domenica 1 febbraio 2015

TARIFFA PROFESSIONALE



La regola deontologica secondo cui a garanzia della qualità delle prestazioni il geologo deve sempre commisurare il compenso al decoro professionale, è restrittiva della concorrenza e non può essere considerata necessaria al perseguimento di legittimi obiettivi collegati alla tutela del consumatore.
Lo ha stabilito la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 238/2015 depositata il 22 gennaio, e nata da un ricorso dell'Ordine degli ingegneri contro le sanzioni irrogate dall'Antitrust per avere l'Ordine adottato il parametro del decoro per la determinazione delle tariffe professionali. 
Della questione era stata investita anche la Corte di Giustizia europea, che con la sentenza 18 luglio 2013, C-136/12 ha affermato che “le regole deontologiche che indicano come criteri di commisurazione delle parcelle del professionista la dignità della professione nonché la qualità e l’importanza della prestazione sono idonee a produrre effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno”. Tuttavia la Corte Ue ha demandato al giudice del rinvio il compito di valutare, alla luce del contesto globale nel quale il codice deontologico dispiega i suoi effetti, compreso l’ordinamento giuridico nazionale nonché la prassi applicativa di tale predetto codice da parte dell’Ordine nazionale dei geologi, se vi sia un effetto restrittivo della concorrenza nel mercato interno.
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO. Nella sentenza depositata il 22 gennaio 2015, il CdS ricorda che, nel corso dell’indagine conoscitiva svolta dall’Antitrust per valutare lo stato di recepimento dei principi della concorrenza nei codici deontologici a seguito della c.d. legge Bersani, è emerso che “secondo la prospettiva ordinistica, un prezzo inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per la professione” (par. 57). E’ emerso, quindi, che l’obbligo contenuto nei codici deontologici di rispettare il decoro della professione nella determinazione del compenso induca di fatto, e per prassi consolidata, gli iscritti a ritenere vincolanti le tariffe professionali.
In altri termini, l’obbligo di commisurare il compenso al decoro professionale si traduce, nella prassi, in una surrettizia reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così l’abolizione degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27), con i conseguenti effetti restrittivi della concorrenza.
I geologi, infatti, in virtù della suddetta regola deontologica si troverebbero obbligati a commisurare i compensi ai minimi tariffari, rischiando, altrimenti, l’irrogazione di sanzioni disciplinari da parte dell’Ordine di appartenenza.
Secondo il Consiglio di Stato non si può ritenere che tale regola deontologica (e il collegato effetto restrittivo della concorrenza che ne deriva) sia necessaria per garantire l’obiettivo della tutela del consumatore, assicurandogli una prestazione di qualità.
Infatti, il fine di tutelare il consumatore viene adeguatamente perseguito dall’ordinamento nazionale tramite altri strumenti, che trovano il loro principale ambito di applicazione nella disciplina del singolo rapporto tra professionista e cliente, e si traducono nella previsione di rimedi civilistici, la cui piena operatività non richiede l’attribuzione di alcun potere di vigilanza all’Ordine professionale.
Parimenti, non si può ritenere che la regola deontologica che impone di praticare compensi commisurati al decoro della professione possa trovare una copertura normativa nell’art. 2233, comma 2 del Codice Civile che, occupandosi del contratto d’opera intellettuale, prevede espressamente che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
Tale norma si indirizza, infatti, al singolo professionista, disciplinando i suoi rapporti con il cliente nell’ambito del singolo rapporto contrattuale, senza attribuire alcun potere di vigilanza agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri iscritti.
Sotto questo profilo, quindi, secondo il Consiglio di Stato va pienamente condivisa la posizione dell’AGCM, secondo cui la citata disposizione del codice civile non attribuisce all’Ordine alcun potere, né tanto meno alcun dovere di vigilare sul comportamento dei propri iscritti nella determinazione del compenso, non potendo quindi l’Ordine controllare che il compenso liberamente pattuito sia comunque adeguato al decoro della professione.
Pertanto, il CdS ha respinto l’appello proposto dal CNG e ha invece accolto l’appello proposto dall’AGCM, volto a contestare il parere del Tar secondo il quale l’Autorità non avrebbe fornito elementi sufficienti a provare la tesi per cui l’aver fatto riferimento alla dignità della professione come uno degli elementi da prendere in considerazione nella commisurazione delle parcelle dei geologi implicasse il carattere obbligatorio della tariffa professionale.

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