martedì 20 maggio 2014

RESPONSABILITÀ DEL CSE

La Corte di Cassazione con la Sentenza del 07/04/2014, n. 15484 ha stabilito che sussiste la responsabilità penale del Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) per non aver correttamente vigilato sulla effettiva realizzazione degli interventi atti ad evitare infortuni dei lavoratori.
La normativa in materia di sicurezza del lavoro nel caso di attività lavorative svolte in un cantiere edile individua diverse posizioni di garanzia, la principale delle quali certamente riguarda il datore di lavoro, che organizza e gestisce l’esecuzione dell’opera, ma che coinvolgono, oltre al committente, diverse figure professionali, tra le quali vi è certamente il coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori. 
A tale figura professionale la legge attribuisce precisi compiti ed obblighi, che lo individuano quale titolare di una specifica ed autonoma posizione di garanzia che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica. In particolare al coordinatore per l’esecuzione dei lavori è attribuito, tra gli altri, non solo il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nel cantiere e di assicurare il collegamento tra appaltatore e committente, al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica, ma anche quello di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle stesse imprese, delle prescrizioni del piano di sicurezza nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro, a garanzia dell’incolumità dei lavoratori.
Si tratta di un compito di «alta vigilanza» che, seppur non necessariamente deve implicare una continua presenza nel cantiere, deve tuttavia esercitarsi in maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie quelle che pongono maggiormente a rischio l’incolumità degli operatori.
«Non vale ad escludere, o anche solo a ridimensionare, le responsabilità del CSE» si legge nella sentenza «sostenere che lo stesso si recava di frequente nel cantiere, laddove si consideri che tale presenza avrebbe dovuto esser anche diretta alla verifica del rispetto, da parte dei responsabili delle imprese, delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza. Proprio la presenza frequente in cantiere avrebbe dovuto porre il (Omissis) nelle migliori condizioni per approfondire le questioni concernenti i temi della sicurezza, non solo attraverso riunioni tra i diversi soggetti interessati, ma anche attraverso la diretta verifica del rispetto delle relative prescrizioni, specie di quelle dirette ad evitare i rischi più gravi legati all’esecuzione delle opere».

Sulla base di tali argomentazioni la Suprema Corte rigetta il ricorso di un architetto, nominato Coordinatore per la sicurezza, ritenuto colpevole del delitto di lesioni colpose ai danni di un operaio colpito da una trave-cornice durante i lavori di puntellamento delle strutture murarie oggetto di un intervento di restauro.

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