venerdì 8 novembre 2019

SUBAPPALTO - FAQ 4


4 – il ricorso al subappalto inficia la lotta alla criminalità organizzata? No, non la inficia.

La criminalità organizzata, se vuole, come sempre è avvenuto e non solo nel tempo attuale ma da sempre, si insinua e può condizionare qualunque attività, sia nel settore pubblico che nel settore privato. Ma la lotta alla criminalità organizzata è compito degli organi di polizia e della magistratura e non certamente degli ingegneri o dei RUP o dei Dirigenti delle stazioni appaltanti, ai quali spetta unicamente l’applicazione della normativa vigente in materia.
Esiste una normativa specifica, il D. Lgs. 159 del 6/9/2011 contenente il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia” e il D.Lgs. n.136 del 13/8/2010.
Chi opera nel settore dei lavori pubblici sa che deve attenersi semplicemente a quanto riportato dalla comunicazione antimafia e dalla informazione antimafia o accertarsi che l’impresa sia iscritta nella White List della Prefettura competente. Non c’è alcuna facoltà discrezionale da parte della pubblica amministrazione.
Negli Enti pubblici va anche applicato quanto stabilito dalla legge n. 190 del 6/11/2012 su “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
 
Il governo italiano, come ricordato nella sentenza sopracitata, ha fatto presente che i controlli di verifica che l’amministrazione aggiudicatrice deve effettuare in forza del diritto nazionale sarebbero inefficaci. Una motivazione davvero debole per non dire puerile: quasi una confessione di incapacità ad organizzare gli strumenti di verifica da parte dello Stato. Del resto, nella sentenza, si evidenzia che “anche supponendo che una restrizione quantitativa al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella [prevista nella normativa italiana] eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”.
Sarebbe come se, poiché i batteri possono contaminare le sale operatorie degli ospedali, decidessimo di ridurre il numero degli interventi chirurgici e quindi lasciare morire le persone.

La Commissione UE ha sottolineato che misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano, come quelle previste dall’art.71 della direttiva 2014/24, richiamate al punto 29 della sentenza e già previste nella normativa italiana. Inoltre, sottolinea la sentenza sulla base di quanto evidenziato dal TAR per la Lombardia, “il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”.

Alessandro Barbano, nel suo ultimo saggio “Le dieci bugie” (ed.Mondadori - da pag. 162 a pag. 168), ha ben descritto come persista un paradosso tutto italiano: “L’Antimafia in Italia è un’emergenza permanente che si è fatta istituzione. E l’emergenza istituzionalizzata giustifica l’istituzione emergenziale”.

Tutti si rendono conto che le restrizioni al subappalto non sono sostenibili con tali giustificazioni, come peraltro evidenziato anche dagli organi UE. Forse nessun politico ha il coraggio di prenderne atto e proporre la modifica della normativa vigente perché quando si tocca questo argomento si rischia l’accusa, da parte “dell’apparato politico-giudiziario-investigativo-legislativo-burocratico-sociale e mediatico”, di favoreggiamento della mafia?

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