Il decreto “salva Italia”, il d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011 ha modificato l’articolo 2 del d.lgs 163/2013 inserendovi i commi 1-bis e 1- ter. Per effetto
di questa modifica:
a) nel
rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, “al fine di
favorire l’accesso delle piccole e medie imprese”, si stabilì che le stazioni
appaltanti dovessero (obbligo vero e proprio), ma “ove possibile ed
economicamente conveniente” suddividere gli appalti in lotti funzionali;
b)
e in ogni caso, per la realizzazione delle grandi infrastrutture la stazione
appaltante “deve garantire modalità di coinvolgimento delle piccole e medie
imprese”.
Dunque,
suddividere in lotti, per abbassare la base di gara e ridurre le lavorazioni,
così da permettere la possibilità di partecipare alle gare anche ad imprese con
qualificazioni Soa di livello più basso o, comunque, di affrontare il rischio
operativo.
La
visione normativa di favore verso l’unitarietà e concentrazione delle opere e
dei progetti sono presenti nel d.lgs 163/2006, che recepisce le norme
comunitarie in materia. Ad esempio l’articolo 29, comma 4, ai sensi del quale “nessun
progetto d’opera né alcun progetto di acquisto volto ad ottenere un certo
quantitativo di forniture o di servizi può essere frazionato al fine di
escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il
frazionamento non vi fosse stato”.
In
effetti, a minare questa visione favorevole all’unitarietà degli appalti era
già stato lo “statuto delle imprese”, la legge 180/2011, contenente una ricca
disciplina dedicata agli appalti pubblici nel suo articolo 13, il cui comma 2,
alla lettera a) stabilisce l’obbligo in capo alle amministrazioni di “suddividere,
nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, gli appalti in lotti o lavorazioni ed evidenziare le
possibilità di subappalto, garantendo la corresponsione diretta dei pagamenti
da effettuare tramite bonifico bancario, riportando sullo stesso le motivazioni
del pagamento, da parte della stazione appaltante nei vari stati di avanzamento”.
E’
evidente come l’innesto dei commi 1-bis e 1-ter nell’articolo 2 del d.lgs
163/2006 e le previsioni dell’articolo 13 della legge 180/2011 avessero creato
una situazione di contrasto interno nel sistema degli appalti. Da un lato,
infatti, il favore verso l’unitarietà dei progetti e delle prestazioni, volto
ad evitare surrettizi frazionamenti finalizzati ad eludere le regole poste a
garanzia della concorrenza attraverso l’eccesso di ricorso a procedure
negoziate. Ma, dall’altro, l’indicazione chiara del legislatore di abbassare
gli importi ed i livelli di prestazione, per facilitare l’accesso agli appalti
per le Pmi, proprio con la suddivisione in lotti come strumento privilegiato.
L’articolo 2, comma
1-bis, del d.lgs 163/2006, pur prevedendo l’obbligo di suddividere in lotti le
opere, lo condiziona alla circostanza che ciò risulti “possibile ed economicamente
conveniente”. Dunque, nella configurazione iniziale della norma residuava un
non irrilevante margine di discrezionalità in capo alle stazioni appaltanti.
Appariva,
oggettivamente che, visto l’obbligo a frazionare in lotti, con la
determinazione a contrattare fosse necessario spiegare nel dettaglio quali
fossero appunto le ragioni che rendessero possibile e conveniente suddividere
la prestazione in lotti. Si è per altro manifestata una giurisprudenza non
pregiudizialmente contraria alla suddivisione in lotti: Consiglio di Stato,
Sezione IV, 13 marzo 2008, n. 1101: “la suddivisione in lotti di un’opera non è
in se illegittima, imponendo comunque l’applicazione del diritto comunitario se
la somma degli importi dei singoli lotti supera la soglia comunitaria”.
Tuttavia, resta il dato
fondamentale della disciplina dei lotti: la loro autonomia funzionale, cioè la
necessità che il lotto permetta una piena fruizione e consenta una totale
funzionalità dell’opera, per quanto essa alla fine possa risultare
l’aggregazione di una serie di più lotti funzionali. Lo dimostra quanto prevede l’articolo
128, comma 7, del d.lgs 163/2006: “un lavoro può essere inserito nell’elenco
annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all’intero
lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state
quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione
dell’intero lavoro. In ogni caso l’amministrazione aggiudicatrice nomina,
nell’ambito del personale ad essa addetto, un soggetto idoneo a certificare la
funzionalità, fruibilità e fattibilità di ciascun lotto”.
A
superare il problema della necessità di una motivazione profonda ed estesa
circa la possibilità di avvalersi dei lotti, interviene la modifica apportata
all’articolo 2, comma 1-bis, del d.lgs 163/2006, da parte dell’articolo 26-bis del d.l. 69/2013, convertito in legge 98/2013, che ha aggiunto il seguente
nuovo periodo: “Nella determina a
contrarre le stazioni appaltanti indicano la motivazione circa la mancata
suddivisione dell’appalto in lotti”.
La
disposizione normativa, per un verso, dunque, limita lo spazio di
discrezionalità discendente dalla circostanza che la suddivisione in lotti sia
“possibile e conveniente”. In realtà, pare che per il legislatore detta
suddivisione sia sempre possibile e conveniente, salvo prova contraria da
fornire con la determinazione a contrattare.
E’
facile immaginare quali problemi simile intervento normativo potrebbe aprire.
Oltre ad insistere, inopportunamente, sulla strada della suddivisione in lotti
invece che spingere le imprese ad aggregarsi, il legislatore mette le Pmi in
condizione di sindacare, di volta in volta, sulla legittimità della scelta
delle amministrazioni di non suddividere gli appalti in lotti, potendo partire
dalla presunzione che la legge spinge per tale tipo di scelta. Il rischio di un
incremento incontrollato di un contenzioso che blocchi le opere pubbliche ed i
contratti prima ancora di avviare le gare è elevatissimo; almeno, tanto quanto
quello di indurre le amministrazioni, pur di non subire appunto ricorsi sulle
determinazioni a contrattare, di suddividere sempre le opere in lotti,
prescindendo dal requisito dell’autonomia funzionale, posto, però, a presidio
di un interesse generale di valore più elevato, almeno stando anche alle
direttive comunitarie: la garanzia della concorrenza e la transnazionalità.
La
normativa introdotta a partire dallo “statuto delle imprese”, così come andata
evolvendosi fino al decreto del “fare”, dunque, porta a più di qualche
perplessità sia sul piano strettamente funzionale, sia sul rispetto dei
principi del Trattato Ue.
Talmente
forte è l’intento del legislatore di favorire la partecipazione agli appalti
delle Pmi, anche a rischio di contrastare con i principi del Trattato, che il
decreto “fare” ha modificato anche l’articolo 6, comma 5, del codice dei
contratti, in modo che l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici operi per
garantire l’osservanza dei principi di cui all’articolo 2: oltre ai principi di
correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del contraente, anche la
tutela delle piccole e medie imprese “attraverso adeguata suddivisione degli
affidamenti in lotti funzionali”, ma anche vigilando che siano rispettate le
regole della concorrenza nelle singole procedure di gara!
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