domenica 30 settembre 2012

REGOLAMENTO PER L’UTILIZZAZIONE DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO



Al fine di migliorare l'uso delle risorse naturali e prevenire, nel rispetto dell'articolo 179, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, la produzione di rifiuti, il presente Regolamento stabilisce, sulla base delle condizioni previste al comma 1, dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, i criteri qualitativi da soddisfare affinche' i materiali di scavo, come definiti all'articolo 1, comma 1, lettera b) del presente regolamento, siano considerati sottoprodotti e non rifiuti ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera qq) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni.
Il regolamento stabilisce inoltre, le procedure e le modalita' affinche' la gestione e l'utilizzo dei materiali da scavo avvenga senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente.
Il regolamento si applica alla gestione dei materiali da scavo.
Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente regolamento i rifiuti provenienti direttamente dall'esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione e' disciplinata ai sensi della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
In applicazione dell'articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, e' un sottoprodotto di cui all'articolo 183, comma 1, lettera qq), del medesimo decreto legislativo, il materiale da scavo che risponde ai seguenti requisiti:
a) il materiale da scavo e' generato durante la realizzazione di un'opera, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale materiale;
b) il materiale da scavo e' utilizzato, in conformita' al Piano di Utilizzo:
1) nel corso dell'esecuzione della stessa opera, nel quale e' stato generato, o di un'opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, ripascimenti, interventi a mare, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali;
2) in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;
c) il materiale da scavo e' idoneo ad essere utilizzato direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale secondo i criteri di cui all'Allegato 3;
d) il materiale da scavo, per le modalita' di utilizzo specifico di cui alla precedente lettera b), soddisfa i requisiti di qualita' ambientale di cui all'Allegato 4.
La sussistenza delle condizioni di cui al comma 1 del presente articolo e' comprovata dal proponente tramite il Piano di Utilizzo.
La nozione di sottoprodotto è antitetica a quella di rifiuto e genera la possibilità che il materiale possa essere riutilizzare nell’ambito del cantiere senza doverlo trattare come uno scarto.
Il decreto consta dei seguenti 16 articoli:
  • Art. 1 - Definizioni
  • Art. 2 - Finalità
  • Art. 3 - Ambiti di applicazione ed esclusione
  • Art. 4 - Disposizioni generali
  • Art. 5 - Piano di utilizzo
  • Art. 6 - Situazioni di emergenza
  • Art. 7 - Obblighi generali
  • Art. 8 - Modifica del piano di utilizzo
  • Art. 9 - Realizzazione del piano di utilizzo
  • Art. 10 - Deposito in attesa di utilizzo
  • Art. 11 - Trasporto
  • Art. 12 - Dichiarazione di avvenuto utilizzo D.A.U .
  • Art. 13 - Gestione dei dati
  • Art. 14 - Controlli e ispezioni
  • Art. 15 - Disposizioni finali e transitorie
  • Art. 16 - Clausola di riconoscimento reciproco
e dei seguenti 9 allegati:
  • Allegato 1 - Caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo
  • Allegato 2 - Procedure di campionamento in fase di progettazione
  • Allegato 3 - Normale pratica industriale
  • Allegato 4 - Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e accertamente delle qualità ambientali
  • Allegato 5 - Piano di utilizzo
  • Allegato 6 - Documento di trasporto
  • Allegato 7 - Dichiarazione di avvenuto utilizzo D.A.U .
  • Allegato 8 - Procedure di campionamento in fase esecutiva e per i controlli e le ispezioni
  • Allegato 9 - Materiali di riporto di origine antropica
L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), entro tre mesi dalla pubblicazione del presente regolamento, predispone un tariffario nazionale da applicare al proponente per la copertura dei costi sopportati dall'Agenzia regionale di protezione ambientale (ARPA) o dall'Agenzia provinciale di protezione ambientale (APPA) territorialmente competente per l'organizzazione e lo svolgimento delle attivita' di cui all'articolo 5 del regolamento, individuando il costo minimo e un costo proporzionale ai volumi di materiale da scavo.
Nei successivi tre mesi il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta, con proprio decreto, il tariffario nazionale, e definisce le modalita' di stipula di idonee garanzie finanziarie qualora l'opera di progettazione ed il relativo Piano di Utilizzo non vada a buon fine. Nelle more di approvazione e adozione del tariffario nazionale, i costi sono definiti dai tariffari delle ARPA o APPA territorialmente competenti. 

PARTECIPAZIONE PARITARIA (50%) ALL’A.T.I.


Il Consiglio di Stato ha ritenuto infondata l'eccezione formulata dall'appellante con la quale si sosteneva che l’A.T.I. aggiudicataria non avrebbe posseduto i requisiti in misura maggioritaria, giacché le quote di partecipazione alla predetta A.T.I. da parte delle due societa' erano paritarie (50%). Sul punto, fermo restando l'indiscusso principio, più volte ribadito, secondo cui i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento (tra le più recenti, C.d.S., sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6538; 8 novembre 2011, n. 5892), dovendo sussistere, come requisito di ammissione alla gara, una perfetta coincidenza tra quota dei lavori (o, nel caso di forniture o servizi, parti del servizio o della fornitura) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento (C.d.S., sez. III, 11 maggio 2011, n. 2805), il Collegio ritiene di non doversi discostare da quanto statuito da C.d.S., sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6363, ove è stato affermato che “Il disposto dell’art. 95 comma 2 d.P.R. n. 554 del 1999, secondo cui l’impresa mandataria in ogni caso possiede i requisiti in misura maggioritaria, deve essere riferito non all’entità del requisito minimo complessivo prescritto per la specifica gara di cui trattasi in relazione all’importo dei lavori da commettere, bensì alle quote effettive di partecipazione all’associazione, sicché può definirsi maggioritaria l’impresa che, avendo un qualifica adeguata, assuma concretamente una quota superiore o comunque non inferiore a quella di ciascuna delle altre imprese mandanti, a prescindere dai valori assoluti di classifica di ognuna delle altre; ciò perché, in caso diverso, si creerebbe un vincolo restrittivo al mercato, in contrasto con il principio della libertà di determinazione delle imprese in sede associativa, in quanto sarebbero privilegiate comunque le imprese di grande dimensione”.
In mancanza, quindi, di ulteriori e diversi elementi, non può sostenersi che nel caso di specie la partecipazione paritaria (50%) all’A.T.I. aggiudicataria delle imprese che la costituiscono, implichi ex se la mancanza del possesso in capo alla capogruppo mandataria dei requisiti di partecipazione maggioritaria previsti dalla legge.
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.9.2012, n. 5120)

RIPARTIZIONE DEI REQUISITI ALL’INTERNO DELLE ASSOCIAZIONI DI TIPO ORIZZONTALE


La disposizione di cui all’art. 95, commi 2 e 4, del D.P.R. n. 554/1999, in tema di ripartizione dei requisiti all’interno delle associazioni di tipo orizzontale, va riferita alle quote effettive di partecipazione all’associazione, sicché può definirsi maggioritaria l’impresa che, avendo una qualifica adeguata, assuma concretamente una quota superiore o comunque non inferiore a quella di ciascuna delle altre imprese mandanti, a prescindere dai valori assoluti di classifica di ognuna delle medesime. Da tale orientamento, basato sul principio di corrispondenza sostanziale già in fase di offerta tra quote di qualificazione, quote di partecipazione all’a.t.i. e quote di esecuzione, deriva che la percentuale “maggioritaria” deve essere individuata in rapporto alla misura in cui le imprese “spendono” in concreto la rispettiva classifica all’interno del raggruppamento. Ciò anche perché in caso diverso si creerebbe un vincolo restrittivo al mercato, in contrasto con il principio della libertà di determinazione delle imprese in sede associativa, in quanto sarebbero privilegiate comunque le imprese di maggiori dimensioni.
Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 11/12/2007 n. 6363

MODELLI DI ATI NEI LAVORI


TAR Aosta - Sentenza 23/01/2009 n. 1 in vigenza del vecchio Regolamento.
Il dato normativo da cui partire è l’articolo 37 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici) che detta la definizione dei diversi modelli di raggruppamento temporaneo, distinguendo tra il caso di lavori, servizi e forniture.
Per quanto riguarda i lavori: è in forma verticale il raggruppamento nel cui ambito uno dei concorrenti, in qualità di mandatario, realizza “i lavori della categoria prevalente”, mentre i mandanti possono assumere i lavori “scorporabili”, non appartenenti a tale categoria prevalente (comma 1); è in forma orizzontale il raggruppamento nel cui ambito i concorrenti realizzano i “lavori della stessa categoria” (comma 1); è in forma mista il raggruppamento nel cui ambito “i lavori riconducibili alla categoria prevalente, ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale” (comma 6). La stessa disposizione stabilisce poi che “nel caso di lavori, i raggruppamenti temporanei . . . sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento ovvero gli imprenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel regolamento” (art. 37, comma 3).
In attesa dell’approvazione di tale regolamento, “i raggruppamenti temporanei sono ammessi se il mandatario e i mandanti abbiano i requisiti indicati nel D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554”, oltre che nel D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (art. 253, comma 9, dello stesso codice).
Ciò premesso, è senza dubbio vero che il d.P.R. n. 554 del 1999 non contiene alcun riferimento alle associazioni temporanee di tipo misto: l’art. 95, commi 2 e 3, del regolamento considera infatti i soli raggruppamenti orizzontali e verticali, senza nulla prevedere quanto ai requisiti delle imprese riunite in raggruppamento di tipo misto. Ma questa circostanza non induce a concludere nel senso che la norma regolamentare sia inapplicabile alle associazioni temporanee di tipo misto. Deve piuttosto ritenersi che il silenzio del legislatore sul punto – mantenuto anche nella bozza del nuovo regolamento in corso di approvazione ai sensi dell’articolo 5 del codice dei contratti pubblici – indichi la volontà di estendere ai raggruppamenti temporanei misti le regole già previste per l’uno o per l’altro dei modelli.
Così, nell’ipotesi in cui le lavorazioni prevalenti o quelle scorporabili siano assunte da un unico soggetto, dovrà ritenersi applicabile la disciplina dettata per i raggruppamenti verticali; ove invece tali lavorazioni risultino assunte da più soggetti, dovrà ritenersi applicabile la disciplina dettata per i raggruppamenti orizzontali. Una tale scelta pare tutt’altro che illogica se si considera che nella struttura della associazione temporanea di tipo misto confluiscono entrambi i modelli di distribuzione del lavoro: quello qualitativo, che inerisce necessariamente alla previsione di scorporabilità, e quello quantitativo che consente la realizzazione congiunta delle opere della categoria prevalente, anche di quelle delle categorie scorporabili.
Questa interpretazione trova del resto conferma nella giurisprudenza, non solo per il caso che la sub-associazione orizzontale riguardi opere scorporabili (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 15 aprile 2005, n. 251), ma anche per il caso con che la sub-associazione orizzontale riguardi la categoria prevalente (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 10 dicembre 2004, n. 2704; sez. III, 25 settembre 2006, n. 1946): in entrambe le ipotesi si è infatti affermato che devono ritenersi applicabili le regole dettate dal regolamento per il modello della associazione temporanea di tipo orizzontale (articolo 95, comma 2). Nello stesso senso si è pronunciata anche l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, sia prima dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici (determinazione 20 dicembre 2001, n. 25), sia più recentemente (pareri 21 maggio 2008, n. 159 e 31 luglio 2008, n. 206).

TRE MODELLI DI ATI


Alle gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche possono partecipare imprese temporaneamente riunite (c.d. "a.t.i.").
Si distingue tra a.t.i. di tipo orizzontale e a.t.i. di tipo verticale.
Le a.t.i. orizzontali sono caratterizzate da una distribuzione meramente quantitativa del lavoro appaltato, e ciascuna impresa deve essere iscritta nella categoria prevalente per un quinto dell’importo dei lavori oggetto dell’appalto, ovvero, se sono indicate, oltre alla categoria prevalente, altre categorie, per un quinto dell’importo dei lavori di ogni singola categoria.
Le imprese associate sono responsabili in solido nei confronti dell’amministrazione.
Nelle a.t.i. di tipo verticale si ha una specializzazione diversificata delle associate e quindi una suddivisione qualitativa del lavoro. Esse sono ammissibili solo quando nel bando di gara sono espressamente indicate opere scorporabili.
Nelle stesse ciascuna impresa risponde delle opere scorporabili che assume, salva la responsabilità solidale della capogruppo.
Quando il bando indica opere scorporabili, le stesse «possono essere assunte in proprio da imprese mandanti, individuate prima della presentazione dell’offerta, che siano iscritte all’albo nazionale costruttori per categoria e classifica corrispondenti alle parti stesse».
Ma in tale ipotesi il bando deve indicare, oltre alle opere scorporabili, anche i lavori della categoria prevalente, «ai fini dell’ammissibilità di imprese che intendono presentarsi singolarmente o riunite in associazione ai sensi del comma 2».
In tale quadro emerge che le opere della categoria prevalente possono essere assunte solo da a.t.i. orizzontali, che comportano una maggiore garanzia per l’Amministrazione, stante la responsabilità solidale di tutte le associate.
Ove vi siano anche opere scorporabili, sono ammissibili tre modelli di a.t.i.:
1)     orizzontale, sia per lavori della categoria prevalente, che per quelli scorporabili;
2)     verticale, in cui un’impresa assume i lavori della categoria prevalente, e altre imprese mandanti assumono le opere scorporabili;
3)     mista, cioè orizzontale per i lavori prevalenti e verticale per quelli scorporabili.
L’unico modello di a.t.i. mista prevista dalla legge è dunque quello delineato, in cui ferma restando la necessità di un’a.t.i. orizzontale per i lavori di categoria prevalente, è possibile un’a.t.i. verticale solo per quelli scorporabili.
Non è invece ammissibile un’a.t.i. mista del tipo di quella ipotizzata dall’appellante, ossia in parte orizzontale e in parte verticale anche per i lavori di categoria prevalente, posto che la legge è chiara nel senso che i lavori della categoria prevalente possono essere assunti solo da a.t.i. orizzontali
Inoltre, posto che l’a.t.i. di tipo verticale è normativamente prevista solo per le opere scorporabili, se fosse ammissibile un’associazione verticale nell’ambito di una orizzontale per i lavori della categoria prevalente, si dovrebbe ipotizzare pure, nell’ambito dei lavori prevalenti, una scorporabilità di parte di essi, da assumere da parte dell’associata verticale, il che non è possibile, posto che solo il bando può stabilire quali sono le opere scorporabili, da tenere distinte da quelle di categoria prevalente.
Un altro dato inequivoco che emerge dalla normativa è che nelle a.t.i. verticali le opere scorporabili possono essere assunte solo da imprese mandanti e non anche dalla mandataria. In tal senso depone non solo la lettera della legge ma anche la sua ratio, che non è solo quella, pretesa dall’appellante, di consentire la più ampia partecipazione alle gare di appalto, ma anche quella di assicurare un’adeguata garanzia all’Amministrazione contro il rischio di inadempimenti contrattuali, rischio che aumenta allorché aumenta, come nel caso di a.t.i., il numero di soggetti obbligati, specie se, singolarmente considerati, non avrebbero i requisiti per partecipare alla gara.

SUBENTRO DI ALTRO E DIVERSO MANDANTE


L’art. 37, comma 19 del d.Lgs. 163/06 ha mantenuto intatto il nucleo normativo del precedente art. 94 del d.P.R. 554/99, estendendone la portata ai casi di normativa antimafia e comprendendo anche gli appalti di servizi e forniture. Il nucleo normativo è, dunque, incentrato sull’esecuzione e sul subentro di altro e diverso mandante e riguarda, dunque, la fase dell’esecuzione del contratto, non la fase dell’affidamento, rispetto alla quale la presenza di una interdittiva antimafia priva il concorrente della possibilità di aggiudicarsi l’appalto.
Tale lettura della norma è coerente con l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui il meccanismo in esame presuppone che il fallimento (così come le altre circostanze preclusive citate dalla norma medesima) della mandante sia intervenuto dopo la stipulazione del contratto, non spiegandosi, altrimenti, il riferimento alla «prosecuzione» del rapporto di appalto, che implica la già intervenuta insorgenza del rapporto stesso, mediante la sottoscrizione del contratto (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 ottobre 2005, n. 3261). Consiglio di Stato,Sezione V - Sentenza 20/06/2011 n. 3697

ATI MISTA


La caratteristica dell’ATI mista è quella di combinare il modello dell’ATI verticale con quello dell’ATI orizzontale, sicchè all’interno della prima sono possibili ulteriori sub-raggruppamenti orizzontali che frazionino tra loro o la prestazione della mandataria (sicchè si avrà un’ATI orizzontale per la prestazione principale e una verticale che separa la prestazione secondaria) o la prestazione della mandante (che svolge la prestazione “secondaria”, separabile in ATI verticale, ma che a sua volta può essere un’ATI orizzontale che nel complesso svolge la prestazione secondaria).
In pratica, ferma la massima flessibilità che consente la combinazione dei due modelli, resta dovuto il rispetto del limite di legge per cui il segmento di ATI verticale, che realizza lo scorporo, non può coinvolgere la prestazione principale (sul punto particolarmente chiara e con considerazioni tuttora valide Cons. St. sez. IV 9.7.1998 n. 702).
Proprio la struttura dell’ATI mista consente il sub-raggruppamento orizzontale e quello verticale, purchè nell’ambito della prestazione principale resti ferma la regola del solo raggruppamento orizzontale. Ciò che la legge vieta è in definitiva che tutto ciò che la stazione appaltante ha qualificato principale venga svolto in esclusiva da una mandante.
D’altro canto sulle prestazioni eseguite in ATI orizzontale sono obbligate in solido tutte le componenti dell’ATI e vi è comunque (in virtù della suddivisione pro quota e non per tipo) anche una effettiva partecipazione all’attività della mandataria, interlocutore diretto della stazione appaltante; per contro nell’ATI verticale sono necessariamente responsabili in solido verso la stazione appaltante della parte di servizio scorporata solo la mandante verticale e la mandataria, che risponde dell’attività della mandante ma dichiaratamente non vi prende in alcun modo parte. L’effetto che il divieto di scorporo vuole dunque evitare è duplice: l’esonero di responsabilità delle restanti mandanti oltre che la responsabilità in assenza di partecipazione all’attività da parte della mandataria.
TAR Torino, Sezione I - Sentenza 29/01/2010 n. 454

domenica 23 settembre 2012

OBBLIGO DELL'APPALTATORE DI ESEGUIRE SECONDO BUONA FEDE IL CONTRATTO DI APPALTO


Eventuali errori di allineamento delle opere progettate e commissionate dalla stazione appaltante all'impresa appaltatrice non comportano inadempienze della prima, laddove le costruzioni debbano sorgere in aperta campagna, senza problemi di allineamento o di incastro con altri edifici adiacenti, cosicché l'eventuale errore di allineamento avrebbe riverberato conseguenze pratiche molto modeste, per non dire trascurabili, alle quali ben avrebbe potuto ovviare l'impresa appaltatrice, sulla quale ricade l'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto, da ricollegarsi alle particolari competenze professionali dell'appaltatore, al quale detto obbligo impone ed agevolmente consente, entro il margine di errore ipotizzabile, d'individuare il posizionamento più logico e sensato compatibile coi vincoli progettuali, per come risultavano tecnicamente leggibili. L'obbligo di esecuzione secondo buona fede del contratto impone inoltre all'appaltatore di spendere i giorni di attesa di eventuali chiarimenti da parte della Stazione appaltante per espletare attività contrattualmente doverose e del tutto svincolate da quell'eventuale problema. Ciò in quanto un minino di elasticità nell'organizzazione diacronica dei lavori deve ritenersi insita nella professionalità dell'impresa edile, usa a confrontarsi con una molteplicità di fattori, anche di carattere ambientale e climatico, che possono inaspettatamente condizionare l'attività, richiedendo flessibilità e capacità di adattamento in itinere.

L'INFORMATIVA PREFETTIZIA


L'istituto dell'informazione prefettizia di cui all'articolo 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 rappresenta una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si inserisce nel sistema prevenzionistico patrimoniale e si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che dunque prescinde dall'accertamento, in sede penale, di uno o più reati connessi all'associazione di tipo mafioso.
Com'è noto, alla stregua della normativa di riferimento (Decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, recante "Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia"; Decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, recante "Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia") la giurisprudenza ha delineato tre categorie di informative prefettizie:
- la prima, ricognitiva di cause di divieto di per sé interdittive, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, del Decreto Legislativo n. 490 del 1994, nella parte in cui annovera “le informazioni concernenti la sussistenza o meno … delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1” (che, nel sistema del D.P.R. n. 252 del 1998, possono identificarsi con "le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa" desunte dalle lettere a) e b) del comma 7 dell'articolo 10 );
- la seconda, relativa ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate, la cui efficacia interdittiva, pure essa automatica, discende dalle valutazioni che il Prefetto abbia compiuto a seguito delle “necessarie verifiche”, di cui all’ultimo periodo del comma 4 citato (che, nel sistema del D.P.R. n. 252 del 1998, possono identificarsi negli elementi emersi dagli accertamenti di cui alla lettera c) del comma 7 dell'articolo 10);
- la terza, relativa alle informazioni supplementari ed atipiche, il cui effetto interdittivo è rimesso ad una valutazione autonoma e discrezionale dell'amministrazione destinataria dell'informativa prevista dall'articolo 1-septies del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito con modificazioni dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 (articolo aggiunto dall'articolo 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486, e richiamato dall'articolo 10 comma 9 del ricordato D.P.R. n. 252 del 1998) che, nel sistema del D.P.R. n. 252 del 1998, è fatta salva dal disposto del relativo art. 10, comma 9.

Come si ricava dalla normativa sopra riportata (v. art. 10, comma 8, del D.P.R. n. 252 del 1998), le informazioni tese ad accertare l'inesistenza di cause impeditive a contrarre con la pubblica amministrazione, ovvero ad escludere l'esistenza di elementi che inducano a ritenere la sussistenza di infiltrazioni mafiose, sebbene debbano sicuramente riguardare gli amministratori della società di capitali, devono essere condotte anche nei confronti di qualsiasi altra persona che possa condizionare le scelte e gli indirizzi della società stessa.
Sia la lettera della legge, che la natura e la funzione delle informative prefettizie antimafia conducono a sottolineare ch’esse non si esauriscono in un mero riscontro formale dell'esistenza o meno di cause ostative derivanti da provvedimenti giurisdizionali o da proposte di applicazione di misure di prevenzione, ma implicano, da parte dell'autorità prefettizia, l'esercizio di un ampio potere di valutazione, in termini di prevenzione, di tutti gli elementi di fatto, da cui possa ragionevolmente ricavarsi l'intervento della criminalità organizzata in attività economiche e lucrative, onde evitare che possa riversarsi nelle mani di quest'ultima la disponibilità di risorse finanziarie pubbliche attraverso atti formalmente o apparentemente legittimi.
Dati questi presupposti, è evidente come non possa costituire una causa ostativa alla emanazione della informativa interdittiva l'avvenuta stipulazione del contratto e la sua attuazione.
Invero, dalla lettura dell'articolo 11 del DPR n. 252/1998 si evince la possibilità, per l'Amministrazione, di stipulare il contratto anche prima di aver ricevuto le informazioni prefettizie, fatta salva la possibilità per la stessa, in caso di emersione di elementi relativi ai tentativi di cui si tratta dalla informazione successiva, di "revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti " (comma 2), facoltà, questa, che il successivo comma 3 estende a qualsiasi caso di accertamento di elementi siffatti “successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto” .


Quanto alla revoca della aggiudicazione di una gara a favore di un’impresa poi risultata soggetta ad infiltrazione mafiosa e/o al recesso dal relativo contratto, la giurisprudenza amministrativa ha fissato i seguenti principi:
1 - ai fini della legittimità di un siffatto atto di revoca non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento prevista dall'art. 7 della legge n. 241/1990, in quanto trattasi di procedimento iniziato con la domanda dell'impresa di partecipazione alla gara (Cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, Sent. 14 gennaio 2002, n. 149 e, da ultimo, TAR Calabria, Sez. I, Sent. 4 maggio 2011 n. 372);
2 - in riferimento alla natura discrezionale dell'esercizio del potere di scioglimento dal vincolo contrattuale già sorto, derivante dall'impiego dell'espressione "può" contenuto nella norma (art. 4, ultimo comma, del D. Lgs. n. 490/1994), tale facoltà, che non può concernere certamente gli accertamenti ed i giudizi relativi alla sussistenza di elementi ostativi al rilascio dell'informativa antimafia, essendo questi esclusivamente di competenza del Prefetto, ha ad oggetto valutazioni di carattere strettamente amministrativo, caratterizzate da un profilo di bassissima discrezionalità, posto che, rispetto all'eventualità di proseguire comunque un rapporto con un'impresa sospettata di essere soggetta ad infiltrazioni mafiose, appare senz'altro prevalente, come corollario del fondamentale principio di imparzialità e buona amministrazione, l'opposta esigenza di salvaguardare l'ordine e la sicurezza pubblica, nonché di serbare un atteggiamento di favore per quelle imprese che operano sul mercato in condizioni di assoluta trasparenza (V. T.A.R. Campania, Sez. I, n. 919/04; n. 3218/04 e n. 3219/04; 24 marzo 2005, n. 2478).

Per completezza espositiva, infine, deve essere ricordato che tutta la normativa appena esaminata è adesso confluita nel Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159 recante “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010 n. 136″, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 226 del 28 settembre 2011, con il proposito, tra gli altri, di riformare il sistema relativo alle certificazioni antimafia, la cui attuale disciplina è “il frutto di un’evidente successione di norme spesso non ben coordinate fra loro”. In particolare, la normativa concernente le certificazioni in questione è contenuta nel Libro II del Codice, le cui disposizioni (capi I, II, III e IV) “entrano in vigore decorsi 24 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del regolamento ovvero, quando più di uno, dell’ultimo dei regolamenti di cui all’articolo 99, comma 1”(art. 119 Codice).

L’INFORMATIVA ATIPICA NON HA NATURA INTERDITTIVA


L'informativa atipica, a differenza delle informative c.d. tipiche, non ha natura di per sé interdittiva, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità dell'Amministrazione nel valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del concorrente di assumere la posizione di contraente con la P.A. L'informativa atipica consente alla stazione appaltante, che non ha il potere, né l'onere di verificare la portata ed i presupposti dell'informativa antimafia, di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto, che risulterà sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato un margine ristretto di valutazione discrezionale; diversamente, il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso in cui si opti per la prosecuzione del rapporto per necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile. Deliberazione dell’AVCP n.3 del 11/1/2012

INFORMATIVA ATIPICA


Le c.d. informazioni prefettizie (da acquisire dalla stazione appaltante, dopo l'aggiudicazione provvisoria di appalto di lavori e ai fini dell'esercizio di eventuali atti di autotutela della p.a.) possono essere ricondotte a tre tipi:
- quelle ‘ricognitive’ di cause di per sè interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lg. 8 agosto 1994, n. 490;
- quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto;
- quelle ‘supplementari’ (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell'amministrazione destinataria dell'informativa prevista dall'art. 1 septies, del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla l. 12 ottobre 1982, n. 726, ed aggiunto dall'art. 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486.
Il criterio distintivo si rinviene nella circostanza che, diversamente dall'informativa tipica che ha carattere interdittivo di ulteriori rapporti negoziali con le amministrazioni appaltanti una volta presenti i presupposti previsti dall'art. 4 d.lg. 490/1994 (sussistenza di cause di divieto o di sospensione - tentativi di infiltrazione tendenti a condizionare le scelte della società o dell'impresa), la c.d. informativa atipica non ha carattere di per sé interdittivo, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la p.a.
Pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su elementi, anche indiziari, ottenuti con l'ausilio di particolari indagini che possono risalire anche a eventi verificatisi a distanza di tempo. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 20.01.2011 n. 396

INFORMATIVA ATIPICA


Per il suo contenuto, rappresentando fatti e circostanze che denotano oggettivamente il rischio di ingerenza nelle procedure di appalto, l’informativa in esame è da annoverarsi nel genere dell’ informativa atipica, che, secondo la giurisprudenza “configura un provvedimento di contenuto lesivo specifico, pur se eventuale e differito, che gli interessati hanno l’onere di impugnare insieme al provvedimento consequenziale che ne abbia concretizzata l’attitudine lesiva, chiamando in giudizio pure l’Amministrazione dell’Interno” (cfr. TAR Reggio Calabria, 4 maggio 2011, nr. 372, che sul punto richiama anche TAR Abruzzo L’Aquila, 19 gennaio 2011, nr. 14).
Invero, il TAR, in linea con la giurisprudenza pacifica, ha recentemente ribadito che “diversamente dall'informativa tipica che ha carattere interdittivo di ulteriori rapporti negoziali con le amministrazioni appaltanti una volta presenti i presupposti previsti dall'art. 4 del D.Lg.vo n. 490/1994 (sussistenza di cause di divieto o di sospensione - tentativi di infiltrazione tendenti a condizionare le scelte della società o dell'impresa), la c.d. informativa atipica non ha carattere di per sé interdittivo, ma consente l'attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l'avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la p.a. Pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su elementi, anche indiziari, ottenuti con l'ausilio di particolari indagini che possono risalire anche a eventi verificatisi a distanza di tempo (cfr. C.S., V, 31 dicembre 2007, n. 6902)” (TAR RC, sent. nr. 372/2011)”.
E’ stato a tal proposito chiarito, sempre in giurisprudenza, che l’informativa atipica consente alla stazione appaltante (che non ha né il potere né l'onere di verificare la portata o i presupposti dell'informativa antimafia), di adottare un provvedimento di diniego di stipula del contratto o di prosecuzione del rapporto che sarà sufficientemente motivato anche per relationem, essendole riservato “un margine assai ristretto di valutazione discrezionale, mentre il dovere di ampia motivazione sussiste solo nel caso della scelta della prosecuzione del rapporto per inderogabili ed indeclinabili necessità della prestazione, non altrimenti assicurabile” (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 20 aprile 2006 , n. 2876; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2005 , n. 574 e T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 08 luglio 2010 , n. 16618; si vedano anche le applicazioni del suddetto principio nelle fattispecie cui si è uniformato il Tribunale nelle sentenze TAR Reggio Calabria, 2 febbraio 2011, nr. 77 e 22 febbraio 2011 nr. 123).
TAR Calabria Reggio Calabria 21/6/2011 n. 518

PROTOCOLLO DI LEGALITÀ E INFORMATIVE ANTIMAFIA


I protocolli di legalità costituiscono oggi utili strumenti per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle attività economiche, specie nei territori dove il fenomeno è particolarmente radicato.
Uno degli effetti principali è di natura contrattuale, prevedendo gli stessi l’obbligo di risoluzione immediata ed automatica del vincolo negoziale qualora emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.
L’effetto è evidentemente incisivo, sia sotto il profilo giuridico, determinando la cessazione di ogni relativo effetto, sia, e soprattutto, sotto il profilo economico.
Peraltro, è il caso di sottolineare come l’effetto risolutivo delle informazioni antimafia non è soltanto la conseguenza di una prescrizione contrattuale sottoscritta in forza del protocollo di legalità di riferimento. Infatti, tali clausole sono frequentemente rinvenibili anche al di fuori dell’ambito di applicazione dei richiamati protocolli.
Tuttavia, il nostro ordinamento, ai sensi degli articoli 10, comma 9, del D.P.R. n. 252 del 1998, conosce almeno due diverse informative antimafia, quella tipica ed atipica:
“a) la prima, comportante il divieto di stipulazione (ovvero l’automatica risoluzione) di contratti con imprese per le quali emergano elementi comprovanti le infiltrazioni della criminalità organizzata (mediante le informative cd. "tipiche" od "interdittive");
b) l’altra, consistente nel fornire alle Amministrazioni elementi che – se pur non tali da consentire di ritenere sussistenti le infiltrazioni – permettano alle stesse la valutazione, nell’ambito della loro discrezionalità e nei limiti previsti dalla legge, dei requisiti soggettivi del soggetto contraente (mediante le informative cd. "atipiche").”
Su queste coordinate, i Giudici del Tar Lazio, con la sentenza in commento n. 32839/2010, sono stati chiamati a stabilire se, nel caso considerato, entrambe le informative possano incidere sull’efficacia del contratto, determinandone la risoluzione automatica.
Sul punto è stato chiarito che il c.d. protocollo di legalità “nel determinare ipotesi che comportano l’obbligo di "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale" in dipendenza di "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa", si riferisce ad elementi che si sostanziano in "informazioni antimafia dal valore interdittivo".
Per un verso, ciò si evince dalla lettura coordinata delle lettere c) e d) dell’art. 2, non essendo ragionevole ritenere che le due disposizioni fondino le medesime conseguenze (cioè la "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale"), da un lato su formali "informazioni antimafia dal valore interdittivo" e, da altro lato, su "elementi" non meglio definiti (atipici) "relativi a tentativi di infiltrazione".
Per altro verso, è del tutto evidente che un effetto "immediato ed automatico" di revoca di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato e, per di più, di risoluzione unilaterale di un contratto, non può che conseguire ad ipotesi puntualmente definite dal legislatore, ipotesi che, in quanto tali, consentono di ritenere (con ragionevolezza) vincolata l’attività dell’amministrazione e che, imponendosi come factum principis, legittimano la risoluzione del rapporto contrattuale.
Ciò comporta che "la revoca della concessione e la risoluzione del contratto, automaticamente ed immediatamente disposte, possono conseguire solo alla presenza di cause interdittive di cui agli artt. . n. 575/1965, 4 d. lgs. n. 490/1994 e 10 DPR n. 252/1998, ma non possono conseguire, nello stesso modo immediato ed automatico, alla mera rilevazione di elementi che – non assurgendo ex se a fondamento di informazioni antimafia con effetto interdittivo – abbisognano di valutazione da parte dell’amministrazione e quindi di motivazione in ordine alla loro rilevanza.”
In definitiva, dunque, in presenza di informative antimafia atipiche, l’effetto risolutivo immediato non si verifica e l’amministrazione appaltante è chiamata a valutare autonomamente ed in maniera discrezionale la possibilità di giungere alla risoluzione contrattuale, partendo dalle informazioni oggetto della richiamata informativa.
[TAR Lazio – Roma, Sez. I - sentenza 18 ottobre 2010 n. 32839]

INFORMATIVE ANTIMAFIA


Il nostro ordinamento, ai sensi degli articoli 10, comma 9, del D.P.R. n. 252 del 1998, prevede almeno due diverse informative antimafia, quella tipica ed atipica: “a) la prima, comportante il divieto di stipulazione (ovvero l’automatica risoluzione) di contratti con imprese per le quali emergano elementi comprovanti le infiltrazioni della criminalità organizzata (mediante le informative cd. "tipiche" od "interdittive"); b) l’altra, consistente nel fornire alle Amministrazioni elementi che – se pur non tali da consentire di ritenere sussistenti le infiltrazioni – permettano alle stesse la valutazione, nell’ambito della loro discrezionalità e nei limiti previsti dalla legge, dei requisiti soggettivi del soggetto contraente (mediante le informative cd. "atipiche").”
I Giudici del Tar Lazio, con la sentenza n. 32839/2010, sono stati chiamati a stabilire se entrambe le informative possano incidere sull’efficacia del contratto, determinandone la risoluzione automatica.
Sul punto è stato chiarito che il c.d. protocollo di legalità “nel determinare ipotesi che comportano l’obbligo di "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale" in dipendenza di "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa", si riferisce ad elementi che si sostanziano in "informazioni antimafia dal valore interdittivo". Per un verso, ciò si evince dalla lettura coordinata delle lettere c) e d) dell’art. 2, non essendo ragionevole ritenere che le due disposizioni fondino le medesime conseguenze (cioè la "risoluzione immediata ed automatica del vincolo contrattuale"), da un lato su formali "informazioni antimafia dal valore interdittivo" e, da altro lato, su "elementi" non meglio definiti (atipici) "relativi a tentativi di infiltrazione". Per altro verso, è del tutto evidente che un effetto "immediato ed automatico" di revoca di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato e, per di più, di risoluzione unilaterale di un contratto, non può che conseguire ad ipotesi puntualmente definite dal legislatore, ipotesi che, in quanto tali, consentono di ritenere (con ragionevolezza) vincolata l’attività dell’amministrazione e che, imponendosi come factum principis, legittimano la risoluzione del rapporto contrattuale.
Ciò comporta che la revoca della concessione e la risoluzione del contratto, automaticamente ed immediatamente disposte, possono conseguire solo alla presenza di cause interdittive di cui agli artt. . n. 575/1965, 4 d. lgs. n. 490/1994 e 10 DPR n. 252/1998, ma non possono conseguire, nello stesso modo immediato ed automatico, alla mera rilevazione di elementi che – non assurgendo ex se a fondamento di informazioni antimafia con effetto interdittivo – abbisognano di valutazione da parte dell’amministrazione e quindi di motivazione in ordine alla loro rilevanza.”
In definitiva, dunque, in presenza di informative antimafia atipiche, l’effetto risolutivo immediato non si verifica e l’amministrazione appaltante è chiamata a valutare autonomamente ed in maniera discrezionale la possibilità di giungere alla risoluzione contrattuale, partendo dalle informazioni oggetto della richiamata informativa.
[TAR Lazio – Roma, Sez. I - sentenza 18 ottobre 2010 n. 32839]

INFILTRAZIONI MAFIOSE - INFORMATIVA


Relativamente alle gare di appalto ed infiltrazioni mafiose, le informative devono fondarsi su elementi di fatto che, in quanto aventi carattere sintomatico ed indiziante, denotino in senso oggettivo il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, da valutarsi sulla base di un esame complessivo degli elementi raccolti non essendo sufficiente la verifica di uno solo di essi.
Si richiede quindi un attendibile “giudizio di possibilità” “secondo la nozione di pericolo”, per il quale non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato con un accertamento, perciò, di grado inferiore e diverso da quello richiesto per l’individuazione di responsabilità penali.
Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 21.04.2010 n. 2224

DANNI CAUSATI DA LAVORI STRADALI


Se l'area durante i lavori viene comunque utilizzata per la circolazione delle vetture la stazione appaltante (Ente proprietario della strada) risponde con l'appaltatore.
La Corte di Cassazione, Sez. III civile, interviene infatti (sentenza 23.07.2012 n. 12811) con dettagli che distinguono il tipo di lavori e di cantiere, nonché le caratteristiche dell'appalto che modifica la strada. Nel caso esaminato, risalente al 1989, si discuteva di tubi e cavi collocati nel sottosuolo, in un'area completamente delimitata: il principio applicato è che l'omessa segnalazione, l'imprevedibilità del trabocchetto genera responsabilità del solo appaltatore (o subappaltatore) che ha eseguito o i lavori e ne è custode.
Se invece durante i lavori l'area continua a essere utilizzata per la circolazione, rispondono dei danni sia l'appaltatore che l'ente proprietario della strada. Per giungere a questa conclusione, la Cassazione ricorda che in tema di appalto vige il principio secondo cui l'appaltatore (o il subappaltatore) opera in piena autonomia, a proprio rischio, specialmente se il committente non si ingerisce nei lavori con direttive vincolanti.
In altri termini, se nella scala dei soggetti che tendono al risultato (quale il posizionamento di tubi in sede stradale) vi sono direttive specifiche del soggetto a monte (ad esempio, del proprietario della strada) che riducono l'imprenditore a valle al ruolo di mero esecutore, la responsabilità rimane in capo a colui che, ingerendosi nella gestione delle modalità esecutive, ha indotto gli altri (avendone le capacità e l'autorità) ad eseguire come "nudus minister" (soggetto privo di capacità di scelta). Se quindi vi è un'impresa contrattualmente obbligata a sorvegliare in generale tutta la viabilità, con compiti di manutenzione ordinaria, in caso di sinistro la responsabilità si arresta al confine di specifici cantieri: risponde del cantiere solo l'appaltatore che vi opera, tanto più se si discute di opere (come il posizionamento di tubi) diverse dalla usuale gestione della sede stradale.
Un'ulteriore distinzione è operata tra aree di cantiere delimitate ed enucleate rispetto alla sede stradale aperta al traffico, sulle quali vi è la custodia (e responsabilità) esclusiva dell'appaltatore, rispetto agli interventi che vengono effettuati con strada aperta al pubblico. I giudici di legittimità ricordano infatti che, nel caso di lavori di rifacimento di marciapiedi e del manto stradale, su area che continua ad essere adibita a circolazione, permane il rapporto di custodia tra ente pubblico (Comune, Provincia, Stato) proprietario della strada e soggetto appaltatore (Cassazione, sentenza 12425/2008). Diventa quindi importante verificare se, al momento dell'incidente, la sede stradale sia aperta al traffico e se vi fossero specifiche delimitazioni di cantiere.

Inoltre, le opere in corso devono essere tanto specialistiche da non coinvolgere il soggetto proprietario o il manutentore in generale della strada, e infine non vi deve essere alcuna interferenza (suggerimenti o imposizioni) tra ciò che avviene nella viabilità generale e ciò che accade nel cantiere. Ad esempio, se per motivi di viabilità il Comune consente il traffico stradale in una zona adiacente una trincea scavata per collocare impianti interrati, senza rispettare margini di sicurezza, la responsabilità è della pubblica amministrazione.

CERTIFICAZIONE DI QUALITA’ E RIDUZIONE DELLA CAUZIONE PROVVISORIA


Ai fini del godimento del beneficio di riduzione della cauzione provvisoria, non è necessaria la corrispondenza della certificazione di qualità alla categoria prevalente dei lavori oggetto dell'appalto. La possibilità per i concorrenti di poter accompagnare l'offerta con una garanzia di importo dimidiato è contemplata, per ciò che concerne gli appalti di lavori nell'ambito della disciplina del sistema unico di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, all'art. 40, c. 7, del d. lgv. n. 163 del 2006 (Codice dei Contratti pubblici), che prevede che gli operatori economici certificati beneficiano della riduzione della cauzione sia provvisoria che definitiva, alla sola e unica condizione che la certificazione del sistema di qualità sia rilasciata in conformità alle norme della serie europea UNI ENI ISO 9000 da organismi di certificazione a loro volta accreditati sulla base di norme UNI CEI EN 4500.
Dello stesso tenore è la disposizione di cui all'art. 75, c. 7, del Codice dei Contratti pubblici che regolamenta le garanzie a corredo dell'offerta, che ribadisce la possibilità della riduzione dell'importo delle garanzie per le imprese in possesso di certificazione conforme alle norme europee senza null'altro aggiungere, prescindendo da qualsivoglia necessità di corrispondenza della certificazione di qualità all'oggetto dell'appalto cui di volta in volta l'impresa partecipi. Ne consegue che nessuna norma prevede la sussistenza di specifiche condizioni, oltre al possesso della certificazione di qualità con le formalità su descritte, per poter beneficiare del dimezzamento della cauzione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2012 n. 4225).

IN CASO DI ANNULLAMENTO DELL’ESCLUSIONE DALLA GARA


Nel caso di esclusione di una impresa dalla gara da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell'offerta illegittimamente pretermessa.
Nella gara per l'affidamento di contratti pubblici l'interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l'aggiudicazione nella stessa gara; pertanto, anche nel caso dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell'esclusione stessa sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell'offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 26.07.2012 n. 30).

GESTIONE DEL CONTRATTO STIPULATO CON IL CONTRAENTE GENERALE


In relazione all’esecuzione di lavori su strade statali da parte di ANAS, l’AVCP è intervenuta con due deliberazioni in merito alla gestione dei contratti stipulati con il Contraente generale con particolare riferimento alle varianti ed alle riserve.

Le deliberazioni sono:




Con riferimento alle criticità registratesi in corso d’opera, ed, in particolare al problema delle interferenze, si osserva che, con i D.lgs. n. 190/2002 e 189/2005 (quest’ultimo, successivo all’appalto dell’intervento oggetto di ispezione, ha reso più puntuali le disposizioni), recepiti nel D.lgs. n. 163/2006, sono state fornite prescrizioni finalizzate ad evitare le criticità connesse alle interferenze con opere esistenti o in corso di realizzazione.
All’attualità, l’art. 170 del Codice, dispone che il soggetto aggiudicatore rimetta agli enti gestori delle interferenze già note e prevedibili il progetto preliminare, ponendo in capo a questi l’obbligo di verificare e segnalare al soggetto aggiudicatore la sussistenza di interferenze non rilevate e di collaborare con il soggetto aggiudicatore per lo sviluppo delle opere pertinenti, nonché di dare corso, a spese del soggetto aggiudicatore, alle attività progettuali di propria competenza.
E’, inoltre, obbligo per i gestori di servizi pubblici e di infrastrutture destinate al pubblico servizio rispettare il programma di risoluzione delle interferenze (che deve corredare il progetto definitivo), nonché di risarcire i danni subiti dal soggetto aggiudicatore, nel caso di mancato rispetto del programma o di mancata segnalazione delle interferenze.
L’art. 172 stabilisce puntualmente gli oneri dei gestori delle interferenze, sia in termini di collaborazione da fornire che di tempi nei quali la stessa deve essere espletata, tempi comunque rispettosi del programma approvato dal CIPE unitamente al progetto definitivo.

Per quanto attiene alle problematiche di ordine archeologico, con riferimento a quanto verificatosi nel Megalotto 2, si rileva come le indagini disposte dalla competente Soprintendenza siano state ripetutamente modificate e adeguate in corso d’opera, sia in relazione alle risultanze delle indagini e dei ritrovamenti effettuati, sia per effetto delle valutazioni e conseguenti indicazioni dei soggetti preposti; se è certamente importante assicurare la tutela di eventuali testimonianze archeologiche, non può non porsi in rilievo come gli oneri economici derivanti da una definizione e attuazione delle indagini in corso d’opera siano stati rilevanti.
Anche per le criticità riconducibili a tale circostanza, si ritiene che un puntuale svolgimento preventivo delle indagini, nei termini attualmente previsti dagli art. 95 e 96 del D.lgs. n.163/2006, dovrebbe evitare in larga parte i maggiori oneri verificatisi nel caso oggetto di ispezione.

Per quanto attiene alle problematiche di ordine geologico, in particolare a comportamenti del terreno attraversato dalle numerose gallerie non del tutto rispondenti a quanto ipotizzato in sede progettuale, queste hanno comportato maggiori oneri sia in relazione alla necessità di introdurre varianti, sia in relazione a richieste risarcitorie del Contraente generale per i maggiori oneri conseguenti all’anomalo andamento del cantiere.

Relativamente alle modifiche introdotte successivamente alla gara, si osserva che il Capitolato speciale di affidamento (art. 6) precisa, con riferimento alla redazione del progetto esecutivo, che “resteranno a totale carico del contraente generale tutte le varianti necessarie ad emendare i vizi o ad integrare le omissioni o le carenze del progetto definitivo, così come verificato ed eventualmente modificato dal contraente generale in sede di gara”; la disposizione esclude, pertanto che il contraente generale possa avvalersi di eventuali errori o omissioni del progetto, non solo riconducibili a quello esecutivo dallo stesso redatto, ma anche a quello definitivo posto in gara.
Al riguardo, si ritiene che la complessità e vastità dell’intervento nonché la specificità di talune opere, quali le gallerie, possano effettivamente comportare la necessità di modifiche agli interventi previsti in sede di progetto, senza che ciò costituisca una evidente omissione progettuale; ciò con particolare riferimento alle indagini geologiche effettuate per la redazione del progetto.


La questione relativa al contenzioso sviluppatosi in corso d’opera appare meritevole di particolare attenzione, sia in relazione alla valutazione dell’effettivo impatto che le circostanze verificatesi possono aver determinato sull’esecuzione dei lavori, sia in relazione all’ammissibilità, in generale, di talune riserve nel caso di affidamento a contraente generale.

Si riscontra, al riguardo, come le modalità con cui sono state avanzate ed esaminate le riserve, siano state sostanzialmente simili a quelle di un appalto ordinario; l’affidamento a contraente generale dovrebbe presupporre, invece, valutazioni particolari, stante la più ampia libertà e responsabilità organizzativa posta in capo al soggetto affidatario rispetto a quella di un appalto tradizionale, in quanto oggetto dell’affidamento è la “realizzazione con qualsiasi mezzo dell’opera, nel rispetto delle esigenze specificate nel progetto preliminare o nel progetto definitivo redatto dal soggetto aggiudicatore e posto a base di gara, contro un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l’ultimazione dei lavori” (art. 9 del D.lgs. 190/2002 vigente all’epoca dell’appalto e così ripreso dall’art. 176 del D.lgs. n. 163/2006).
E’ rimesso, pertanto, al contraente generale un obbligo di risultato; ha, tra l’altro, il compito di redigere il progetto esecutivo, verificando il definitivo redatto dal committente, redigere le eventuali varianti che si dovessero rendere necessarie in corso d’opera e curare direttamente rapporti con enti terzi, quali i gestori delle interferenze.

Si ritiene, comunque, che le particolari condizioni che connotano il contratto di contraente generale, richiedendo allo stesso di porre in atto misure adeguate per superare le criticità che si evidenziano in corso d’opera, presuppongono che lo stesso, in relazione alle medesime criticità, possa adeguatamente riorganizzare le proprie attività di cantiere, nell’ambito del vasto intervento, evitando, per quanto possibile la diseconomica utilizzazione di manodopera e mezzi. In sostanza, i maggiori oneri dovrebbero derivare esclusivamente da circostanze del tutto imprevedibili, tali da non consentire una riprogrammazione delle attività contestuale alle stesse, ed il calcolo degli stessi dovrebbe essere limitato ai tempi strettamente necessari a consentire l’attivazione di adeguati correttivi nell’impiego delle risorse e non all’intera durata dell’impedimento.
Inoltre, è evidente come debbano essere evitate valutazioni del tutto teoriche, sulla base di dati tabellari circa l’impiego della manodopera e mezzi nelle lavorazioni che costituiscono l’intervento.
Appare necessario, pertanto:
· il riferimento a dati concreti e documentati circa le risorse effettivamente impiegate dal contraente generale nelle lavorazioni oggetto delle riserve;
· un attento controllo, da parte della direzione lavori e dell’alta sorveglianza, relativamente alla stretta attinenza tra circostanze imprevedibili verificatesi in corso d’opera e gli impedimenti lamentati;
· una verifica dell’adeguatezza e tempestività delle misure intraprese dal contraente generale, al fine di superare le circostanze impeditive o dirottare manodopera e mezzi più proficuamente su altre lavorazioni.
E’evidente il rischio, in assenza di tali controlli e verifiche, di imputazione al committente di oneri puramente teorici o connessi ad eventuali diseconomicità derivanti da carenze organizzative del contraente generale, che impediscono allo stesso di raggiungere la produttività programmata.
Per quanto attiene alla fase di esecuzione degli interventi, rilevato come le richieste risarcitorie avanzate dal contraente generale siano collegate principalmente alla ridotta produttività, invita l’ANAS e, tramite questa, i soggetti coinvolti nella definizione del contenzioso (Direttore dei lavori, Responsabile del procedimento, Collaudatori, Componenti di commissioni ex art. 240 del D.lgs. n.163/2006) ad adottare, nell’esame delle riserve, opportune cautele che evitino il rischio di imputazione al committente di oneri puramente teorici o riconducibili a carenze organizzative dello stesso contraente generale; in particolare invita a circoscrivere adeguatamente l’accoglimento delle richieste risarcitorie a casi eccezionali, limitatamente alle misure e ai tempi strettamente necessari alla riorganizzazione dell’attività da parte dell’appaltatore e ai costi dallo stesso effettivamente sostenuti e documentati.

sabato 22 settembre 2012

OBBLIGO DI SPECIFICARE LE PARTI DEL SERVIZIO O DELLA FORNITURA DI PERTINENZA DELLE SINGOLE IMPRESE RAGGRUPPATE


Il precetto che impone la doverosa specificazione delle parti del servizio o della fornitura di pertinenza delle singole imprese raggruppate o consorziate deve applicarsi anche ai raggruppamenti orizzontali. Ed infatti, l'obbligo in questione, da assolvere a pena di esclusione in sede di formulazione dell'offerta, è espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento della costituzione dell'associazione (costituita o costituenda).
Ai fini del vaglio dell'ottemperanza all'obbligo secondo cui i diversi raggruppamenti (sia verticali che orizzontali) devono specificare le parti del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, in ossequio al principio della tassatività delle cause di esclusione, come sancito dall'art. 46, comma 1-bis, Codice degli Appalti, dovrà seguirsi un approccio ermeneutico di natura sostanzialistica che valorizzi il dato teleologico del raggiungimento dello scopo della norma senza che assuma rilievo dirimente il profilo estrinseco del modo in cui siffatta esigenza sia soddisfatta.

Ne consegue che il predetto obbligo dovrà ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini schiettamente descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione quantitativa, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle rammentate finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell'offerta ed a consentire l'individuazione dell'oggetto e dell'entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate.

Orbene, la previsione dell'obbligo dichiarativo de quo è espressione di un principio generale che impone la specificazione, anche solo quantitativa, delle parti del servizio o della fornitura per ogni tipo di raggruppamento e di prestazione, con la conseguenza che la totale omissione di qualsiasi specificazione idonea a rendere percepibile il riparto di ruoli operativi tra i diversi soggetti consorziati impone la doverosa adozione del provvedimento espulsivo.

La questione di diritto rimessa all’adunanza plenaria riguarda l’applicabilità ai raggruppamenti orizzontali del precetto che impone la doverosa specificazione delle parti del servizio o della fornitura di pertinenza delle singole imprese raggruppate o consorziate.

Il Collegio deve ribadire la risposta positiva che è stata fornita a tale quesito dalla decisione 13.06.2012, n. 22 con riferimento alla disciplina, ratione temporis vigente, dettata dall’art 11, comma 2, d.lgs. n. 157 del 1995, come sostituito dall’art. 9 del d.lgs. 25.02.2000, n. 65. La soluzione è, infatti, estensibile, vista l’identità del dato letterale e di quello telelogico, al precetto dettato dall’art. 37, comma 4, del d.lgs 12.04.2006, n. 163, che, in linea di continuità con la normativa anteriore, ha stabilito che “nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori riuniti o consorziati”.

Si deve confermare, quindi, anche con riguardo alla disciplina dettata dal codice dei contratti pubblici, la soluzione ermeneutica secondo cui la citata disposizione è applicabile indistintamente a tutte le forme di a.t.i., orizzontali e verticali.

A favore di tale tesi milita, anzitutto, l’argomento letterale in virtù del rilievo che la norma in parola, al pari del richiamato antecedente normativo, non contiene alcuna distinzione tra a.t.i. orizzontali e verticali così come tra associazioni costituite e raggruppamenti costituendi.
Si deve poi ribadire il ragionamento svolto dalla rammentata sentenza n. 22/2012 di questa Adunanza al fine di corroborare gli argomenti di natura sistematica e teleologica, estensibili anche all’art. 37, comma 4 cit., che suffragano l’opzione estensiva.

Si deve, al riguardo, rimarcare che:

- l’indicazione delle ‹‹parti›› del servizio o della fornitura imputate alle singole imprese associate o associande si rende necessaria onde evitare l’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte di soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo occorrenti in relazione ai requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria fissati dalla lex specialis;

- siffatte esigenze, di controllo e di trasparenza, si pongono in modo persino rincarato nei raggruppamenti a struttura orizzontale, in seno ai quali tutti gli operatori riuniti eseguono il medesimo tipo di prestazioni, per cui, in difetto di specificazione anche quantitativa delle ‹‹parti›› di servizi che saranno eseguite dalle singole imprese, sarebbe inibita alla stazione appaltante una verifica in ordine alla coerenza dei requisiti di qualificazione con l’entità delle prestazioni di servizio da ognuna di esse assunte;

- la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà il servizio o la fornitura, consente, in modo indifferenziato per entrambe le associazioni, l’individuazione del responsabile della prestazione dei singoli segmenti dell’appalto;

- l’obbligo in esame soddisfa l’esigenza, consustanziale alla funzione dei raggruppamenti, che sia assegnato un ruolo operativo a ciascuna delle imprese associate in a.t.i. o consorziate, allo scopo di evitare che esse si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di imprese non qualificate;

- l’obbligo della specificazione delle ‹‹parti›› di servizio imputate alle singole imprese del raggruppamento persegue anche la finalità di assecondare il corretto esplicarsi delle dinamiche concorrenziali, assicurando l’effettività del raggruppamento e impedendo la partecipazione fittizia di imprese, non chiamate (o chiamate in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni oggetto della gara.

Si deve quindi concludere, sulla scorta di tali argomenti, che l’obbligo in questione, da assolvere a pena di esclusione in sede di formulazione dell’offerta, è espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento della costituzione dell’associazione (costituita o costituenda).

Si deve ribadire altresì che, ai fini del vaglio dell’ottemperanza all’obbligo di specificare le ‹‹parti›› del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, in ossequio al principio della tassatività delle cause di esclusione –oggi sancito dall’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006, aggiunto dall’art. 4, comma 2, lett. d), n. 2), d.l. 13.05.2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito dalla l. 12.07.2011, n. 106– dovrà seguirsi un approccio ermeneutico di natura sostanzialistica che valorizzi il dato teleologico del raggiungimento dello scopo della norma senza che assuma rilievo dirimente il profilo estrinseco del modo in cui siffatta esigenza sia soddisfatta.

L’obbligo dovrà allora ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini schiettamente descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione quantitativa, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle rammentate finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell’offerta ed a consentire l’individuazione dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate (Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza 05.07.2012 n. 26).