti di idoneità tecnico – finanziaria richiesti dalla stazione appaltante devono sempre essere posseduti e comprovati con riferimento al consorzio in sé considerato, attraverso il cumulo dei requisiti che sono posseduti da ciascuna delle imprese che costituiscono il consorzio stabile, e tale disciplina permane anche nel caso in cui il consorzio stabile indichi che eseguirà i lavori per il tramite di una delle imprese consorziate.
La comune stabile struttura d’impresa costituisce quindi un elemento sine qua non per l’esistenza del consorzio stabile, poiché identifica l’azienda mediante la quale il consorzio ha la possibilità di eseguire direttamente i lavori oggetto del bando di gara.
Ne deriva che nel consorzio stabile non esistono le figure né della mandataria né delle mandanti, poiché ogni attività è riconducibile direttamente agli organi consortili. In definitiva, parte contrattuale è sempre e comunque il consorzio stabile che agisce attraverso i suoi organi (senza necessità alcuna di individuazione di una mandataria e di mandanti), adottando come strumento operativo una o più delle consorziate ovvero assumendo in proprio, e cioè con la propria struttura d’impresa, l’esecuzione dei lavori.
È significativo in proposito che il consorzio stabile si qualifichi alla gara d’appalto in base alla somma delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate e che comunque tutte le imprese consorziate sono solidalmente responsabili nei confronti della stazione appaltante. A questo proposito è stato affermato (Tar Campania, sez. VII, 5 settembre 2012, n. 3744) che il consorzio stabile è connotato da un rapporto organico che lega ad esso le imprese consorziate, rapporto organico più stretto ed intenso di quello proprio delle altre forme associative (ATI, consorzi ordinari, GEIE), ed ha una sua autonoma identità soggettiva e qualificazione che gli consente di partecipare alle gare pubbliche anche in proprio, sicché lo stesso consorzio stabile assume in toto su di sé l’onere dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, a nulla rilevando che abbia a questo fine designato una o più imprese consorziate (Consiglio di Stato, sez. V, n. 1534/2010; Consiglio di Stato, sez. V, n. 7524/2010; Consiglio di Stato, sez. V, n. 2454/2011).

Da tale impostazione è stato tra l’altro fatto discendere il corollario della sufficienza della sottoscrizione della garanzia provvisoria da parte del solo consorzio stabile e non anche da parte delle singole consorziate. 

martedì 8 luglio 2014

CATALOGO EUROPEO DEI RIFIUTI - CER

Tutti i rifiuti sono codificati in base al vigente Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER). Il CER classifica tutte le tipologie di rifiuti, siano essi urbani, speciali o pericolosi, e ogni singolo rifiuto è individuato specificatamente mediante un codice a sei cifre di cui:
-       la prima coppia di cifre, denominata “codice a due cifre o classe”, identifica la fonte che ha generato il rifiuto, ossia il settore produttivo di provenienza del rifiuto;
-       la seconda coppia di cifre del codice, denominata “codice a quattro cifre o sottoclasse”, identifica il processo e/o la lavorazione che ha originato il rifiuto all'interno delle settore produttivo di provenienza;
-       la terza coppia di cifre del codice individua la singola tipologia di rifiuto.
Esempio:  CER 10 11 03
10               ->     settore produttivo: rifiuti prodotti da processi termici;
10 11          ->     attività o processo: rifiuti prodotti dalla fabbricazione del vetro;
10 11 03      ->    descrizione rifiuto: scarti di materiali in fibra a base di vetro.

Il CER è articolato in:
20 classi;
111 sottoclassi;
839 rifiuti, di cui 405 pericolosi e 434 non pericolosi.
Le classi in generale individuano dei settori produttivi.

CLASSE CER
DESCRIZIONE
01
rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera e cava, nonché dal trattamento fisico o chimico di minerali
02
rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca trattamento e preparazione di alimenti
03
rifiuti dalla lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone
04
rifiuti dalla lavorazione delle pelli e dell'industria tessile
05
rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone
06
rifiuti dei processi chimici industriali
07
rifiuti dei processi chimici organici
08
rifiuti dalla produzione, formulazione, fornitura ed uso di rivestimenti (pitture, vernici, e smalti vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa
09
rifiuti dell'industria fotografica
10
rifiuti da processi termici
11
rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa
12
rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica
13
oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli combustibili ed oli di cui ai capitoli 05, 12 e 19)
14
solventi, refrigeranti, propellenti di scarto (tranne 07 e 08)
15
rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati altrimenti)
16
rifiuti non specificati altrimenti nell'elenco
17
rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente dai siti contaminati)
18
rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne i rifiuti di cucina e di ristorazione non direttamente provenienti da trattamento terapeutico)
19
rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell'acqua e dalla sua preparazione per uso industriale
20
rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilati prodotti da attività commerciali e industriali, nonché dalle istituzioni) inclusi rifiuti della raccolta differenziata
Solo le classi 13,14,15 e 16 non individuano delle attività specifiche, ma delle categorie omogenee di rifiuti.
All’interno del CER i rifiuti pericolosi sono contrassegnati con un asterisco “*”.

Per attribuire il corretto codice ad un rifiuto è utile procedere come segue:
·         identificare la fonte, o meglio l’attività produttiva che genera il rifiuto consultando i titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, (ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99);
·         se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto;
·         se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16;
·         se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non altrimenti specificati) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività identificata al precedente punto 1.


Vedi ALLEGATO D - Elenco dei rifiuti istituito Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (allegato così sostituito dall'art. 39,comma 5, del d.lgs. n. 205 del 2010)

NON FRAZIONABILITÀ DEI SERVIZI DI PUNTA

Il comma 8 dell’art. 261  del D.P.R. n. 207 del 2010, così testualmente prevede: “il requisito di cui  all’art. 263 comma 1, lett. c), non è frazionabile per i raggruppamenti  temporanei”. 
Tale requisito si riferisce ai  cosiddetti contratti di punta, consistenti nell’aver espletato negli ultimi  dieci anni due servizi di cui all’articolo 252, relativi ai lavori,  appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i  servizi da affidare, per un importo totale non inferiore a un valore compreso  fra 0,40 e 0,80 volte l’importo stimato dei lavori cui si riferisce la  prestazione da effettuare. 
L’istante suffraga la propria tesi  richiamando un recente intervento del giudice comunitario in materia di  avvalimento. La Corte di Giustizia – sezione V - con la sentenza 10 ottobre 2013, in causa C-94/12, ha  infatti affermato che “gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della  direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004,  relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti  pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con  l'articolo 33, paragrafo 2, della medesima direttiva, devono essere  interpretati nel senso che ostano a una disposizione nazionale come l'articolo  49, comma 6, del Codice dei contratti, la quale vieta, in via generale, agli  operatori economici che partecipano a una procedura di aggiudicazione di un  appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione  delle capacità di più imprese”. 
Questa Autorità, a seguito di tale  importante pronunciamento, ha ritenuto di fornire chiarimenti al riguardo con  apposito Comunicato del Presidente del 20 marzo c.a. al fine di modificare la  precedente determinazione del 1 agosto 2012 n. 2, punto 4, e quindi affermando  che la Stazione appaltante può legittimamente esigere che un livello minimo di  capacità  sia raggiunto da un operatore  economico unico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di  operatori economici. 
Ma ai fini della soluzione della questione in esame viene in rilievo il concetto  di frazionabilità/cumulabilità del requisito, pur dovendosi osservare che il  servizio di punta costituisce un requisito oggettivo e pertanto la sua intrinseca  natura non osta di per sé a che di questo possano giovarsi anche altre imprese  associate o associande. 
La giurisprudenza ha chiarito che  dalla non frazionabilità non può in alcun modo desumersi, quando si tratti di  requisiti oggettivi, la circostanza per cui il requisito debba essere posseduto  da ciascuna delle imprese raggruppate. Al contrario, se uno dei concorrenti  possiede il requisito (oggettivo) deve ritenersi che esso vada a qualificare  tutto il raggruppamento se si vuole scongiurare una inammissibile  moltiplicazione dei requisiti. I giudici hanno quindi ritenuto che “La non  frazionabilità del requisito dei servizi di punta non può essere interpretata  nel senso che ciascun componente del raggruppamento debba possedere il  requisito per intero. Tale conclusione si porrebbe in contrasto con la logica  del raggruppamento stesso, diretta a garantire la massima partecipazione alla  gara. È sufficiente, invece, che tale requisito sia posseduto per intero da un  singolo componente del raggruppamento” (cfr. TAR Puglia Bari, I, 24  gennaio 2013, n. 81). 
Orbene, non vi è dubbio che, come  per l’avvalimento cosiddetto plurimo o frazionato, la Stazione appaltante gode  di una riserva di discrezionalità che le consente di stabilire se alcuni  requisiti di partecipazione siano o meno frazionabili. Si afferma infatti in  giurisprudenza che “È legittima la norma del bando di gara che, in relazione  alla natura dell'appalto, preveda la non frazionabilità all'interno di  un'associazione di imprese dei requisiti di capacità tecnica e/o economica  richiesti dal bando, considerato che l'associazione temporanea di imprese  consente l'aggregazione economica di potenzialità organizzative e produttive  per la prestazione di beni e servizi, ma non dà luogo alla creazione di un  soggetto autonomo e distinto dalle imprese che lo compongono né ad un loro  rigido collegamento strutturale, per cui è congruo far gravare su ciascuna  impresa, ancorché mandante, l'onere di documentare il possesso dei requisiti di  capacità tecnica ed economica richiesti per l'affidamento del servizio nei  limiti e secondo le modalità stabilite dal bando, all'evidente scopo di evitare  l'esecuzione di quote rilevanti dell'appalto a soggetti del tutto sprovvisti  delle qualità all'uopo occorrenti”(cfr. T.A.R.  Lecce  Puglia   sez. III, 30 dicembre 2013, n. 2629). 
In  proposito, la determinazione dell’Autorità n. 2/2012, al punto 5,  specifica che “l’avvalimento può trovare applicazione anche ai servizi di  ingegneria ed architettura, ed in particolare ai requisiti previsti  dall’articolo 263, comma 1, del Regolamento. Si rammenta, tuttavia, che  i  cd “ servizi di punta” (art. 263, comma 1, lett. c) del Regolamento) ai sensi  del comma 8 dell’art. 261 del Regolamento non sono frazionabili; di  conseguenza, si può concludere nel senso che ognuno dei due “servizi di punta”  richiesti per ciascuna classe e categoria dovrà esser stato svolto interamente  da uno dei soggetti del raggruppamento”.
La previsione del disciplinare di  gara nel caso di specie riflette autonome valutazioni della Stazione appaltante,  la quale ha inteso recepire il divieto contemplato nella normativa generale  inserendolo nella legge di gara. Ne consegue che la previsione di lex specialis  costituisce ex se insuperabile ostacolo alla sommatoria delle frazioni dei  servizi di punta in possesso dei singoli associandi. Nel caso di specie,  inoltre, nessuna delle imprese in A.T.I. è risultata in possesso per l’intero  del requisito de quo, di guisa che l’operazione sommatoria auspicata  dall’istante non può che porsi in stridente contrasto con il divieto di  frazionamento.

 La legittimità della previsione di  lex specialis nemmeno può ritenersi inficiata dal recente pronunciamento della  Corte europea avendo essa riguardo alla fattispecie dell’avvalimento, che è ontologicamente diversa da quella dell’associazione temporanea d’imprese (vedi  Determinazione  AVCP n. 4 del 10 ottobre 2012, punto 4), peraltro nella perdurante vigenza del corrispondente  divieto legale. Anche a  ritenere il  contrario, l’intervento della Corte (successivo alla pubblicazione della lex  specialis) non potrebbe refluire sull’andamento della procedura selettiva, in  nome della irrilevanza dello jus superveniens, essendo del tutto pacifico che  la legge di gara, siccome cristallizzatasi nel preciso momento storico della  sua emanazione, non risente delle sopravvenienze normative (T.A.R. Salerno  Campania  sez. II, 09 maggio 2012, n. 867).