Vedi la sentenza del
Consiglio di Stato Sez. III del 15.9.2016 n. 3889
"In
materia di informativa antimafia trovano applicazione i seguenti principi (cfr.
Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):
-
l´informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del
d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che
l´attività d´impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività
criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
-
quanto alla ratio dell´istituto, si tratta di una misura volta - ad un tempo -
alla salvaguardia dell´ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra
le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l´interdittiva
antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di
adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia
delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere
titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli
altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
-
ai fini dell´adozione del provvedimento, rileva il complesso degli elementi
concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ´parcellizzata´ di un
singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi
la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
-
è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di
provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di
certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno
- occorre l´accertamento di responsabilità penali, quali il ‘concorso esterno’
o la commissione di reati aggravati ai sensi dell´art. 7 della legge n. 203 del
1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria
dell´informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di
punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
-
il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del
più ‘probabile che non’, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può
essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall´osservazione dei
fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
-
pertanto, gli elementi posti a base dell´informativa possono essere anche non
penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi
penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del
giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
-
quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori
generali dell´impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici,
contigui alle associazioni mafiose, l´Amministrazione può dare loro rilievo
laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre
caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del ‘più probabile che
non’, che l´impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di
diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero
che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche
indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla
mafia mediante il contatto col proprio congiunto;
-
nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all´interno della
famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono
sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di
soggezione o di tolleranza; - una tale influenza può essere desunta non dalla
considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi
costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch´egli mafioso, ma per la
doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della
mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare,
sul nucleo fondante della ´famiglia´, sicché in una ´famiglia´ mafiosa anche il
soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente,
l´influenza del ´capofamiglia´ e dell´associazione;
-
hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente
esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi
economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo
a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo
l´Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l´esistenza - su un´area
più o meno estesa - del controllo di una ´famiglia´ e del sostanziale
coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere
proprie fonti legittime di reddito).
-
non è richiesta la prova dell´attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi
solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile - secondo il
principio del ‘più probabile che non’ - il tentativo di ingerenza, o una
concreta verosimiglianza dell´ipotesi di condizionamento sulla società da parte
di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell´attualità e concretezza
del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012, n. 4708; Cons. Stato n.
3057/10; 1559/10; 3491/09);
-
la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del
Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall´utilizzo
di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la
possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non
impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o
meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità
e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni
che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. Stato, n. 5130 del 2011; Cons. Stato, n.
2783 del 2004; Cons. Stato, n. 4135 del 2006);
-
l´ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di
infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede
giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e
travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla
legittimità dell´informativa antimafia rimane estraneo l´accertamento dei
fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (in termini,
Cons. Stato, n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di
ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata
al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua
logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, n. 7260
del 2010)."
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