Consiglio di Stato, Sez.
V, sentenza 3 settembre 2013 n. 4376
1. La comune ascrizione dell'illecito commesso
dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo schema
della responsabilità extracontrattuale implica che incombe alla ricorrente
l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio patrimoniale e
alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del provvedimento illegittimo)
la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo prevalente formatosi in seno
alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può limitarsi ad addurre
l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del
principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza
dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a compiere l'ulteriore
sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede
il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici
dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali
la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela
non semplice.
A fronte, infatti, della mancata aggiudicazione di un appalto risulta
estremamente arduo definire l'esatto ammontare della perdita economica patita
dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di rammentare che il pregiudizio risarcibile
si compone, secondo la definizione offerta dall'art. 1223 c.c., del danno
emergente e del lucro cessante.
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari
problemi nell'assolvimento dell'onere della prova (è sufficiente documentare le
spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa,
rilevanti difficoltà.
2. Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato
deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione
per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che
avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o
eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole
complessità, attenendo a profili prognostici non facilmente apprezzabili nella
loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di criteri presuntivi
di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative
di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
Perché sia ritualmente assolto l'onere della prova, è necessario che il
ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui
base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del
danno.
2.1 Il criterio del 10% non può quindi essere oggetto di
applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza
di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà
di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio
patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso
di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore
del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto
altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale
dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente
riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale
ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l'
“aliunde perceptum vel percipiendum”.
2.2 Quanto alla perdita di “chance” dipendente
dal mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ed
al danno curricolare, la giurisprudenza insegna che
l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre
l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé, e ai relativi ricavi
diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si
ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al suo radicamento
nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino
nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo si siano rese
aggiudicatarie.
2.3 Per tali ragioni è reputato quindi risarcibile esso danno
curriculare, che costituisce una specificazione del danno per perdita di
“chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a causa del mancato
arricchimento del proprio "curriculum" professionale,
2.4 Quanto alla richiesta di interessi e rivalutazione la
Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di risarcimento del
danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli
interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del
verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata
tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di
risarcimento del danno.
Estratto della Sentenza per esteso
“…………………
La comune ascrizione dell'illecito
commesso dall'amministrazione nell'esercizio dell'attività provvedimentale allo
schema della responsabilità extracontrattuale implica che incombe ad essa
ricorrente l'onere di dimostrare (oltre all'esistenza di un pregiudizio
patrimoniale e alla sua riconducibilità eziologia all'adozione del
provvedimento illegittimo) la sua misura, come riconosciuto dall'indirizzo
prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (Cons. St.,
sez. V, 25 gennaio 2002, n.416).
Ne consegue che essa ricorrente non può
limitarsi ad addurre l'illegittimità dell'atto, valendosi, ai fini della sua
quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi,
della sufficienza dell'allegazione di un principio di prova, ma è tenuta a
compiere l'ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio
patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i
limiti ontologici dell'assolvimento di tale onere).
Poiché la lesione lamentata concerne
interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno
patrimoniale patito dal privato si rivela non semplice.
A fronte, infatti, della mancata
aggiudicazione di un appalto risulta estremamente arduo definire l'esatto
ammontare della perdita economica patita dall'interessato.
E’ appena il caso, al riguardo, di
rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione
offerta dall'art. 1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè
della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi
connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di
un'occasione di guadagno o, comunque, di un'utilità economica connessa
all'adozione o all'esecuzione del provvedimento illegittimo.
Se per la prima voce di danno (quello
emergente) non si pongono particolari problemi nell'assolvimento dell'onere
della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda
(lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
Per avere accesso al risarcimento,
infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito
una diminuzione per effetto dell'atto illegittimo, ma che non si è accresciuta
nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato
adottato o eseguito.
Come si vede, tale ultima dimostrazione
presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici
non facilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
Soccorre, allora, l'applicazione di
criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal
privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera
giuridica e patrimoniale.
Si tratta di presunzioni semplici che
indicano, secondo la comune esperienza, parametri valutativi sufficientemente
puntuali dell'entità della perdita economica patita dal privato per effetto
dell'adozione dell'atto illegittimo ovvero della colpevole inerzia
dell'amministrazione.
Perché sia ritualmente assolto l'onere
della prova, è, quindi, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli
elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri
presuntivi di determinazione del danno.
4.- Tanto premesso, quanto alla richiesta
di ristoro del danno emergente per le spese generali della azienda,
quantificato dalla parte ricorrente in € 30.840,89, e per spese di
partecipazione alla gara, quantificato da essa parte in € 42.761,00, la Sezione
osserva quanto segue.
4.1.- Non sono risarcibili le spese
generali ed i costi di immobilizzo della struttura aziendale. Nel caso di
azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione,
il danno relativo alle spese sostenute dal danneggiato non può che avere ad
oggetto le voci strettamente afferenti alla partecipazione alla gara di
appalto, con esclusione quindi di ulteriori e diversi elementi quali, ad
esempio, il mantenimento della struttura aziendale.
Le spese sostenute per la retribuzione del
personale dipendente all'interno della società e le spese generali per il
funzionamento della struttura aziendale non debbono invero essere risarcite
perché tali spese sarebbero state ugualmente sostenute, anche a prescindere
dalla partecipazione alla gara di cui trattasi; né è stata fornita piena prova
del danno che sia derivato alla ricorrente per l’attività svolta dal personale
al riguardo per essere stato distolto da altre attività di spettanza.
4.2.- Quanto alla domanda di condanna al
risarcimento del danno emergente relativo alle spese per la partecipazione alla
gara, va osservato che il risarcimento per equivalente dell'interesse positivo
e del relativo lucro che l'impresa avrebbe tratto dall'aggiudicazione della
gara a suo favore resta in radice incompatibile con la risarcibilità
dell'interesse negativo a non essere coinvolto in inutili e dispendiose
attività partecipative.
Infatti, la partecipazione alla gara
implica oneri che restano comunque a carico del soggetto che abbia inteso
prendere parte a una procedura di selezione, con la conseguenza che, nel caso
in cui il ricorrente opponga in giudizio proprio la sua fruttuosa
partecipazione, per reclamare le utilità economiche che la stazione appaltante
gli avrebbe ingiustamente negato mediante illegittima posposizione in
graduatoria, è precluso poi allo stesso ricorrente di invocare il rimborso di
quelle spese partecipative che costituiscono il presupposto fondante della sua
stessa richiesta risarcitoria, basata per l'appunto sulle utilità economiche da
mancata aggiudicazione.
Tali costi di partecipazione, nell'ipotesi
in cui l'impresa benefici del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione
(o per la perdita della possibilità di aggiudicazione), non possono essere
risarciti per equivalente, atteso che mediante il risarcimento non può farsi
conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe
dall'aggiudicazione medesima.
In conclusione le spese sostenute per la
partecipazione alla gara dall'impresa non risultata aggiudicataria non sono
risarcibili, trattandosi di voci di costo che sarebbero comunque state
sostenute dall'instante anche in caso di aggiudicazione o di mancata aggiudicazione
(Cons. Stato: Sez. III, 7 marzo 2013, n.1381; Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681)
del servizio; per cui le stesse devono ritenersi incorporate nella differenza
tra ricavi e costi, all'esito del quale si ottiene l'utile ritraibile dal
servizio medesimo (Consiglio di Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2258).
5.- Quanto alla richiesta di lucro
cessante, ex art. 1223 del c.c., per mancato incasso dell’utile derivante dalla
esecuzione della commessa, quantificato dalla attuale ricorrente in €
198.616,68 (pari al 10% della offerta formulata), la Sezione osserva quanto
segue.
5.1.- Occorre, innanzi tutto, distinguere
la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza
dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara dai casi in
cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito
della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
La dimostrazione della spettanza
dell'appalto all'impresa danneggiata risulta nel caso di specie configurabile perché
la ricorrente era risultata aggiudicataria provvisoria dell’appalto e la somma
commisurata all'utile d'impresa non deve essere proporzionalmente ridotta in
ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della
procedura.
Non può tuttavia convenirsi con le
richieste di cui al ricorso, quanto all’applicazione automatica del criterio
equitativo del 10%, desunto in via analogica dall’art. 345 della l.
n.2248/1865, all. F, con riferimento ad un'ipotesi (quella del recesso “ad
nutum” della stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto), sia
considerato che il criterio di liquidazione del danno in via forfettaria ed
automatica, previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso
particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a
fattispecie diverse da quella rispetto alla quale è espressamente contemplato e
sia considerato che in questo modo si introdurrebbe una forma di indennizzo
predeterminato che contrasta con i principi probatori al riguardo (Cons. Stato,
Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
Il richiamato criterio del 10% non può
quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n.
2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno
e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo
tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione
equitativa.
Comunque va osservato che il mancato utile
nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di
certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se
quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e
mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa
possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o
servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del
risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.
Appare anche utile richiamare al riguardo
la conclusione giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il
danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno e
nelle gare di appalto l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un
ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai
nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso
che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative; per cui non
costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi
d'impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio
favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere
nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative
dalla quali trarre utili (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.).
In conclusione, considerate le circostanze
e tenuto conto sia del fatto che non è stata data dimostrazione da parte del
danneggiato dell’impossibilità di utilizzare diversamente gli strumenti
d’impresa e sia del fatto che quella che viene in considerazione è, comunque,
una semplice “chance” contrattuale (sia pure significativa, essendo la
ricorrente, a suo tempo, risultata aggiudicataria provvisoria) e non un
contratto alternativo definito e dunque definitivamente "certo",
appare equo e ragionevole decurtare del 50% la somma pari al 10 % dell’offerta
della ricorrente (il cui ammontare, sommate le spese per la sicurezza di €
77.597,99, sarebbe stato di € 1.986.176,70), che risulta, quindi, essere quella
di € 99.308,83 il cui pagamento viene liquidato a favore della attuale
ricorrente e posto a carico del Comune di Faicchio.
6.- Quanto al danno curriculare richiesto
per depauperamento delle capacità tecniche ed economiche della impresa e
quantificato dalla attuale parte ricorrente in € 139.963,31, va osservato
quanto segue.
6.1.- E’ necessario ristorare detta
ricorrente, come da domanda, non solo per la perdita di “chance” dipendente dal
mancato espletamento della gara per il singolo affidamento, ma anche a titolo di
danno curricolare.
Sotto questo profilo la giurisprudenza
insegna, difatti, che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di
un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione della singola opera in sé,
e ai relativi ricavi diretti. Ciò in quanto alla mancata esecuzione di un'opera
appaltata si ricollegano indiretti nocumenti all'immagine della società e al
suo radicamento nel mercato; per non dire del potenziamento di imprese
concorrenti che operino nel medesimo settore di mercato e in modo illegittimo
si siano rese aggiudicatarie.
Per tali ragioni è reputato quindi
risarcibile esso danno curriculare, che costituisce una specificazione del
danno per perdita di “chance” e consiste nel pregiudizio subito dall'impresa a
causa del mancato arricchimento del proprio "curriculum"
professionale, per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione
dell'appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo
dell'Amministrazione, laddove l'aggiornamento curriculare perduto avrebbe fatto
conseguire all'impresa un vantaggio economicamente valutabile, poiché ne
avrebbe accresciuto la capacità di competere sul mercato e, quindi, la
possibilità di aggiudicarsi ulteriori commesse.
L'impresa ingiustamente privata
dell'esecuzione di un appalto può pertanto rivendicare, a titolo di lucro
cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare
il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum” professionale, da
intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento
degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole
gare (Cons. St., VI, 9 giugno 2008, n. 2751 e 18 marzo 2011, n. 1681).
In conclusione, va a tale titolo
corrisposto alla attuale ricorrente, a fini risarcitori per il titolo che
interessa, un importo complessivo che si determina, equitativamente ed
onnicomprensivamente, nella misura del 2,50% dell'importo del contratto che
avrebbe dovuto essere sottoscritto (pari ad € 1.986.176,70) che risulta quindi
essere quella di € 49.654,41.
7.- Quanto alla richiesta di interessi e
rivalutazione la Sezione osserva che sulle dette somme riconosciute a titolo di
risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque
riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi
alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione
alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a
titolo di risarcimento del danno.
Pertanto, occorre operare la rivalutazione
del credito secondo valori monetari correnti e computare gli interessi
calcolati dalla data del fatto, non sulla somma complessiva rivalutata alla
data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo
anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta
somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria
(Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013 n. 1833).
8.- Il ricorso deve essere conclusivamente
accolto in parte nei termini e nei limiti di cui in motivazione.”
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