lunedì 7 dicembre 2020

QUINTO D'OBBLIGO ART. 106

 

Le varianti disposte dalla stazione appaltante nell'ambito del c.d. quinto d'obbligo devono derivare da circostanze imprevedibili e sopravvenute, emerse nel corso dell'esecuzione del contratto. Ne consegue che non può considerarsi legittimo ricorrere a questo istituto per rimediare a errori originari compiuti dall'ente appaltante in sede di determinazione dei propri fabbisogni o al fine di eludere gli obblighi di evidenza pubblica per l'affidamento delle prestazioni. Si è espresso in questi termini il Tar Campania, Sez. V, 27 novembre 2020, n. 5595, con una pronuncia che offre spunti interessanti anche per meglio inquadrare la complessa disciplina sulle varianti in corso d'opera contenuta nell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016.

Dal punto di vista sostanziale la controversia riguarda l'affidamento di prestazioni ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in presunta violazione delle regole sull'evidenza pubblica. 

Non è stata accolta l’eccezione secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo attiene allo jus variandi, e quindi sarebbe tipico della fase esecutiva, cioè della fase successiva alla stipulazione del contratto, di conseguenza, in base al tradizionale riparto di giurisdizione secondo cui il giudice amministrativo è competente per tutte le controversie che attengono alla procedura di gara e trova un limite alla sua competenza nell'avvenuta stipulazione del contratto.

Tale istituto, da sempre conosciuto nell'ordinamento dei contratti pubblici, trova oggi regolamentazione nel comma 12 dell'articolo 106 del D.lgs. 50/2016. Questa disposizione consente all'ente appaltante di imporre all'appaltatore un aumento o una diminuzione delle prestazioni nel limite del quinto dell'importo del contratto originario (appunto il quinto d'obbligo) in relazione a necessità sorte nel corso dell'esecuzione del contratto. Tali prestazioni aggiuntive devono essere eseguite dall'appaltatore alle stesse condizioni previste nel contratto originario.

Si tratta di una particolare forma di jus variandi, che consente all'ente appaltante di aumentare o diminuire le prestazioni nel limite del 20% dell'importo del contratto originario, e che ha la peculiare caratteristica che l'appaltatore, entro il suddetto limite, non può apporre alcun rifiuto, essendo tenuto a eseguire le prestazioni aggiuntive (o a subire una diminuzione delle stesse) alle medesime condizioni previste nel contratto originario.

Il TAR ricorda preliminarmente che lo ius variandi relativo al quinto d'obbligo riconosciuto all'ente appaltante nei termini indicati assume natura derogatoria in primo luogo rispetto alla disposizione di carattere generale di cui all'articolo 1372 codice civile, secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti. In questo caso, infatti, si riconosce a uno dei due contraenti – l'ente appaltante – la facoltà di modificare unilateralmente uno degli elementi essenziali del contratto, e cioè la quantità delle prestazioni da rendere.

La previsione sul quinto d'obbligo si pone anche come eccezione alla regola generale secondo cui i committenti pubblici devono affidare le prestazioni da acquisire tramite procedura a evidenza pubblica. Le prestazioni aggiuntive, nei limiti del quinto dell'importo del contratto originario, vengono infatti affidate all'appaltatore al di fuori di ogni procedura concorrenziale.

La natura derogatoria della previsione in esame, porta a ritenere che quest'ultima debba considerarsi di stretta interpretazione, nel senso che non può trovare applicazione oltre i limiti tassativi individuati dalla stessa, e si afferma pertanto il principio secondo cui l'istituto del quinto d'obbligo può essere legittimamente utilizzato solo a fronte di circostanze imprevedibili e sopravvenute sorte nel corso dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali.

Al contrario, è da ritenersi assolutamente precluso il ricorso a questo istituto per rimedire ad errori originari compiuti dall'ente appaltante in sede di valutazione dei propri fabbisogni quantitativi ovvero – in termini ancora più critici – per eludere le norme che impongono il ricorso a procedure a evidenza pubblica per l'affidamento delle prestazioni.

In merito alla disciplina generale delle varianti, di cui all'articolo 106 del D.lgs. 50, occorre considerare che i commi 1 e 2 di tale articolo individuano le ipotesi in cui è consentito introdurre varianti ai contratti in corso di esecuzione, definendo nel dettaglio le specifiche condizioni, in relazione a ognuna delle ipotesi elencate, che devono ricorrere affinché l'introduzione sia legittima.

Nel contempo, il comma 12 consente all'ente appaltante di esercitare lo ius variandi nei limiti del quinto d'obbligo. Si deve ritenere che quest'ultima previsione abbia una valenza autonoma, nel senso che il ricorso alle varianti nell'ambito del quinto d'obbligo prescinde dal ricorso delle condizioni indicate dai commi 1 e 2.

In altri termini, l'ente appaltante potrà disporre le varianti nei limiti del quinto dell'importo del contratto originario a prescindere dall'esistenza delle condizioni cui le disposizioni dell'articolo 106 subordinano, in termini generali, la possibilità di introdurre varianti. Resta tuttavia fermo il principio generale secondo cui anche le varianti disposte nell'ambito del quinto d'obbligo devono trovare giustificazione in eventi sopravvenuti e imprevedibili emersi come tali nella fase di esecuzione del contratto e che non erano conosciuti o conoscibili in fase di predisposizione della documentazione di gara.

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