mercoledì 16 ottobre 2013

RISARCIMENTO IN MATERIA D'APPALTI

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 3 settembre 2013 n. 4376
1.  La comune ascrizione dell'illecito commesso dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe alla ricorrente l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio patrimoniale e alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del provvedimento illegittimo) la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela non semplice.
A fronte, infatti, della mancata aggiudicazione di un appalto risulta estremamente arduo definire l'esatto ammontare della perdita economica patita dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante.
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
2.  Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici non facilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
Perché sia ritualmente assolto l'onere della prova, è necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.
2.1 Il criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.
2.2 Quanto alla perdita di “chance” dipendente dal mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ed al  danno curricolare, la giurisprudenza insegna che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé, e ai relativi ricavi diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al suo radicamento nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo si siano rese aggiudicatarie.
2.3 Per tali ragioni è reputato quindi risarcibile esso danno curriculare, che costituisce una specificazione del danno per perdita di “chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale,
2.4 Quanto alla richiesta di interessi e rivalutazione la Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

Estratto della Sentenza per esteso
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La comune ascrizione dell'illecito commesso dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe ad essa ricorrente l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio patrimoniale e alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del provvedimento illegittimo) la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela non semplice.
A fronte, infatti, della mancata aggiudicazione di un appalto risulta estremamente arduo definire l'esatto ammontare della perdita economica patita dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un'occasione di guadagno o, comunque, di un'utilità economica connessa all'adozione o all'esecuzione del provvedimento illegittimo.
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici non facilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
Si tratta di presunzioni semplici che indicano, secondo la comune esperienza, parametri valutativi sufficientemente puntuali dell'entità della perdita economica patita dal privato per effetto dell'adozione dell'atto illegittimo ovvero della colpevole inerzia dell'amministrazione.
Perché sia ritualmente assolto l'onere della prova, è, quindi, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.
4.- Tanto premesso, quanto alla richiesta di ristoro del danno emergente per le spese generali della azienda, quantificato dalla parte ricorrente in € 30.840,89, e per spese di partecipazione alla gara, quantificato da essa parte in € 42.761,00, la Sezione osserva quanto segue.
4.1.- Non sono risarcibili le spese generali ed i costi di immobilizzo della struttura aziendale. Nel caso di azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione, il danno relativo alle spese sostenute dal danneggiato non può che avere ad oggetto le voci strettamente afferenti alla partecipazione alla gara di appalto, con esclusione quindi di ulteriori e diversi elementi quali, ad esempio, il mantenimento della struttura aziendale.
Le spese sostenute per la retribuzione del personale dipendente all'interno della società e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale non debbono invero essere risarcite perché tali spese sarebbero state ugualmente sostenute, anche a prescindere dalla partecipazione alla gara di cui trattasi; né è stata fornita piena prova del danno che sia derivato alla ricorrente per l’attività svolta dal personale al riguardo per essere stato distolto da altre attività di spettanza.
4.2.- Quanto alla domanda di condanna al risarcimento del danno emergente relativo alle spese per la partecipazione alla gara, va osservato che il risarcimento per equivalente dell'interesse positivo e del relativo lucro che l'impresa avrebbe tratto dall'aggiudicazione della gara a suo favore resta in radice incompatibile con la risarcibilità dell'interesse negativo a non essere coinvolto in inutili e dispendiose attività partecipative.
Infatti, la partecipazione alla gara implica oneri che restano comunque a carico del soggetto che abbia inteso prendere parte a una procedura di selezione, con la conseguenza che, nel caso in cui il ricorrente opponga in giudizio proprio la sua fruttuosa partecipazione, per reclamare le utilità economiche che la stazione appaltante gli avrebbe ingiustamente negato mediante illegittima posposizione in graduatoria, è precluso poi allo stesso ricorrente di invocare il rimborso di quelle spese partecipative che costituiscono il presupposto fondante della sua stessa richiesta risarcitoria, basata per l'appunto sulle utilità economiche da mancata aggiudicazione.
Tali costi di partecipazione, nell'ipotesi in cui l'impresa benefici del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione), non possono essere risarciti per equivalente, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione medesima.
In conclusione le spese sostenute per la partecipazione alla gara dall'impresa non risultata aggiudicataria non sono risarcibili, trattandosi di voci di costo che sarebbero comunque state sostenute dall'instante anche in caso di aggiudicazione o di mancata aggiudicazione (Cons. Stato: Sez. III, 7 marzo 2013, n.1381; Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681) del servizio; per cui le stesse devono ritenersi incorporate nella differenza tra ricavi e costi, all'esito del quale si ottiene l'utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio di Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2258).
5.- Quanto alla richiesta di lucro cessante, ex art. 1223 del c.c., per mancato incasso dell’utile derivante dalla esecuzione della commessa, quantificato dalla attuale ricorrente in € 198.616,68 (pari al 10% della offerta formulata), la Sezione osserva quanto segue.
5.1.- Occorre, innanzi tutto, distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza dell'appalto all'impresa danneggiata risulta nel caso di specie configurabile perché la ricorrente era risultata aggiudicataria provvisoria dell’appalto e la somma commisurata all'utile d'impresa non deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
Non può tuttavia convenirsi con le richieste di cui al ricorso, quanto all’applicazione automatica del criterio equitativo del 10%, desunto in via analogica dall’art. 345 della l. n.2248/1865, all. F, con riferimento ad un'ipotesi (quella del recesso “ad nutum” della stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto), sia considerato che il criterio di liquidazione del danno in via forfettaria ed automatica, previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a fattispecie diverse da quella rispetto alla quale è espressamente contemplato e sia considerato che in questo modo si introdurrebbe una forma di indennizzo predeterminato che contrasta con i principi probatori al riguardo (Cons. Stato, Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
Il richiamato criterio del 10% non può quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.
Appare anche utile richiamare al riguardo la conclusione giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno e nelle gare di appalto l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative; per cui non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d'impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.).
In conclusione, considerate le circostanze e tenuto conto sia del fatto che non è stata data dimostrazione da parte del danneggiato dell’impossibilità di utilizzare diversamente gli strumenti d’impresa e sia del fatto che quella che viene in considerazione è, comunque, una semplice “chance” contrattuale (sia pure significativa, essendo la ricorrente, a suo tempo, risultata aggiudicataria provvisoria) e non un contratto alternativo definito e dunque definitivamente "certo", appare equo e ragionevole decurtare del 50% la somma pari al 10 % dell’offerta della ricorrente (il cui ammontare, sommate le spese per la sicurezza di € 77.597,99, sarebbe stato di € 1.986.176,70), che risulta, quindi, essere quella di € 99.308,83 il cui pagamento viene liquidato a favore della attuale ricorrente e posto a carico del Comune di Faicchio.
6.- Quanto al danno curriculare richiesto per depauperamento delle capacità tecniche ed economiche della impresa e quantificato dalla attuale parte ricorrente in € 139.963,31, va osservato quanto segue.
6.1.- E’ necessario ristorare detta ricorrente, come da domanda, non solo per la perdita di “chance” dipendente dal mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ma anche a titolo di danno curricolare.
Sotto questo profilo la giurisprudenza insegna, difatti, che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé, e ai relativi ricavi diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al suo radicamento nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo si siano rese aggiudicatarie.
Per tali ragioni è reputato quindi risarcibile esso danno curriculare, che costituisce una specificazione del danno per perdita di “chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato arricchimento del proprio "curriculum" professionale, per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell'Amministrazione, laddove l'aggiornamento curriculare perduto avrebbe fatto conseguire all'impresa un vantaggio economicamente valutabile, poiché ne avrebbe accresciuto la capacità di competere sul mercato e, quindi, la possibilità di aggiudicarsi ulteriori commesse.
L'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto può pertanto rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum” professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare (Cons. St., VI, 9 giugno 2008, n. 2751 e 18 marzo 2011, n. 1681).
In conclusione, va a tale titolo corrisposto alla attuale ricorrente, a fini risarcitori per il titolo che interessa, un importo complessivo che si determina, equitativamente ed onnicomprensivamente, nella misura del 2,50% dell'importo del contratto che avrebbe dovuto essere sottoscritto (pari ad € 1.986.176,70) che risulta quindi essere quella di € 49.654,41.
7.- Quanto alla richiesta di interessi e rivalutazione la Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
Pertanto, occorre operare la rivalutazione del credito secondo valori monetari correnti e computare gli interessi calcolati dalla data del fatto, non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 n. 1833).

8.- Il ricorso deve essere conclusivamente accolto in parte nei termini e nei limiti di cui in motivazione.”

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