Al
lavoratore dipendente inviato in trasferta o destinato occasionalmente e
temporaneamente a svolgere le proprie mansioni in altro luogo rispetto alla
sede di lavoro spettano indennità di trasferta e rimborsi spese. Il
diritto scatta per l’allontanamento dalla sede di lavoro abituale e non per le
spese di viaggio vere e proprie.
I
rimborsi spese di trasferte nello stesso Comune sono imputabili in
capo al dipendente ad eccezione di quelle di trasporto comprovate da
documentazione rilasciata dal vettore.
Per
le trasferte fuori comune (rispetto alla sede abituale di lavoro,
distanti almeno 10 km), il rimborso può avvenire in tre modi: rimborso a piè di
lista, rimborso forfettario e rimborso misto.
Nel rimborso
a piè di lista tutte le spese sostenute vengono riassunte in una specifica
nota e analiticamente rimborsate dal datore di lavoro. I giustificativi di
spesa devono risultare emessi nel luogo e nei tempi della trasferta. Tali somme
non costituiscono reddito tassabile per il lavoratore. Le spese di vitto e
alloggio sono deducibili per l’impresa nel limite massimo giornaliero di euro
180,75 per trasferte nazionali ed euro 258,22 per quelle all’estero.
Il rimborso
forfetario è un’indennità prestabilita corrisposta a prescindere dalle
spese effettivamente sostenute dal dipendente. Per l’impresa sono interamente
deducibili senza alcun limite; per il dipendente non sono imponibili entro il
limite di euro 46,48 al giorno per trasferte in Italia ed euro 77,47 al giorno
per trasferte all’estero. Tali importi vanno considerati al netto delle spese
di viaggio e trasporto sostenute e documentate. La quota eccedente tale limite
è considerata di natura retributiva.
Con
il rimborso misto le indennità nei limiti degli importi previsti per
il rimborso forfetario vengono ridotti di un terzo ma vengono riconosciuti al
dipendente il rimborso delle spese di vitto e quelle di alloggio. Se l’azienda
rimborsa sia le spese di vitto sia quelle di alloggio, gli importi vengono
ridotti di due terzi.
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