La
Corte di Cassazione con la Sentenza del 07/04/2014, n. 15484 ha stabilito che sussiste
la responsabilità penale del Coordinatore per la Sicurezza in fase di
Esecuzione (CSE) per non aver correttamente vigilato sulla effettiva
realizzazione degli interventi atti ad evitare infortuni dei lavoratori.
La
normativa in materia di sicurezza del lavoro nel caso di attività lavorative
svolte in un cantiere edile individua diverse posizioni di garanzia, la
principale delle quali certamente riguarda il datore di lavoro, che organizza e
gestisce l’esecuzione dell’opera, ma che coinvolgono, oltre al committente,
diverse figure professionali, tra le quali vi è certamente il coordinatore per
la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori.
A
tale figura professionale la legge attribuisce precisi compiti ed obblighi, che
lo individuano quale titolare di una specifica ed autonoma posizione di
garanzia che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari della
normativa antinfortunistica. In particolare al coordinatore per l’esecuzione
dei lavori è attribuito, tra gli altri, non solo il compito di organizzare il
lavoro tra le diverse imprese operanti nel cantiere e di assicurare il
collegamento tra appaltatore e committente, al fine della migliore
organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica, ma
anche quello di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle stesse
imprese, delle prescrizioni del piano di sicurezza nonché sulla scrupolosa
applicazione delle procedure di lavoro, a garanzia dell’incolumità dei
lavoratori.
Si
tratta di un compito di «alta vigilanza» che, seppur non necessariamente deve
implicare una continua presenza nel cantiere, deve tuttavia esercitarsi in
maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie
quelle che pongono maggiormente a rischio l’incolumità degli operatori.
«Non vale ad escludere,
o anche solo a ridimensionare, le responsabilità del CSE» si legge nella
sentenza «sostenere che lo stesso si recava di frequente nel cantiere, laddove
si consideri che tale presenza avrebbe dovuto esser anche diretta alla verifica
del rispetto, da parte dei responsabili delle imprese, delle prescrizioni
previste nel piano di sicurezza. Proprio la presenza frequente in cantiere
avrebbe dovuto porre il (Omissis) nelle migliori condizioni per approfondire le
questioni concernenti i temi della sicurezza, non solo attraverso riunioni tra
i diversi soggetti interessati, ma anche attraverso la diretta verifica del
rispetto delle relative prescrizioni, specie di quelle dirette ad evitare i
rischi più gravi legati all’esecuzione delle opere».
Sulla
base di tali argomentazioni la Suprema Corte rigetta il ricorso di un
architetto, nominato Coordinatore per la sicurezza, ritenuto colpevole del
delitto di lesioni colpose ai danni di un operaio colpito da una trave-cornice
durante i lavori di puntellamento delle strutture murarie oggetto di un
intervento di restauro.
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