domenica 27 gennaio 2013

LINEE GUIDA CONCERNENTI LA COMUNICAZIONE ALLA STAZIONE APPALTANTE DEGLI ACCERTAMENTI ANTIMAFIA EFFETTUATI


 Il d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, pubblicato nella G.U.R.I. del 13 dicembre 2012, ha recato una serie di disposizioni correttive e integrative della disciplina della documentazione antimafia, contenuta nel Libro II del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (nel prosieguo anche «Codice antimafia»), stabilendone l'entrata in vigore a decorrere dal 12 febbraio 2013 (cfr. il novellato art. 119, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011) e sancendo, a decorrere dallo stesso termine, l'abrogazione del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490, nonché del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252Tra le altre novità introdotte, il citato decreto «correttivo» ha espunto dalle norme destinate ad essere soppresse anche l'art. 1-septies del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726.
Si tratta di una disposizione che, come è noto, dopo la cessazione dell'Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa (1), attribuisce al Ministro dell'Interno, che ne ha delegato l'esercizio ai Prefetti (2) , il potere di comunicare, alle altre Amministrazioni, elementi di fatto e altre indicazioni utili ai fini della valutazione, nei limiti della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio o il rinnovo di licenze ed altri atti ampliativi in alcuni settori considerati «sensibili» (armi ed esplosivi, albi e pubblici registri ivi compresi quelli per l'autotrasporto ecc.). 
La norma era stata «importata» nel sistema della documentazione antimafia dall'art. 10, comma 9, del citato d.P.R. n. 252/1998, consentendo ai Prefetti di comunicare alle stazioni appaltanti situazioni suscettibili di valutazione discrezionale, anche in quei casi in cui non siano stati accertati tentativi di infiltrazione mafiosa. 
Tali comunicazioni si sono sostanziate in quel tertium genus costituito dalle cd. «informazioni atipiche» o «supplementari», strumento al quale si è fatto un crescente ricorso. Ciò è accaduto anche in virtù della valorizzazione che di questo strumento hanno fatto i protocolli di legalità stipulati per attivare sistemi di prevenzione dei fenomeni di illegalità (non soltanto di matrice mafiosa) nel processo di realizzazione di opere pubbliche di rilevante entità, a cominciare da quelle inserite nel Piano Infrastrutture Strategiche (PIS) oggetto di monitoraggio da parte del Comitato. Tali intese collaborative contengono, infatti, clausole, destinate ad essere riprodotte nei contratti di appalto e nei discendenti sub-contratti, che consentono alle stazioni appaltanti di risolvere i negozi stipulati con imprese nei cui confronti la Prefettura abbia adottato informazioni atipiche, all'esito di una valutazione circa la rilevanza degli elementi partecipati ai fini della prosecuzione del rapporto.
Va anche, tuttavia, preso atto, come nel tempo si sia fatto un uso ridondante o improprio delle informazioni atipiche. Infatti, da un lato si è ricorso a tale strumento per segnalare situazioni che non avevano una significatività precisa riguardo al profilo del soggetto imprenditoriale, e che fossero in grado, quindi, di farne apprezzare la sua possibile inaffidabilità (mettendo in guardia, per così dire, la pubblica amministrazione destinataria dell'informazione), limitandosi, invece, a partecipare elementi conoscitivi scarsamente rilevanti o poco influenti; dall'altro, l'uso delle «atipiche» ha corrisposto ad un criterio fin troppo prudenziale, laddove gli elementi avrebbero potuto, soprattutto se corroborati da ulteriori approfondimenti e riscontri, giustificare l'adozione di un informazione tipica, cioè direttamente interdittiva. E' anche da dire che questa linea comportamentale è stata indotta da una certa preoccupazione di non tralasciare la veicolazione di elementi che venivano, per una qualche ragione, considerati comunque significativi e che sarebbero andati «dispersi» con l'adozione di una mera «liberatoria»; sicché si può convenire sul fatto che le «atipiche» abbiano rappresentato, in determinate situazioni, una sorta di «protesi» a cui si è ricorso soprattutto quando ci si è imbattuti nella cosiddetta area grigia. Non è estraneo a questa dinamica l'andamento oscillante della giurisprudenza amministrativa, che, specie in materia di legami familiari e di frequentazioni a rischio, non sempre ha ritenuto che tali circostanze o situazioni, sia pure consolidate e documentate, fossero sintomatiche ex se del tentativo di infiltrazione, determinando, conseguentemente, una «fuga» verso le «atipiche».
Il codice antimafia, come anche il nuovo «correttivo», non vengono meno all'impostazione secondo cui l'esito degli accertamenti antimafia riconducibili alla disciplina delle informazioni non può che avere un esito binario, nel senso che si potrà concludere o con il rilascio di una liberatoria ovvero con un'interdittiva, riportando a maggiore certezza il sistema stesso nel suo esito saliente. Ciò che si è detto sarà tanto più evidente quando il rilascio delle informazioni avverrà attraverso il collegamento alla banca dati unica nazionale (il cui funzionamento, non a caso, ha trovato nel «correttivo» opportune precisazioni: si vedano, in particolare, gliarticoli 4 e 5 del citato d.lgs. n. 218/2012), concepita, appunto, come strumento deputato a indicare, in tempo reale, se sussistano o meno ostatività, a carico di uno dei soggetti censiti in banca dati, al rilascio di una liberatoria. 

Le evenienze dubbie, per le quali cioè non è possibile esprimere un giudizio prognostico sfavorevole, non potranno dare adito all'adozione di un'informazione «atipica». Piuttosto la sequenza corretta sarà quella di avviare una fase di approfondimento ulteriore che potrà confluire nell'adozione di un'informazione interdittiva eventualmente anche per la ricorrenza delle circostanze di cui all'articolo 91, comma 6, del codice
Quest'ultima disposizione, infatti, dà la massima evidenza, attraendole senz'altro nell'orbita delle informazioni interdittive, a quelle situazioni tipiche dell'area grigia, rafforzando, a ben guardare, le finalità prevenzionistiche dell'istituto. Saranno infatti pienamente riconducibili alla sfera dell'ostatività pura e semplice situazioni border line, come dimostrano le stesse espressioni lessicali utilizzate dalla norma per definire il grado di compromissione dell'impresa e il suo contributo agevolativo ad attività criminose (peraltro, la disposizione in commento appare fortemente orientata a recepire e positivizzare alcune pronunce giurisprudenziali più rigorose).
Nel nuovo panorama che si va delineando, l'articolo 1-septies può allora considerarsi restituito alla sua originaria dimensione collaborativa, nella quale le esigenze di documentazione antimafia, con i relativi corollari, restano escluse in favore di una corretta veicolazione da parte del prefetto di quegli elementi informativi rilevanti ai soli fini della prosecuzione di un'attività imprenditoriale soggetta a controllo pubblico. Il procedimento di emissione della documentazione antimafia diventa uno dei possibili «luoghi» dell'azione del prefetto in cui possono emergere situazioni meritevoli di segnalazione alle autorità competenti, con la differenza che, a breve, esse saranno esclusivamente coincidenti con quelle a cui vengono affidate funzioni di controllo su attività economico-produttive, e non più con le amministrazioni pubbliche aggiudicatrici o affidatarie di contratti pubblici (cioè con le stazioni appaltanti).
Lo strumento delle informazioni atipiche è destinato a venire meno a decorrere dal 12 febbraio 2013, data che, con l'integrale entrata in vigore del Libro II del Codice Antimafia, segnerà l'uscita di scena dell'articolo 10, comma 9, del d.P.R. n. 252/1998, il quale, come precisato, attraeva nel sistema della certificazione antimafia il ricordato articolo 1-septies

In questa fase transitoria l'adozione delle informazioni atipiche resta ancorata ai rigorosi canoni giurisprudenziali, secondo i quali (Cons. Stato, sezione IV 1° marzo 2001, n. 1148, nello stesso senso, Cons. Stato, sezione VI, 17 aprile 2009, n. 2336) i provvedimenti in questione sono prioritariamente rivolti a portare all'attenzione della stazione appaltante situazioni che inducono a ritenere un pericolo di condizionamento della criminalità organizzata, pur se nelle informative stesse si affermi o si dia atto che gli elementi acquisiti non consentono, allo stato, una valutazione certa con riguardo al giudizio probabilistico circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
Si possono considerare come rientranti nella casistica corretta, quelle evenienze in cui gli elementi emersi non denotano con sufficiente evidenza indiziaria l'esistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa, e, pur tuttavia, rappresentano un sintomo negativo di affidabilità dell'impresa alla luce di una serie di considerazioni basate comunque su elementi di fatto (Cons. Stato, sezione V, 31 dicembre 2007, n. 6902) e non su mere congetture o semplici sospetti. A mero titolo di esempio, sono per costante giurisprudenza riconducibili a tale stregua situazioni in cui non è possibile ragionevolmente fugare il rischio dell'esistenza di una permeabilità dell'operatore economico o di sue cointeressenze, societarie o gestionali, con esponenti della criminalità o con persone con essa colluse (vedasi TAR Campania Napoli, sezione I 23 gennaio 2007, n. 596 e 9 luglio 2007, n. 6591).

(1) Avvenuta per effetto del D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 345. 
(2) Con D.M. 1. Gennaio 1993.

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