martedì 2 ottobre 2012

VARIANTI IN CORSO D'OPERA


L’istituto delle varianti in corso d’opera è disciplinato dall’art. 132 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale sono disciplinate le condizioni perché siano ritenute ammissibili modifiche progettuali che si rendano evidenti e necessarie nel corso dell’esecuzione contrattuale dei lavori pubblici. L’articolo menzionato afferma che, sentito il progettista e il direttore dei lavori, possono essere ammesse varianti in corso d’opera esclusivamente qualora ricorrano i motivi di cui al co. 1, lett. a) – e). 
In tal senso, sono considerate ammissibili varianti giustificate da: a) non prevedibili sopravvenienze derivanti da disposizioni legislative (jus superveniens); b) cause impreviste e imprevedibili da accertarsi nei modi stabiliti dal regolamento o sopravvenute acquisizioni tecniche (intervenuta possibilità di utilizzo di materiali, componenti) e tecnologiche (tecnologie non esistenti al momento della progettazione) idonee a procurare sensibili miglioramenti all’opera, senza aumento dei costi e alterazione dell’impostazione progettuale; c) necessità derivante da peculiarità dei beni su cui si interviene (ipotesi tipica: rinvenimento geologico che importa impreviste modalità di lavorazione); d) casi previsti dall’art. 1664, co. 2, codice civile, i.e. sopravvenienza geologica, idrica o simili; e) manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione.
Accanto alle suddette ipotesi, integranti varianti in corso d’opera, il Codice dei contratti pubblici precisa e descrive, con espressa disposizione (art. 132, comma 3), due ulteriori tipologie di modifiche ammesse in fase esecutiva. Tra queste rientrano, in primo luogo, le modificazioni di dettaglio che, in quanto tali, sono disposte dal solo direttore dei lavori (art. 132, comma 3, primo periodo) – c.d. varianti non varianti; e, in secondo luogo, le modifiche, in aumento o in diminuzione, “finalizzate al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto” – c.d. varianti migliorative. In relazione a tali modifiche, l’importo in aumento “non può superare il 5 per cento dell'importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l'esecuzione dell'opera” con l’ulteriore precisazione: “al netto del 50 per cento dei ribassi d’asta conseguiti”, aggiunta dal recente D.L. 13 maggio 2011, n. 70. Nel secondo caso, occorre constatare che si tratta di vere e proprie varianti, sotto il profilo oggettivo, le quali, pertanto, a differenza delle modificazioni di dettaglio menzionate al primo periodo del medesimo comma 3, devono essere approvate dall’amministrazione appaltante, sentito il direttore dei lavori ed il progettista. Tali varianti, inoltre, sono da ritenersi ammissibili in quanto (e soltanto se) finalizzate all'esclusivo interesse dell’amministrazione e tese al miglioramento dell'opera e alla sua funzionalità; possono, in ogni caso, essere giustificate soltanto da circostanze sopravvenute ed imprevedibili al momento della stipula del contratto e debbono, ove in aumento, comportare un incremento contrattuale non superiore al già indicato limite di cui all’art. 132, comma 3, ultimo periodo.
In generale, il carattere sostanziale delle varianti implica che le stesse determinino la realizzazione di un’opera diversa. In merito può osservarsi che per aspetti specifici delle costruzioni, quali quelli urbanistici di verifica delle strutture, le norme (nazionali o regionali) forniscono definizioni espresse e criteri certi circa il significato di “variante sostanziale”, puntualmente indicando quelle modifiche progettuali che, ove realizzate, richiedono una nuova procedura autorizzatoria (art. 32, lett. c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). 
Di contro, nella disciplina dei contratti pubblici, si constata l’assenza di una precisa definizione normativa, che possa identificare tale requisito in modo univoco e con la Determinazione 11 gennaio 2001, n. 1, l’Autorità, riferendosi a varianti su interventi di competenza dell’A.N.A.S., relativi a modifiche a piani regolatori, ha implicitamente precisato come le definizioni fornite per varianti sostanziali in altri ambiti (quale quello urbanistico) non siano estendibili ad aspetti riguardanti le varianti in corso d’opera nei lavori pubblici.
Pertanto, fermo restando che la variante deve necessariamente avere carattere accessorio rispetto all’opera progettata e contrattualmente stabilita, in quanto – in caso contrario – si è in presenza non già di una modificazione del progetto, ma di un nuovo contratto (Determinazione 1/2001, cit.), la connotazione di “sostanzialità” o meno di una variante nel settore dei contratti pubblici deve essere determinata caso per caso, con riferimento alle modifiche intervenute, alla natura delle lavorazioni e all'incidenza delle stesse sul progetto originario, nonché ai costi ed ai tempi della modifica. Parere dell’AVCP del 9 giugno 2011

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